Lo scenario. Dopo 80 anni l'Onu è pronta per avere una guida femminile?

di Antonella Mariani 
tratto da “Avvenire” del 6 giugno 2025

L'attuale segretario generale Guterres ha un mandato in scadenza a fine 2026. E la rivista Nature si schiera: una leadership femminile sarebbe ideale per condurre i negoziati più delicati.

L'esterno del Palazzo di Vetro, sede dell'Onu – ImagoEconomica

«Viviamo in un mondo ancora dominato dagli uomini»; a pronunciare questa frase con tono enfatico davanti a centinaia di delegate è stato l’11 marzo scorso il Segretario generale dell’Onu, il portoghese António Guterres. Si era nei giorni successivi alla Giornata internazionale delle donne e al Palazzo di Vetro si celebrava la 69esima sessione della Commissione sullo status delle donne. Nonostante le parole del Segretario, le Nazioni Unite non possono che tracciare un bilancio moderatamente positivo del loro impegno a favore della parità di genere nel mondo. Dal 1995, quando a Pechino la Conferenza mondiale sulle donne, di cui quest’anno si celebra il trentennale, adottò l’empowerment come parola d’ordine, la mortalità materna si è ridotta e l’aspettativa di vita è cresciuta così come la scolarità, la presenza delle donne nei Parlamenti nazionali è raddoppiata, è aumentato il contributo femminile nel mondo del lavoro, nella ricerca e nella scienza.

Il fatto curioso e persino un po’ paradossale è che tra i soffitti di cristallo che ancora resistono c’è proprio quello del Segretariato generale delle Nazioni Unite. Ebbene sì: dalla sua nascita, 80 anni fa, il timone dell’Onu è stato esclusivamente in mano a uomini, 10 per l’esattezza. Una evidenza stridente, tanto che sta crescendo in questi mesi un movimento internazionale di pressione per far emergere candidature femminili in vista della scadenza del secondo mandato di António Guterres, il paladino della parità di genere, a fine 2026. È il Consiglio di Sicurezza, composto da 5 membri permanenti con poteri di veto (Usa, Cina, Francia, Regno Unito e Russia) e da 10 non permanenti a rotazione, a proporre all’unanimità un nome all’Assemblea generale, che poi si esprime con un voto. La durata del mandato e la possibilità di un rinnovo per una o due volte non sono codificate, ma dal 1971 è invalsa la durata di 5 anni e non si è mai andati oltre una unica proroga. In una Risoluzione del 1997 fu stabilito che il profilo del candidato deve osservare una certa alternanza della provenienza geografica e del genere. Ma in realtà questo secondo criterio non è stato mai rispettato.

E non perché non ci siano state pretendenti. Nel 2021, prima che Guterres fosse confermato per il secondo mandato, l’allora 35enne Arora Akanksha aveva avanzato la propria candidatura, mettendo al centro del suo programma una riforma radicale dell’Onu e i programmi umanitari. Arora è una economista indo-canadese con un passato familiare di migrazione, funzionaria del programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo. In ogni caso, la auto-candidatura non fu nemmeno presa in considerazione dal Consiglio di Sicurezza perché a dispetto del regolamento non era stata presentata da uno Stato membro. Arora Akanksha denunciò con vigore di essere stata marginalizzata per il fatto di essere donna, giovane e di non avere alle spalle la gerarchia dell’Onu, i cui quadri dirigenti sono al 66,3 % uomini. La vicenda della giovane economista fece comunque scalpore; in certi ambienti femministi e progressisti confermò il paradosso di un organismo internazionale che mette al centro del suo operato la parità di genere e poi “respinge” una aspirante Segretaria decisa a spezzare i meccanismi di conservazione del potere maschile.

Ma nonostante i numeri dicano il contrario, la storia dell’Onu non è soltanto al maschile. Il 3 giugno scorso l’Assemblea generale ha votato la sua presidente, la quinta donna dal 1945. Si tratta dell’ex ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, 44 anni, che diventa così la prima donna del gruppo Europa occidentale a ricoprire l’incarico. La prima in assoluto è stata la leggendaria leader dell’indipendenza indiana Vijaya Lakshmi Pandit, nel 1953, che riuscì a porre la decolonizzazione al centro dell’agenda dell’Onu. La seconda, nel 1969, fu la liberiana Angie Elisabeth Brooks, paladina dell’opposizione alla politica sudafricana dell’apartheid. Poi ci fu nel 2006 l’avvocata del Bahrein Haya Rashed Al-Khalifa e infine nel 2018 la ecuadoriana Maria Fernanda Espinosa. Da notare però che la nomina del presidente dell’Assemblea generale è annuale (dunque la percentuale di donne è bassissima, poco più del 6%, considerando 80 presidenti in altrettanti anni di vita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite) e che il suo potere è assai più limitato di quello del Segretario generale. Più numerose le donne a capo di Agenzie specializzate, da Sadako Ogata, nominata prima donna a capo dell’Alto Commissariato per i rifugiati nel 1990, a Mary Robinson, Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani nel 1997, fino a Gro Harlem Brundtland alla guida dell’Oms dal 1998. Proprio quest’ultima l’anno prima aveva sfidato vanamente Kofi Annan per la carica di Segretario generale.

Dunque, può essere arrivata l’ora di una Segretaria? La rivista Nature si è schierata decisamente a favore di questa ipotesi, in un lungo articolo pubblicato lo scorso aprile. In nome di cosa? Del fatto che è dimostrato che le donne hanno grande capacità di negoziare, se messe in condizioni di farlo. Che sono efficaci difensore dei diritti umani. «Avere una donna come Segretaria generale dell’Onu, oltre a costituire un modello di ruolo», renderebbe più probabile che le conseguenze di alcuni fenomeni che colpiscono in modo sproporzionato le donne, come i cambiamenti climatici e le guerre, «vengano prese in considerazione nel processo decisionale ai massimi livelli». Inoltre, insiste Nature nel suo articolo che è stato condiviso centinaia di volte in tutto il mondo, oggi vediamo una regressione dei diritti delle donne, ad esempio in Afghanistan, e a un aumento delle violenze correlate ai conflitti. Dunque, qual momento potrebbe essere mai migliore di questo per una donna alla guida dell’Onu? «Non stiamo dicendo di nominare una persona solo in base al suo genere. Piuttosto, lanciamo questo appello per incoraggiare gli Stati membri delle Nazioni Unite a superare i pregiudizi che spesso portano a trascurare la persona giusta. Nominare una donna trasmetterebbe un messaggio forte: a 30 anni dalla Dichiarazione di Pechino, l'impegno mondiale per la parità di genere non sta venendo meno, e di questo ne beneficiano tutti, ovunque».

Attenzione però. Anche se sulla poltrona più alta del Palazzo di Vetro sedesse una donna, non sarebbe automaticamente una buona notizia. La pensa così Darya Majidi, rappresentante in Italia di Un Women. Il suo ragionamento è semplice: «Spero con tutto il cuore che dopo Guterres arrivi il tempo di una donna. Ma anche se fosse eletta una Segretaria, non è una condizione sufficiente. Non tutte le donne hanno il femminismo e l’empowerment femminile come core del loro pensiero. Quindi il mio augurio è che, uomo o donna che sia, abbia il tema della parità di genere come punto politico di riferimento per tutte le sue decisioni».