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Un pomeriggio di primavera


“Tut­ta la didattica è ba­sa­ta sul­la correzione di ciò che gli alun­ni sba­glia­no, non si fa un lavo­ro in posi­ti­vo su ciò che gli alun­ni fan­no bene, che li ren­de consapevoli del­la propria uni­ci­tà”.
(Alessandro D’Avenia)

Mi guarda dalla foto scattata per immortalare momenti di uno dei tanti progetti di riscatto delle periferie attraverso la Scuola. Intorno a lei altre adolescenti assorte in un lavoro di cucito, forse di ricamo. La stagione è questa, infatti la foto si intitola un pomeriggio di primavera . Un primo tepore denunciato dalla luce ma non ancora dagli abiti, i capelli lunghi un po’ ribelli, nessun segno di quel femminile esasperato di cui sempre più si vedono ammantate le adolescenti, specialmente quelle delle periferie. Le mani, ancora da bambina, tengono goffamente ma tenacemente un pezzo di stoffa sulla quale si delineano i disegni geometrici del punto a croce.
Abbozza un sorriso, è felice? Chi lo sa, gli occhi sono interrogativi, sembra dicano: vedi, ce la posso fare, anzi, ce la faccio! Il ricamo della pezza è praticamente finito. Ecco, il volto di questa giovane donna potrebbe significare il desiderio di un riscatto possibile, al di là dei luoghi comuni e di tanta stampa e televisione che rappresentano queste periferie come condannate senza scampo, -forse perché strumentali ad un sistema di relazioni e dis-valori molto più ampio-, e che ci riportano una classe giovanile orrenda e pericolosa.
Potrebbe essere il ritratto di tutte le ragazze che attraversano l’adolescenza, con tutti i problemi che essa comporta, ancora non pronte, ma ansiose di essere le donne che saranno.
Questo è il punto più delicato della loro vita. Negli occhi della ragazzina c’è la serietà e la solennità di essere donna, del mettersi alla prova, del constatare che lo svantaggio sociale, comprensivo anche di quello di genere, può essere vinto, il divario colmato nel rispetto delle reciproche differenze.
Ma non si vince se lo svantaggio genera una diseguaglianza culturale, ancorchè il benessere economico e materiale (che pur conta) sia abbastanza garantito ad uomini e donne di tutte le fasce sociali. 
La scuola dunque come luogo di opportunità per la crescita culturale, non come mera acquisizione di nozioni, che pur servono, ma come luogo di ascolto e di comprensione molto spesso difficilissima perché aggravata da sovrastrutture e schemi, secondo rituali molto più confortanti e normalizzanti rispetto alla innovazione ed alla sperimentazione di nuovi assetti relazionali, in coordinate quasi mai rintracciabili in altre pregresse.
Non a caso è il luogo delle relazioni sin dall’infanzia, luogo di relazioni complesse perché, insieme alla relazione medico paziente, fortemente asimmetriche; luogo il cui vero significato, come ci dice Lucia Mastrodomenico nella bella intervista al maestro di strada Cesare Moreno a partire da Don Milani, non è nell’istruzione che il maestro cerca di dare, ma nel valore che all’istruzione stessa sanno dare i ragazzi, per come la recepiscono e la riescono ad elaborare.
Ritornando alla foto, questa è stata scattata in una scuola dell’obbligo, e non è né l’orario delle lezioni, né un doposcuola, è altro, è un tentativo di utilizzare la scuola come luogo fisico di sottrazione al degrado culturale di simboliche “periferie” sempre più trasversali a tutti i ceti sociali, attraverso l’acquisizione della consapevolezza di sé, della potenzialità che ha bisogno di attenzione, cura e rispetto riconoscendo alla pedagogia, ed in particolare alla pedagogia della differenza sessuale,  la dignità e la centralità che le spettano. Diventa sempre più urgente “stare nella verità” intesa come predisposizione alla ricerca, all’avventura, alla curiosità. Sono questi in fondo, i veri presupposti di un qualsiasi atteggiamento culturale, che si fonda il desiderio di conoscenza, prima ancora che sulla conoscenza acquisita. (Emilio Varrà)
Diversamente, per dirla con Lucia Mastrodomenico, una scuola che esprima il giudizio quale logica conseguenza di una prestazione, determinando così  uno  svuotamento di senso che rende i passaggi della crescita (compreso quello di una reale autonomia) e le relazioni tra i ragazzi e tra i ragazzi e le insegnanti, rischia di divenire un bene insignificante.

Maria Vittoria Montemurro