Stefano Mancuso, botanico e docente all’università
di Firenze,
dove dirige il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia
Vegetale
Il
progetto non profit “Prospettiva Terra”, coordinato da Stefano Mancuso, ha
creato sensori speciali in grado di monitorare in tempo reale il rischio
crollo: Un rischio destinato a crescere con cambiamento climatico e incuria.
“Perché dal futuro del verde pubblico dipende la sopravvivenza delle stesse
città”
Sarà
l’intelligenza artificiale a salvare gli alberi delle nostre città.
Attraverso un monitoraggio costante della loro salute e della loro stabilità,
spesso messe a dura prova dai fenomeni climatici estremi, in primis ondate di
calore estive e precipitazioni intense. Arriva dal progetto non profit Prospettiva Terra, coordinato da Stefano Mancuso, una soluzione più che promettente
alla diffusa esigenza di tutelare il verde pubblico, valutando in tempo
reale anomalie e rischio di caduta attraverso sensori in grado di registrare
parametri chiave, come l’inclinazione del tronco e la frequenza naturale di
oscillazione. E preservando così il ruolo cruciale che riveste
nel miglioramento della qualità dell’aria e nella regolazione del
microclima urbano, oltre a fornire habitat per la biodiversità e spazi di
benessere per i cittadini.
Il prototipo,
che si chiama Stabilitree, sarà presentato nei prossimi giorni a Milano,
nel corso della Green Week: la fase sperimentale, condotta da aprile 2024 ad aprile 2025 su 300
alberi della Biblioteca degli Alberi di Milano (BAM), ha consentito
di elabora modelli di IA capaci già oggi di interpretare aspetti diversi delle
informazioni raccolte attraverso dei sensori, una sorta di “sentinella” in
grado di lanciare un alert quando qualcosa non va.
“Siamo partiti
dalla constatazione che le amministrazioni pubbliche spesso non riescono, per
problemi di budget, a effettuare un costante controllo della salute degli
alberi e che questo sia oggi ancor più necessario per intercettare e prevenire
gli effetti del riscaldamento globale”, spiega a Green&Blue Stefano
Mancuso, botanico e docente all’università di Firenze, dove dirige il
Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale, che studia da tempo la
sensibilità e il comportamento delle piante, mostrando come percepiscano e
reagiscano all’ambiente con strategie complesse.
Un “grande
fratello” del verde pubblico
“Non v’è dubbio che l’incremento di intensità e frequenza dei fenomeni climatici estremi, legati all’aumento della temperatura sul pianeta, sottoponga gli alberi a uno stress crescente. – aggiunge – E che il peggioramento della qualità dell’aria incida sulla salute degli alberi e il numero di quelli che crolleranno sia destinato nei prossimi anni ad aumentare fatalmente, a Roma come a Milano, a Torino come a Napoli”. Di qui, dunque, l’esigenza di una sorta di “grande fratello” del verde metropolitano, un occhio tecnologico che non sostituirà i controlli degli esperti del verde pubblico ma aiuterà a ridurre significativamente i rischi per i cittadini.
“Grazie a modelli di IA, è possibile sapere in tempo reale se un albero è in salute, come evolvono le sue condizioni, se emergono anomalie o se corre il rischio di cadere”, spiega Mancuso. Con radici spesso costrette in spazi ridotti, effetti diretti e indiretti da smog, potature talvolta aggressive, danni da traffico e crisi climatica in corso, gli alberi hanno da tempo lanciato un metaforico Sos, del resto. “Questo percorso di sperimentazione ci consente, oggi, di essere vicinissimi alla creazione di uno strumento che avvisi quando un albero ha una probabilità significativa di cadere”, aggiunge Mancuso.
Gli alberi ci
raccontano anche quello che fanno per noi
Il sistema è stato sviluppato da PNAT con il supporto di “Prospettiva Terra”, che riunisce aziende, organizzazioni non profit, comunità scientifica e istituzioni per combattere il riscaldamento globale tramite la ricerca scientifica. Con il contributo di Henkel, Ricola, Omnicom Media Group e McDonald’s, la prima messa a punto ha confermato che sarà semplice, in un futuro ormai prossimo, gestire con sicurezza il verde urbano, soprattutto in relazione ai rischi meteorologici. I ricercatori hanno sviluppato modelli predittivi basati sul machine learning, elaborando grandi volumi di dati, individuando pattern ricorrenti e migliorando nel tempo le proprie previsioni: un approccio che ha permesso di costruire un sistema dinamico, in grado di apprendere e affinare la sua sensibilità man mano che aumentano le situazioni osservate.
“Dal piccolo campione degli alberi di Milano, piante tendenzialmente in salute, il sistema può naturalmente essere mutuato altrove, installando sensori in un campione di verde pubblico cittadino, magari partendo da esemplari che appaiono già oggi a rischio”, aggiunge Mancuso. “Vorremmo lavorare in parchi pubblici, nelle periferie delle metropoli, lungo i viali alberati che costeggiano strade ad alta percorrenza”, prosegue. E in un’ottica open source non sembra marginale la condivisione, a un pubblico trasversale, dei dati di ogni singolo albero, a cominciare dal suo apporto alla qualità dell’aria cittadina. “Già, con una app ognuno potrebbe apprendere, istantaneamente, quanta CO? assorbe al giorno un singolo esemplare, quanta acqua assorba e quale sia il contributo concreto al contrasto al cambiamento climatico. – annota ancora Mancuso – In soldoni, possiamo sapere in tempo reale quanto quel singolo albero stia facendo per noi”. Un motivo in più per essergli espressamente riconoscente, preservandolo.
Quali saranno
gli alberi del futuro?
L’intelligenza artificiale promette anche di mostrare quali specie possano rivelarsi più resilienti al cambiamento climatico: “Rifuggendo al mito della salvaguardia della tutela della flora autoctona, dovremmo già oggi rivolgerci verso specie che vivono nelle condizioni climatiche che, secondo i modelli, avremo tra venti o trent’anni, e che saranno fatalmente diverse da quelle di oggi. – spiega Mancuso - Chi mette oggi a dimora un piccolo albero, deve farlo nella piena consapevolezza che il clima in Italia sarà sempre più tropicale: meno platani e tigli, dunque, e più specie nuove. Non è un caso che già oggi alcune tra le migliori coltivazioni di avocado al mondo siano in Sicilia, dove si coltivano anche mango e papaya, specie che fino a vent’anni fa pensavamo relegate ad altre latitudini. Né è un caso che la Svezia oggi produca vino, con migliaia di ettari di vigneto in un territorio fino a qualche anno fa impensabile; idem per il sud dell’Inghilterra. Ecco, se l’agricoltura si adatta alla crisi climatica, non può che farlo anche chi progetta le alberature delle città di domani”.
E se
immaginassimo piazze come foreste urbane?
Ma è proprio la progettazione delle metropoli del futuro uno dei punti caldi dell’intera questione: se l’indirizzo su scala europea è quello di aree verdi diffusi, che favoriscano la biodiversità metropolitana e contrastino il numero crescente delle ondate di calore, in Italia si è ancora molto indietro, parola di Stefano Mancuso. “Già, perché è un mantra delle amministrazioni l’idea di piantare alberi, ma i risultati ad oggi sono ristrutturazioni di piazze importanti, nelle nostre metropoli, completamente piastrellate, con una presenza minima di vegetazione e senza alcuna possibilità di assorbimento delle piogge. – spiega – Ecco, in Italia siamo indietro. Dovremmo imparare da modelli come quello di Parigi, dove Place de l'Hôtel-de-Ville è stata completamente depavimentata e ospita oggi una foresta urbana, un’area apprezzata dai cittadini, soprattutto d’estate. Chiediamoci allora perché immaginare una cosa simile in una delle nostre piazze farebbe scandalo”.
“Non v’è dubbio che l’incremento di intensità e frequenza dei fenomeni climatici estremi, legati all’aumento della temperatura sul pianeta, sottoponga gli alberi a uno stress crescente. – aggiunge – E che il peggioramento della qualità dell’aria incida sulla salute degli alberi e il numero di quelli che crolleranno sia destinato nei prossimi anni ad aumentare fatalmente, a Roma come a Milano, a Torino come a Napoli”. Di qui, dunque, l’esigenza di una sorta di “grande fratello” del verde metropolitano, un occhio tecnologico che non sostituirà i controlli degli esperti del verde pubblico ma aiuterà a ridurre significativamente i rischi per i cittadini.
“Grazie a modelli di IA, è possibile sapere in tempo reale se un albero è in salute, come evolvono le sue condizioni, se emergono anomalie o se corre il rischio di cadere”, spiega Mancuso. Con radici spesso costrette in spazi ridotti, effetti diretti e indiretti da smog, potature talvolta aggressive, danni da traffico e crisi climatica in corso, gli alberi hanno da tempo lanciato un metaforico Sos, del resto. “Questo percorso di sperimentazione ci consente, oggi, di essere vicinissimi alla creazione di uno strumento che avvisi quando un albero ha una probabilità significativa di cadere”, aggiunge Mancuso.
Il sistema è stato sviluppato da PNAT con il supporto di “Prospettiva Terra”, che riunisce aziende, organizzazioni non profit, comunità scientifica e istituzioni per combattere il riscaldamento globale tramite la ricerca scientifica. Con il contributo di Henkel, Ricola, Omnicom Media Group e McDonald’s, la prima messa a punto ha confermato che sarà semplice, in un futuro ormai prossimo, gestire con sicurezza il verde urbano, soprattutto in relazione ai rischi meteorologici. I ricercatori hanno sviluppato modelli predittivi basati sul machine learning, elaborando grandi volumi di dati, individuando pattern ricorrenti e migliorando nel tempo le proprie previsioni: un approccio che ha permesso di costruire un sistema dinamico, in grado di apprendere e affinare la sua sensibilità man mano che aumentano le situazioni osservate.
“Dal piccolo campione degli alberi di Milano, piante tendenzialmente in salute, il sistema può naturalmente essere mutuato altrove, installando sensori in un campione di verde pubblico cittadino, magari partendo da esemplari che appaiono già oggi a rischio”, aggiunge Mancuso. “Vorremmo lavorare in parchi pubblici, nelle periferie delle metropoli, lungo i viali alberati che costeggiano strade ad alta percorrenza”, prosegue. E in un’ottica open source non sembra marginale la condivisione, a un pubblico trasversale, dei dati di ogni singolo albero, a cominciare dal suo apporto alla qualità dell’aria cittadina. “Già, con una app ognuno potrebbe apprendere, istantaneamente, quanta CO? assorbe al giorno un singolo esemplare, quanta acqua assorba e quale sia il contributo concreto al contrasto al cambiamento climatico. – annota ancora Mancuso – In soldoni, possiamo sapere in tempo reale quanto quel singolo albero stia facendo per noi”. Un motivo in più per essergli espressamente riconoscente, preservandolo.
L’intelligenza artificiale promette anche di mostrare quali specie possano rivelarsi più resilienti al cambiamento climatico: “Rifuggendo al mito della salvaguardia della tutela della flora autoctona, dovremmo già oggi rivolgerci verso specie che vivono nelle condizioni climatiche che, secondo i modelli, avremo tra venti o trent’anni, e che saranno fatalmente diverse da quelle di oggi. – spiega Mancuso - Chi mette oggi a dimora un piccolo albero, deve farlo nella piena consapevolezza che il clima in Italia sarà sempre più tropicale: meno platani e tigli, dunque, e più specie nuove. Non è un caso che già oggi alcune tra le migliori coltivazioni di avocado al mondo siano in Sicilia, dove si coltivano anche mango e papaya, specie che fino a vent’anni fa pensavamo relegate ad altre latitudini. Né è un caso che la Svezia oggi produca vino, con migliaia di ettari di vigneto in un territorio fino a qualche anno fa impensabile; idem per il sud dell’Inghilterra. Ecco, se l’agricoltura si adatta alla crisi climatica, non può che farlo anche chi progetta le alberature delle città di domani”.
Ma è proprio la progettazione delle metropoli del futuro uno dei punti caldi dell’intera questione: se l’indirizzo su scala europea è quello di aree verdi diffusi, che favoriscano la biodiversità metropolitana e contrastino il numero crescente delle ondate di calore, in Italia si è ancora molto indietro, parola di Stefano Mancuso. “Già, perché è un mantra delle amministrazioni l’idea di piantare alberi, ma i risultati ad oggi sono ristrutturazioni di piazze importanti, nelle nostre metropoli, completamente piastrellate, con una presenza minima di vegetazione e senza alcuna possibilità di assorbimento delle piogge. – spiega – Ecco, in Italia siamo indietro. Dovremmo imparare da modelli come quello di Parigi, dove Place de l'Hôtel-de-Ville è stata completamente depavimentata e ospita oggi una foresta urbana, un’area apprezzata dai cittadini, soprattutto d’estate. Chiediamoci allora perché immaginare una cosa simile in una delle nostre piazze farebbe scandalo”.
Ecco gli alberi che
raffreddano di più le città
Uno studio condotto dei ricercatori dell'Università di
Valencia
ha identificato le tre specie migliori: cinnamomo, fiore d'arancio,
olmo
Tratto da “La Repubblica” del 26 settembre 2025
Da Madrid a Milano, da Roma a Lisbona, nelle grandi città la colonnina di mercurio sta aumentando sempre di più. Alcuni materiali edili, come asfalto, cemento, mattoni, assorbono il calore durante il giorno, lo trattengono e lo rilasciano lentamente di notte. Pertanto, anche dopo il tramonto, le temperature rimangono elevate, con una differenza sempre più marcata rispetto alle aree rurali, che può raggiungere gli 8 gradi. Una delle soluzioni più efficaci a questo problema sono gli alberi, che non solo forniscono ombra, ma raffreddano anche l'aria attraverso il trasferimento di umidità nell'atmosfera, un processo che gli esperti chiamano evapotraspirazione. Non tutte le piante hanno, però, lo stesso effetto: alcune sono più efficaci di altre nel rinfrescare le aree metropolitane.
La ricerca spagnola
Ed è proprio ciò che risulta da un recente studio pubblicato su Building and Environment e condotto dai ricercatori dell’Università di Valencia, in Spagna, che hanno usato sofisticati algoritmi di intelligenza artificiale per analizzare la temperatura della superficie terrestre. Con le Support vector machines, un tipo di machine learning, hanno ottenuto previsioni molto accurate, con un’affidabilità superiore all’80%. Questo metodo ha consentito di andare oltre il dato generale sul calore e di identificare le specie arboree più idonee a mitigare l’afa. Grazie alle analisi, sono emerse tre varietà in particolare: il cinnamomo cinese (Melia azedarach), che cresce rapidamente e ha foglie grandi e fitte; il fiore d'arancio giapponese (Pittosporum tobira), che è resistente alla siccità e ha una chioma bassa e compatta, ideale per le strade strette; l’olmo (Ulmus minor), che vanta fronde ampie, sebbene il suo impiego sia diminuito a causa della vulnerabilità a malattie come la grafiosi, causata da un fungo.
L’importanza delle specie autoctone
“Questi esemplari si adattano bene al clima mediterraneo”, spiega Daniel Jato-Espino, professore di Ingegneria e gestione ambientale dell’ateneo valenziano, oltre che autore del lavoro. “Tuttavia, i primi due provengono dall'Asia, rispettivamente meridionale e orientale, mentre il terzo è autoctono europeo. Ed è importante dare priorità alla piantumazione di specie native, che si adattano meglio all'ambiente locale e presentano minori rischi ecologici negli ecosistemi urbani”.
Anche la posizione conta
Non si tratta, però, solo di piantare più alberi. Bisogna anche scegliere attentamente il luogo in cui posizionarli. Un albero mal adattato o mal collocato avrà, infatti, un effetto limitato, al contrario metterlo a dimora nel posto giusto può ridurre in modo significativo le temperature nelle aree critiche. Nello specifico, per ottenere impatti su larga scala, gli esemplari devono essere integrati nelle reti verdi del territorio, collegandosi a parchi e giardini. Misure, queste, che migliorano pure la qualità dell'aria, aumentano la biodiversità, riducono il consumo energetico richiedendo meno aria condizionata e possono perfino incrementare il valore delle abitazioni nella zona.
Città più vivibili grazie alle piante
Inoltre, secondo la ricerca spagnola, è utile coinvolgere i cittadini nei progetti di riforestazione, incoraggiando così la cura degli spazi pubblici.
“Gli alberi sono molto più di un semplice ornamento urbano”, sostiene Jato-Espino. “Sono infrastrutture naturali, in grado di fare la differenza tra una città soffocante e una vivibile. In un contesto di cambiamento climatico, investire negli alberi significa investire nel benessere, nella salute e nella resilienza delle nostre città”.
Da Madrid a Milano, da Roma a Lisbona, nelle grandi città la colonnina di mercurio sta aumentando sempre di più. Alcuni materiali edili, come asfalto, cemento, mattoni, assorbono il calore durante il giorno, lo trattengono e lo rilasciano lentamente di notte. Pertanto, anche dopo il tramonto, le temperature rimangono elevate, con una differenza sempre più marcata rispetto alle aree rurali, che può raggiungere gli 8 gradi. Una delle soluzioni più efficaci a questo problema sono gli alberi, che non solo forniscono ombra, ma raffreddano anche l'aria attraverso il trasferimento di umidità nell'atmosfera, un processo che gli esperti chiamano evapotraspirazione. Non tutte le piante hanno, però, lo stesso effetto: alcune sono più efficaci di altre nel rinfrescare le aree metropolitane.
La ricerca spagnola
Ed è proprio ciò che risulta da un recente studio pubblicato su Building and Environment e condotto dai ricercatori dell’Università di Valencia, in Spagna, che hanno usato sofisticati algoritmi di intelligenza artificiale per analizzare la temperatura della superficie terrestre. Con le Support vector machines, un tipo di machine learning, hanno ottenuto previsioni molto accurate, con un’affidabilità superiore all’80%. Questo metodo ha consentito di andare oltre il dato generale sul calore e di identificare le specie arboree più idonee a mitigare l’afa. Grazie alle analisi, sono emerse tre varietà in particolare: il cinnamomo cinese (Melia azedarach), che cresce rapidamente e ha foglie grandi e fitte; il fiore d'arancio giapponese (Pittosporum tobira), che è resistente alla siccità e ha una chioma bassa e compatta, ideale per le strade strette; l’olmo (Ulmus minor), che vanta fronde ampie, sebbene il suo impiego sia diminuito a causa della vulnerabilità a malattie come la grafiosi, causata da un fungo.
L’importanza delle specie autoctone
“Questi esemplari si adattano bene al clima mediterraneo”, spiega Daniel Jato-Espino, professore di Ingegneria e gestione ambientale dell’ateneo valenziano, oltre che autore del lavoro. “Tuttavia, i primi due provengono dall'Asia, rispettivamente meridionale e orientale, mentre il terzo è autoctono europeo. Ed è importante dare priorità alla piantumazione di specie native, che si adattano meglio all'ambiente locale e presentano minori rischi ecologici negli ecosistemi urbani”.
Anche la posizione conta
Non si tratta, però, solo di piantare più alberi. Bisogna anche scegliere attentamente il luogo in cui posizionarli. Un albero mal adattato o mal collocato avrà, infatti, un effetto limitato, al contrario metterlo a dimora nel posto giusto può ridurre in modo significativo le temperature nelle aree critiche. Nello specifico, per ottenere impatti su larga scala, gli esemplari devono essere integrati nelle reti verdi del territorio, collegandosi a parchi e giardini. Misure, queste, che migliorano pure la qualità dell'aria, aumentano la biodiversità, riducono il consumo energetico richiedendo meno aria condizionata e possono perfino incrementare il valore delle abitazioni nella zona.
Città più vivibili grazie alle piante
Inoltre, secondo la ricerca spagnola, è utile coinvolgere i cittadini nei progetti di riforestazione, incoraggiando così la cura degli spazi pubblici.
“Gli alberi sono molto più di un semplice ornamento urbano”, sostiene Jato-Espino. “Sono infrastrutture naturali, in grado di fare la differenza tra una città soffocante e una vivibile. In un contesto di cambiamento climatico, investire negli alberi significa investire nel benessere, nella salute e nella resilienza delle nostre città”.

