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Algoretica


Paolo Benanti, docente di Teologia Morale e Bioetica presso l’Università Gregoriana, intervistato da un giornalista del settimanale L’Espresso (23 febbraio 2020) illustra il significato del neologismo “algoretica”, la nuova disciplina che vorrebbe rendere le macchine capaci di computare principi tipicamente umani. Benanti ha coordinato il tavolo di lavoro della Pontificia Accademia per la Vita, composto da esperti di bioetica, esponenti dell’industria tecnologica e del sindacato, che ha prodotto la carta etica per contribuire a rendere l’intelligenza artificiale più umana.  Una chiamata per tutti gli uomini di buona volontà affinchè la tecnologia resti umana. Normative al proposito non ce ne sono. Il tavolo di lavoro della Pontificia Accademia per la Vita si è dato il compito di ragionare su questi temi, ancor prima che essi vengano regolamentati per legge, di redigere una vera e propria Carta Etica, frutto di un percorso condiviso tra esperti di etica e rappresentanti dell’industria.
Ad esempio, precisa Benanti, “tutti noi siamo felici di ricevere servizi gratuiti, come le app di navigazione; perché, un tempo, per un’applicazione ci chiedevano 50 euro all’anno ed oggi è gratis? Risulta evidente che il costo del servizio è la app stessa. Non ci siamo resi conto che tutto il nuovo mercato digitale, basato sulla nostra produzione di dati, ci considera risorse da consumare. Ma siccome l’uso sbagliato di queste, come si è visto con l’ambiente, ci ha portato alla situazione attuale, bisogna chiedersi: quali regole occorre mettere in atto per evitare che accada alle persone ciò che è accaduto alle risorse naturali? Se la macchina che surroga l’uomo in tante decisioni, commette un errore, chi è responsabile?”
Le grandi trasformazioni in atto riguardano anche il lavoro. Appaiono, ci ricorda Benanti, nuovi grandi attori sociali nel mondo del lavoro quali l’algoritmo e le nuove forme di potere: le piattaforme digitali. Con la scusa di considerare le persone imprenditori di se stessi si introducono nuove forme di lavoro a cottimo, senza tutele. Come ci ricorda Ken Loach, nel suo ultimo film “Sorry we missed you”, si può arrivare a situazioni in cui i corrieri risultano oppressi dalla dittatura delle consegne.
D’altra parte anche nuove forme di lavoro, ad esempio lo smart working, il lavoro agile, aprono scenari normativi, sindacali, ed anche etici di non poco conto. Il lavoro agile, tra l’altro, è divenuto di grande attualità in questo periodo virale nel quale l’invito a “restare a casa”, in alcuni paesi del mondo (Cina, Italia) è divenuto un obbligo normativo. Il lavoro subordinato, grazie all’utilizzo di strumenti tecnologici, mediante l’accordo tra le parti, può essere svolto con una nuova organizzazione, per fasi, cicli ed obiettivi, senza vincoli di orario o di luogo di lavoro. Ma, ancora una volta, tutto passa attraverso le macchine, l’informatica, le video conferenze. Occorre chiedersi: quali scenari sociali, psicologici, etici aprono lo smart working e le altre nuove forme di lavoro a domicilio, resi possibili, dall’utilizzo di supporti informatici?  
L’algoretica vuole mettere insieme algoritmi ed etica; non bastano più filosofia, tecnologia, informatica. Serve la contaminazione. Se le macchine riescono a surrogare l’uomo in tante decisioni, bisogna riflettere su come questa surroga deve avvenire, con quali criteri, con quali limiti. “L’etica può essere la disciplina che ci permette di vivere in modo più sicuro con queste macchine sapienti” ci ricorda Paolo Benanti.