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Pubblichiamo due scritti entrambi sull’immigrazione; il primo è una riflessione sull’ attualità dell’esperienza fatta da Lucia Mastrodomenico con le immigrate accolte dalla Comunità di Capodarco ad Aversa alla fine degli anni ’90, i cui aspetti sostanziali riportati nel libro “Defile” (Ed. L’Ancora del Mediterraneo) sono ancora una volta di sorprendente attualità. Infatti nel secondo scritto a firma di Stella Maris Fiorentino, vice presidente di Cidis-onlus, vengono ripresi con grande precisione alcuni degli avvistamenti di Lucia Mastrodomenico nel corso della  sua esperienza. La necessità politica e civile di non sancire la precarietà come caratteristica strutturale della condizione degli immigrati, e l’esigenza di costruire relazioni in cui lo scambio di risorse sia riconoscibile per un vantaggio comune, di cui scrive Mastrodomenico, sono oggetto della riflessione di Fiorentino nel considerare la comunicazione in tutte le sue forme e con tutti i suoi strumenti alla base di un riorientamento dei servizi sanitari in un’ottica interculturale, per l’effettivo superamento di incomprensioni e l’efficace fruizione delle prestazioni, con vero guadagno in salute per tutti.
La Redazione


La necessaria migrazione

Spesso mi chiedo quale sarebbe stato il pensiero di Lucia Mastrodomenico sugli immigrati che continuamente, ogni giorno, in maniera enorme affluiscono dai sud del mondo alla nostra Europa con un fragile progetto di vita ed il loro inesistente bagaglio.  Mi chiedo quale idea di accoglienza avrebbe avuto, lei che tante volte nella sua esistenza si è schierata con onestà intellettuale e morale dalla parte dei più vulnerabili, raccogliendo sfide di esistenze possibili.  Così, come spesso mi capita, sono andata a rileggerla. Lucia Mastrodomenico ha lavorato per più di due anni intensamente con le immigrate accolte dalla Comunità di Capodarco ad Aversa, ed in quella circostanza ha approfondito ed analizzato, nel suo stile di studiosa,  alcune tematiche che tutt’ora rivelano una formidabile attualità.
Si ritiene nell’analizzare il significato della convivenza di culture che essa possa trovare risoluzione nel loro incontro ritenendole di pari dignità sia pure di sostanziale diversità;  nel suo lavoro L.M. rivela senza infingimenti quanto la convinzione che  non esistano culture avvantaggiate e culture svantaggiate o inferiori, sia una ipocrisia; l’integrazione di minoranze e piccoli gruppi “è possibile, quando possibile, solo sulla base di una sua assimilazione di alcuni aspetti fondamentali della cultura tipica della nostra società capitalistica avanzata”, integrazione dunque come scivolamento verso l’assimilazione e non già tolleranza, scambio, reciproco interesse.
Lucia Mastrodomenico evidenzia nell’analisi del suo lavoro come sia difficile per gli immigrati abbandonare la loro tradizionale etica solidaristica, su base familiare e di “clan”, per subordinare la propria condotta individuale a principi pubblici, democratici della nostra cultura. Ed ancor di più come tale azione sia difficile in contesti di accoglienza sfavorevoli dove disoccupazione e microcriminalità siano particolarmente presenti. In questo caso il lavoro, unico mezzo che gli immigrati hanno a disposizione per l’”integrazione”, molto spesso diviene l’oggetto di una vera e propria guerra tra poveri in cui vince chi ha un livello di sopportazione dell’umiliazione e dello  sfruttamento più alto.
Diventano necessarie politiche migratorie tradotte in interventi legislativi efficaci; ma anche la necessità di un “terreno di testimonianza politica e civile, cosicché non si sancisca la precarietà come caratteristica strutturale della condizione degli immigrati”.
D’altro canto il lavoro di integrazione è complesso e difficile, la richiesta di aiuto è continua, nella convinzione che si sia sempre in grado di una risposta efficace, spesso intoppo alla reciproca fiducia. È come se ci fosse negli immigrati la convinzione che qualunque ostacolo possa essere superato, qualunque difficoltà appianata. Una sorta “di affidamento oltre misura che va  ridimensionato, rispetto di regole, di principi e di tempi che vanno compresi e condivisi”.
Lucia Mastrodomenico si è occupata di migranti ma soprattutto di donne immigrate, ed è alle donne che giungono con i loro bambini, spesso non ancora nati, che guardo, a quelle donne che sfuggono a guerre e pericoli, che hanno abbandonato tutto quello che avevano in cerca della sopravvivenza. Nei loro sguardi si scorgono fatica, sofferenza ma anche abnegazione,  determinazione, lotta per l’accesso alle risorse materiali e simboliche. Mi rendo conto che loro non sono altro da me, ma inesorabilmente mi riguardano, riguardano il mio futuro, forse lo rendono possibile.

Maria Vittoria Montemurro