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In piazza per la libertà


Il fervore percepibile fra le donne a Napoli e a Milano non può essere riconducibile solo alla questione dell’aborto. Si percepisce forte un desiderio, a tratti un piacere, di rincontrarsi smussando conflitti: l’emergenza racconta una storia sperimentata, radicata, dove le donne costruiscono relazioni che, fino a ieri invisibili, riaffiorano nel presente. Anch’io ho condiviso questi incontri (in preparazione della manifestazione sull’aborto del febbraio 2006 NdR). Molte, come me, hanno creduto sin dal 1976 nella giustezza della non penalizzazione dell’aborto. Eravamo invece critiche rispetto alla legalizzazione di un diritto respingendo già allora l’ingerenza dello stato nelle scelte morali delle donne, nell’imposizione di un modello di famiglia superato nei fatti. La legge 194, come scrive la Dominijanni (“il manifesto”, 17 gennaio 2016) “un compromesso tra il potere femminile della procreazione e il potere dello stato sul corpo femminile”.
Cos’è cambiato in trent’anni di storia? Le donne hanno acquisito grande consapevolezza e competenza dell’esserci a tutti i livelli; ciononostante c’è scontentezza, delusione che si manifestano e si canalizzano nel pur visibile attacco alla 194. Lo “scacco” non è in un conflitto tra norma e trasgressione, ma piuttosto in un conflitto tra il desiderio e la norma che lo inibisce. Qual è il desiderio inibito, deluso, per molte donne? La presenza maschile, lo scarsissimo ascolto, la rapina di una femminilizzazione spesso strumentale che, raramente, ha permesso di fare agire lo scambio tra le due differenti soggettività.
Dopo 30 anni dalla legge sull’aborto, dopo 30 anni di storia del movimento politico delle donne e di pensiero della differenza, la risposta maschile c’è ed è evidente. Il gioco a tre, donna-donna-uomo è tutto da giocare come scrive la Dominijanni (“Via Dogana” dicembre 2005) “di una sorta di relazione sessuale  alla centralità che, nel discorso politico degli anni 70, la sessualità aveva avuto e che, in seguito, si è inabissata o rarefatta. C’è da chiedersi se di questa rarefazione non siamo state in qualche modo complici noi stesse; e se non sia proprio da lì che bisogna ripartire”.
La relazione con l’altro, nella sua necessità ed urgenza, non significa neutralizzare la differenza.  Sembra che tutti, politici, medici, filosofi, sappiano che cosa vuole una donna. Luce Irigaray, in un suo recente articolo, chiarisce che “se un diritto civile deve tutelare per una donna la possibilità di assumere in modo responsabile la sua identità di donna…e se pur generare è una decisione che spetta solo alla donna, lei sola sa se è in grado di ospitare un altro dentro di sé…la cultura della vita, la scelta dignitosa per una donna di conservarla come risorsa per tutta l’umanità, non ha prodotto azioni, gesti, garanzie per le donne”.
Viviamo in un mondo fatto di uomini e di donne, pubblico e privato; questo contagio deve creare pratiche reali; la difesa maschile non fa capire a molti uomini che esiste un desiderio senza sopraffazione.
Per ben sperare riporto le parole di Mario Deriu al convegno “Un confronto in libertà” (Via Dogana dicembre 2005): “la libertà femminile sia un’occasione anche per gli uomini…nel rapporto tra uomini e donne c’è una richiesta di riconoscimento e di legittimità che riguarda la storia maschile..e io sono tutto dentro quella storia” insomma “il maschile si sottrae alla relazione con l’altro genere se si sottrae alla relazione con sé stesso”. E come dice Angela Putino : “ormai siamo diventate capaci di guardare l’universo maschile; ci sono uomini ed uomini”

Lucia Mastrodomenico febbraio 2006