di Margherita Losacco
tratto da Le Parole e Le Cose
Il capitolo IV, Sofocle e Atene, è forse il capitolo centrale del libro, il passaggio che dà senso all’intera riflessione Contro Antigone. In esso, Eva Cantarella ricostruisce la figura, il profilo politico di Sofocle – che non fu un tragediografo di mestiere, nauralmente, ma fu uomo politico, stratego con Pericle e dopo la morte di Pericle. Rivestì cariche politiche del massimo rilievo per tutto il corso della sua vita, verosimilmente da posizioni moderatamente conservatrici all’interno dell’entourage pericleo, o dentro la sua sfera di influenza. E ben dopo la morte di Pericle, 84enne, fu fra i probuli che instaurarono l’oligarchia dei Quattrocento. Nel 458, con l’Orestea – unica trilogia superstite – Eschilo mette in scena la nascita dell’Areopago, primo tribunale ateniese: giudici imparziali avrebbero giudicato i fatti di sangue, e posto un argine alla cultura della vendetta individuale e particolare. Nel 442, con l’Antigone, Sofocle oppone all’ordine delle leggi la scelta individualista e antipolitica di Antigone: forse a significare agli Ateniesi «i rischi – scrive Cantarella – insiti nell’anteporre gli obiettivi individuali a quelli della polis»[20]. L’egoismo sociale, appunto.
Le tragedie greche consentono livelli plurimi di lettura e di interpretazione: e questa lettura di Eva Cantarella (nel cap. IV in particolare) arricchisce la riflessione dei moderni sull’Antigone. Anzitutto perché ne inscrive il significato non dentro una astratta opposizione ideale, ma dentro la politicità intrinseca della tragedia greca, senza la quale ogni interpretazione del teatro greco antico rischia di risultare pericolosamente monca. E mi permetto qui di aggiungere un dettaglio. Nell’epitafio di Pericle per i caduti nei primi anni della guerra del Peloponneso (430), che possediamo nella ricostruzione di Tucidide (II 34-47), Pericle ricorda ai cittadini che Atene, «culla della Grecia», si fonda sul rispetto delle leggi: scritte e non scritte. È un passaggio capitale (II 37, 3), da leggere in parallelo con l’ Antigone (e con l’Aiace):
nella vita pubblica il timore ci impone di evitare col massimo rigore di agire illegalmente, piuttosto che in ubbidienza ai magistrati in carica e alle leggi; soprattutto alle leggi disposte in favore delle vittime di un’ingiustizia e a quelle che, anche se non sono scritte, per comune consenso minacciano l’infamia[21].
E qui, nella sintonia fra il Pericle tucidideo (l’unico che abbiamo) e il testo dell’Antigone, si ricostruisce bene come il teatro di Sofocle sia, come ha scritto Luciano Canfora, «un altro dei tramiti attraverso i quali i valori maturati nel livello più alto, sia pure attraverso quei colossali burattini che sono i personaggi del mito, vengono trasmessi alla comunità: è uno dei canali dell’educazione politica dell’Atene periclea»[22]. Nei tormentati anni Quaranta del V secolo, contenuti e valori della democrazia ateniese – la riflessione sulle leggi e sulla polis, sulla forza dell’uomo piena di risorse e di rischi, del suo pensiero e della sua energia costruttrice e creatrice, dell’uomo che ha trovato scampo a malattie immedicabili, e solo viene sconfitto dalla morte – vengono trasmessi agli Ateniesi attraverso il teatro, luogo della formazione delle coscienze nella città antica: come nel celebre primo stasimo dell’Antigone. Ed è dunque tanto più plausibile che l’Antigone sia il luogo di una riflessione, anche aporetica, sul senso e sul significato del rispetto delle leggi, le leggi scritte e le leggi non scritte.
V-VI
Dal personaggio al mito e Il mito oggi sono gli ultimi due capitoli del libro di Eva Cantarella. E alle moderne ricezioni e reincarnazioni del mito di Antigone vorrei aggiungerne una non individuale, ma collettiva, che è raccontata nel libro dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo Naufraghi senza volto[23]. Il suo laboratorio, LABANOF, Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense, a partire dal naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 (368 morti accertati, 20 dispersi, tutti eritrei o etiopi), lavora per dare un nome e un volto ai morti senza nome e senza volto dei naufragi del Mediterraneo. Nel leggere il libro di Cristina Cattaneo, tornano alla mente la richiesta di Priamo ad Achille, nell’Iliade (XXIV 468-620), per ottenere la restituzione del corpo di Ettore; la parvenza di sepoltura data a Polinice da Antigone; il verso dell’Elena di Euripide, quando, nell’incastro di equivoci e finzioni di questa tragedia, Elena chiede a Teoclimeno di poter seppellire il marito morto (o che, meglio, nella singolare tragedia costituita dall’Elena si finge morto: vv. 1239-1243):
Elena:. Il mio povero marito, lo voglio seppellire.
Teoclimeno [re dell’Egitto]: Ma come? Vuoi seppellire uno che non c’è? O vuoi destinare un sarcofago a un’ombra?
Elena: Tra i Greci, c’è un’abitudine (νόμος) se uno è scomparso in mare…
Teoclimeno: Quale?
Elena: Di seppellirli in sudari di vesti vuote[24].
Elena chiede di dare sepoltura a un telo, a una veste vuota di corpo: si seppellisce perfino il corpo che non c’è.
Per i migranti, osserva Cristina Cattaneo, in un mondo assai più complesso dell’Atene del V secolo, poter seppellire un corpo è necessario, si deve «non solo per rispetto, per tutelare la loro dignità e per salvaguardare la salute (non solo mentale) di quelli che si lasciano dietro»[25]. Ma anche per permettere – a livello penale, civile, amministrativo – ai vivi di continuare a vivere e a esercitare i propri diritti di cittadini.
L’Antigone è forse il testo del corpus letterario greco superstite che ha conosciuto la fortuna più ampia, i riusi più frequenti e più vasti, la ricezione più ininterrotta e vivace dal Romanticismo in poi. È un testo intorno al quale è difficile dire, anche solo pensare qualcosa di nuovo (che è poi, o dovrebbe essere, il senso ultimo della ricerca scientifica). Eppure, a questo testo quant’altri mai letto, commentato, riusato Eva Cantarella restituisce, se possibile, complessità e spessore nuovi: sollecita a riflettere su questioni eterne; getta luce – come in una moderna scenografia teatrale – su figure finora marginali e comprimarie (come Emone, come Ismene). E legge in una luce nuova e sorprendente Creonte, permettendoci in tal modo di ripensare il potere e le sue infinite, mutevoli, difficili forme e conseguenze.
Queste riflessioni hanno avuto origine nell’incontro di studi sul saggio Contro Antigone di Eva Cantarella che ha avuto luogo presso l’Ateneo Veneto (Venezia) il 20 marzo 2025, nell’ambito delle Letture Cafoscarine di Diritto e Società.