Nel percorrere via Posillipo da
Mergellina, quasi alla fine della strada, si resta sempre molto incuriositi da
un’imponente costruzione dall’aspetto esotico, che spicca tra la vegetazione,
posta su una erta che ne esalta la monumentalità. L’esterno è austero e incute
timore con le sue quattro colonne di gusto egizio e le cariatidi sovrastanti,
sovrastate a loro volta da una imponente cupola verde; si tratta del Mausoleo
ai Caduti, ma più propriamente dovremmo definirlo mausoleo Schilizzi. Infatti
l’imponente monumento venne edificato tra il 1881 ed il 1889, dall’ingegnere
napoletano Alfonso Guerra su commissione di Matteo Schilizzi, banchiere
livornese trasferitosi a Napoli, che qui intendeva ospitare le tombe dei suoi familiari.
Il gusto eclettico e la magniloquenza celebrativa anche secondo un certo gusto
dell’epoca, fece di quell’edificio commemorativo uno splendido e raro esempio
di quella che i testi che spesso i manuali di architettura definiscono «il
migliore esempio di architettura neo-egizia in Europa»
Ma chi era questo Matteo Schilizzi dalla vita triste ed avventurosa che nonostante le sue origini toscane tanto ha dato alla città di Napoli? Matteo Schilizzi, nato a Livorno nel 1858 da una famiglia ebrea di origine cipriota, era un uomo ricchissimo, singolare e generoso che aiutò molti indigenti partenopei durante il colera del 1884. Insieme alla duchessa Teresa Filangieri Ravaschieri fondò nel 1900 l’ospedale “Lina Ravaschieri”, primo ospedale ortopedico per bambini. Schilizzi era anche attivamente impegnato nella vita politica e sociale napoletana; fu anche uno dei maggiori finanziatori del Corriere di Napoli nonché protagonista di attività finanziarie e speculative. Le cronache dell’epoca lo descrivono come un uomo distinto e gentile, i cui ricevimenti nella sua villa di Mergellina vedevano il fior fiore della nobiltà napoletana, ma che nell’intimità serbava un tratto depressivo e malinconico probabilmente per la sua storia personale costellata di lutti e caratterizzata da una salute non brillante; schivo, lo potremmo definire uno “scapolo d’oro” per la sua immensa ricchezza e per non essersi mai legato ad alcuna donna. Il resto della vita di quest’uomo singolare restò immersa nel mistero e da una cifra di originalità che lo spinse addirittura a distruggere tutti i documenti che lo riguardassero.
Ma chi era questo Matteo Schilizzi dalla vita triste ed avventurosa che nonostante le sue origini toscane tanto ha dato alla città di Napoli? Matteo Schilizzi, nato a Livorno nel 1858 da una famiglia ebrea di origine cipriota, era un uomo ricchissimo, singolare e generoso che aiutò molti indigenti partenopei durante il colera del 1884. Insieme alla duchessa Teresa Filangieri Ravaschieri fondò nel 1900 l’ospedale “Lina Ravaschieri”, primo ospedale ortopedico per bambini. Schilizzi era anche attivamente impegnato nella vita politica e sociale napoletana; fu anche uno dei maggiori finanziatori del Corriere di Napoli nonché protagonista di attività finanziarie e speculative. Le cronache dell’epoca lo descrivono come un uomo distinto e gentile, i cui ricevimenti nella sua villa di Mergellina vedevano il fior fiore della nobiltà napoletana, ma che nell’intimità serbava un tratto depressivo e malinconico probabilmente per la sua storia personale costellata di lutti e caratterizzata da una salute non brillante; schivo, lo potremmo definire uno “scapolo d’oro” per la sua immensa ricchezza e per non essersi mai legato ad alcuna donna. Il resto della vita di quest’uomo singolare restò immersa nel mistero e da una cifra di originalità che lo spinse addirittura a distruggere tutti i documenti che lo riguardassero.
Si diceva del mausoleo, la cui nascita
fu dovuta alla morte del fratello dell’uomo, Marco, che a vent’anni morì in
guerra senza sepoltura, e per il quale Schilizzi decise di costruire «il
monumento dell’infinito» dedicato alla memoria, come testimonia lo stesso
ingegnere Guerra. La costruzione dell’opera investì totalmente il livornese,
che non badò a spese e anzi decise di contribuire personalmente alla progettazione
con raccomandazioni e suggerimenti. Tutto l’entusiasmo e l’impegno profusi nei
lavori però cessarono improvvisamente. I lavori furono interrotti
inspiegabilmente nel 1889, per cause non chiare e lo stesso Schilizzi sparì,
nel nulla. La sua storia personale fu quindi intessuta di verità e leggende, in
particolare relativamente alle sue spoglie mortali finite nell’ossario del
cimitero di Poggioreale, dopo che morì presumibilmente nel 1905, a soli 47
anni. Ne scrisse anche Eduardo Scarfoglio, su «il Mattino» nel 1905, di questa
figura misteriosa: «L’origine lontana, la fama favolosa della ricchezza, e il
destino mortale che pareva accanito inesorabilmente contro la sua stirpe». Il
Mausoleo dopo la morte di Schilizzi rimase quindi incompleto e fu soltanto dopo
un lunghissimo stato di fermo e abbandono, che durò trent’anni, che Camillo
Guerra ne completò la costruzione. Dopo la morte dell’ingegnere Guerra, nel
1920, però il Mausoleo fu nuovamente abbandonato. Il comune di Napoli nel 1921,
dopo l’interessamento dimostrato da molte persone, decise di acquistare la
struttura e poi trasformarla nel 1929 in un Mausoleo per i Caduti della Prima e
Seconda guerra mondiale e delle Quattro giornate di Napoli, come possiamo
vederlo ancora oggi in alcune manifestazioni istituzionali.
Il Mausoleo con il suo parco è attualmente chiuso al pubblico; molto significativo l’interessamento del FAI, che ne ha permesso occasionali aperture. Interessanti sono i numerosi contributi di intellettuali come ad esempio Francesco Carignani che nel film suo documentario* ci offre un importante ritratto di questo uomo singolarissimo che la leggenda vuole ancora si aggiri nel parco di Posillipo, e che non merita l’oblio.
Il Mausoleo con il suo parco è attualmente chiuso al pubblico; molto significativo l’interessamento del FAI, che ne ha permesso occasionali aperture. Interessanti sono i numerosi contributi di intellettuali come ad esempio Francesco Carignani che nel film suo documentario* ci offre un importante ritratto di questo uomo singolarissimo che la leggenda vuole ancora si aggiri nel parco di Posillipo, e che non merita l’oblio.
Maria Vittoria Montemurro