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Care amiche


Sono trascorsi alcuni mesi dalla conclusione di questa esperienza (*) e già mi manca la loro presenza, non mi era mai accaduto prima. Ritornando ad Aversa avevo la speranza di rincontrale. I luoghi dove è facile ritrovare le loro compagne, la stazione centrale di Napoli, via Torino, dove vendono, su bancarelle improvvisate, le loro mercanzie – treccine per capelli, parrucche, tinture, tessuti, cibo, musica – mi sembra il posto più vivo della città.
Sono vive oltre la tradizione che qui si frantuma. Indossano abiti morbidi che coprono completamente i corpi, sembrano fatti di una stoffa brillante che riflette la luce della stessa intensità delle loro teste nere e gli occhi sembrano enormi e luminosi contro la pelle scura.
I gioielli e gli anelli sul corpo sono il segno di una scadente contaminazione occidentale. Gli accessori che acquistano, nei settori dei mercati per loro attrezzati, sono piccole borse coloratissime, come le scarpe quasi sempre aperte di dietro, per poterle sfilare in ogni occasione possibile, lasciando liberi i piedi.
Le loro foto fissano la forza vitale di un contatto, i piedi mettono radici nella terra, il corpo rotondo nella danza si piega in avanti; ricurve le spalle e la schiena, un accovacciarsi verso la terra per partorire, partorire se stessa, insieme donna e terra.
Lentissime e scattanti per tornare piano alla terra o saltare per il tocco inferto dal vento, un respiro che attraversa la pelle con il sudore, un viaggio dal moto circolare, terre a cui danno il loro nome. Chi si prenderà cura di voi ? Forse un giorno sarete veramente accolte, senza barriere di razzismo e troverete il conforto di una città amica.
Risollevate dalle loro esigenze di sopravvivenza, in una terra di pericoli, pregano per la loro Africa e per questo mondo : la devozione alimenta la fede. L’unica possibilità per rompere l’isolamento sembra risiedere in un atto d’amore, per mostrare ancora che i confini sono tutte bugie…..
A Napoli e nel suo hinterland si avverte ancora il “corpo largo” dove la tolleranza e la diversità convivono con la più acritica normalità. Qui le identità si mescolano e si confondono : la parte “per bene” e sicura della società si difende , si chiude; l’altra, quella dei quartieri periferici, dei vicoli, dei bassi, dove oggi vivono tantissimi immigrati, mostra una naturale convivenza tra diverse culture.

(*) progetto svolto nell’ambito dell’iniziativa comunitaria “Occupazione e valorizzazione delle risorse umane-NOW”, presso la Comunità di Capodarco Aversa (Ce)

Lucia Mastrodomenico (1999