Da Mamdani al referendum in California: le vittorie dei democratici e un messaggio per Trump
tratto da Valigia Blu del 7 Novembre 2025 di Marco Arvati “A Trump dico di alzare il volume. New York
rimarrà una città costruita dagli immigrati, arricchita dagli immigrati e, da
stasera, guidata da un immigrato. Presidente: per prendere uno di noi, dovrai
passare sopra tutti noi. Noi faremo sì che le parole di cui abbiamo parlato, i
sogni che abbiamo sognato diventeranno l’agenda che porteremo avanti. New York,
questo potere è vostro. La città vi appartiene”. Con queste
parole Zohran Mamdani, appena eletto sindaco di New York, ha attaccato il
presidente degli Stati Uniti, dopo una nottata che ha regalato grandi vittorie
ai democratici e ha certificato l’esistenza di un’opposizione viva, che sembra
aver trovato, dopo un anno particolarmente difficile, un messaggio che risuona
con gli elettori. Non bisogna,
però, esagerare con l’entusiasmo: martedì notte al voto andavano città e Stati
in cui il partito è forte, e che hanno votato in maggioranza Kamala Harris alle
scorse presidenziali. I democratici dovranno dimostrare con le elezioni di metà
mandato che si svolgeranno tra esattamente un anno, e in cui tutto il Paese
tornerà alle urne, di avere la forza di opporsi a Trump. Anche se erano
elezioni tendenzialmente favorevoli, però, la portata della vittoria
democratica, a livello di dati, contee e demografia di elettori, ha fatto dire a Politico che
ci siamo trovati di fronte a un “dominio”. L’opposizione ha
vinto a New York, nell’unica battaglia intestina al partito, in cui Mamdani sfidava l’ex governatore Andrew Cuomo, candidatosi
da indipendente ma per decenni parte dell’elite democratica newyorkese, in
Virginia e New Jersey, dove sono state elette Abigail Spanberger e Mikie
Sherrill, due donne dell’area moderata del partito, e in California il
referendum per dare alla politica la facoltà di ridisegnare i collegi statali,
richiesto dal governatore dello Stato Gavin Newsom, per controbattere il
ridisegno dei collegi a vantaggio di Trump negli Stati a guida repubblicana, è
passato con ventisette punti di scarto. Una
grande vittoria per il governatore, che da mesi si è accreditato come il
principale oppositore dell’Amministrazione, arrivando anche a ricalcarne la
comunicazione sconclusionata: nella sua idea, “una dimostrazione della follia” dei post trumpiani. La vittoria che
ha più risuonato su scala internazionale è sicuramente quella di Mamdani, anche
per il suo posizionamento politico socialista apertamente rivendicato anche nel
discorso di vittoria, in cui ha citato Eugene V. Debs, probabilmente il più grande
esponente del movimento nella storia statunitense. Negli ultimi giorni, Trump
era addirittura arrivato a sostenere Andrew Cuomo, con cui
si era pesantemente scontrato ai tempi della pandemia di Covid, quando
quest’ultimo era governatore dello Stato di New York, e a sconfessare il
repubblicano Curtis Sliwa, che ha rifiutato di
abbandonare la corsa nonostante pressanti richieste sia dal suo partito che dal
mondo finanziario. Il messaggio
politico di Mamdani, declinato in modo brillante sui social media, girava
intorno a un unico punto: i newyorkesi non possono più permettersi New York. La
battaglia a costi troppo alti e disparità di stipendi sono stati la base di un
movimento che un anno fa aveva speranze residuali di vincere le primarie e oggi
arriva a governare la città: le proposte, semplici e d’impatto, come la
gratuità dei trasporti pubblici e il tetto al prezzo degli affitti nelle case a
canone concordato, gli hanno garantito il supporto della grande maggioranza dei
giovani. Inoltre, è riuscito a ottenere, seppur di poco, più del 50 per cento dei
voti, necessario per non iniziare il suo mandato con lo stigma di essere un
sindaco votato da una maggioranza soltanto relativa dei cittadini. Il costo della
vita è stato un tema centrale, però, non solo della campagna di Mamdani, ma di tutti i
democratici sulla scheda elettorale nel 2025. Se l’anno scorso la campagna
Biden, e poi quella di Harris, avevano puntato tutto su quanto Trump fosse un
pericolo per la democrazia, oggi i democratici attaccano il presidente perché
non ha tenuto fede alle sue promesse dell’anno scorso. Durante la
campagna presidenziale, infatti, Trump aveva descritto i democratici come un
gruppo di ricchi lontano dai problemi della popolazione, e aveva affermato che
solo lui poteva migliorare il disagio dei cittadini, facendo scendere i prezzi
non appena tornato al potere. Dopo un anno, la situazione economica degli Stati
Uniti non è migliorata, e la nuova legge di bilancio, ancora bloccata per via
dello shutdown, la chiusura del governo federale dovuta al mancato passaggio
del bilancio al Senato, a Washington, taglia sussidi sanitari garantiti
dall’Obamacare che alzeranno il costo delle assicurazioni: nel
frattempo, Trump continua ad affermare che
l’economia vola e il Paese sta benissimo. In questo contesto è stato ribaltato
il messaggio dell’anno scorso: i democratici affermano che Trump non si occupa
di loro, che il costo della vita è alto e il Presidente è lontano dagli
interessi dei cittadini, tanto da costruire una gigantesca sala da ballo
nell’ala est della Casa Bianca. Il tema
economico, quindi, non è stato centrale solo per la campagna di sinistra di
Mamdani, ma anche per quelle moderate di Spanberger e Sherrill, che sono
diventate governatrici dominando le loro rispettive contese. Spanberger non
solo ha vinto la Virginia di 15 punti, ma ha migliorato il risultato di Harris
alle presidenziali in quasi tutte le contee rilevanti per il partito: in quella
di Loudoun, che si trova nei sobborghi di Washington, e dove risiedono molti
dipendenti federali a cui Trump ha minacciato di non pagare gli stipendi persi
in questo mese di chiusura forzata per lo shutdown, Spanberger ha migliorato di 12 punti il risultato di Harris.
In New Jersey, invece, Sherrill ha vinto di 13 punti ricostruendo una
coalizione multietnica che i democratici temevano di aver perso per sempre dopo
i guadagni di Trump con i latinos e i maschi afroamericani delle scorse
presidenziali: la neo-governatrice ha vinto la contea di Passaic, a maggioranza relativa
ispanica, di ben 15 punti e lo ha fatto dopo che Harris l’aveva clamorosamente
persa lo scorso anno. In California,
invece, il governatore Newsom ha vinto la sua battaglia: dimostrare che i
cittadini sono pronti a combattere le mosse trumpiane a ogni costo. Dopo che
Trump ha espressamente chiesto al Texas di ridisegnare le mappe per ottenere 5
collegi in più a suo favore, Newsom ha deciso di contrattaccare con le stesse armi. Ha
chiesto ai cittadini di abolire, per lo meno fino al prossimo censimento che
avverrà nel 2030, le commissioni indipendenti che disegnano i collegi, e che
dovrebbero assicurarsi che questi siano il più possibile bilanciati, per ridare
alla politica la facoltà di farlo. In questo modo, ha controbilanciato i 5
seggi che Trump ha ottenuto in Texas e ha dato il là agli Stati democratici di
controbattere a ognuno degli Stati repubblicani a cui il Presidente busserà per
ottenere mappe più favorevoli. Non è stata una decisione facile, e compiendola
Newsom si è inimicato anche alcuni indipendenti anti-trumpiani, come l’ex governatore Schwarzenegger
artefice della commissione indipendente, che non avrebbero voluto vedere gli
avversari di Trump cercare di sconfiggerlo con le sue stesse armi. Alla prova
del voto, però, la California ha appoggiato il piano di Newsom, a oggi di gran
lunga il democratico più in vista su scala nazionale.