Gianni Montieri
Tratto da Lucy
sulla Cultura del 18 Dicembre 2025
"È nata in
Canada e si guadagna da vivere insegnando il greco antico", recita la
modesta biografia di Anne Carson. Modestia che ben si sposa con la grandezza
della scrittrice, che si è inventata un genere letterario – forse più generi –
in un esperimento formale continuo e meraviglioso.
In casa, i molti libri sono ordinati lungo gli scaffali secondo diverse
categorie. Poesia, narrativa, saggistica, critica letteraria, linguistica,
fotografia, cataloghi di mostre, fumetti; ciascuna sezione viene poi
ulteriormente organizzata per ordine alfabetico e casa editrice, qualche volta
per colore. Nulla di strano, esistono molti modi di catalogare e conservare i
libri, basta poi trovarli quando ci occorrono. C’è poi un numero ristretto di
autrici e autori che si sono guadagnati uno scaffale personale. Saramago,
Bolaño, Oates, Onetti. Soprattutto: Anne Carson, la scrittrice del
miracolo.
1.
“A seconda delle vostre coordinate, potreste guardare nel cielo notturno
una stella che ha cessato di splendere millenni orsono. A seconda del vostro
alfabeto, potreste guardare una parola in una poesia che è già finita. E
tuttavia resta la domanda: dov’è l’umano deposito in cui sedimenta tutto
questo?”.
Su alcune delle edizioni italiane dei libri di Anne Carson, nello spazio
riservato alla biografia, leggiamo: “È nata in Canada e si guadagna da vivere
insegnando il greco antico”. Di primo acchito la frase fa sorridere, specie se
la si paragona ai lunghi paragrafi biografici di scrittori molto meno
significativi. Dopo un attimo però siamo portati a pensare che in quella
semplice frase sia racchiusa tutta la verità e molto del senso dell’intera
opera di Carson. Sì, è nata in Canada e sì, insegna il greco antico – ha
insegnato in diversi atenei americani, tra cui Princeton e Berkeley – ma si
guadagna da vivere anche attraverso i libri che scrive, in cui ogni parola,
riferimento, ragionamento, affonda le radici nell’Antica Grecia e nel Mito.
Perciò, in un certo senso, potremmo affermare che Carson insegni il greco
antico anche alle sue lettrici e lettori sparsi in tutto il mondo; il greco
antico, la lingua, il mito, al pari della matematica, della scienza, della
poesia rappresentano l’origine di ogni cosa. Carson, con la maestria con cui
padroneggia quell’epoca storica e filosofica portandola nel presente trasmette
un nuovo modo di pensare; fa tornare la voglia di studiare. La biografia di
Anne Carson è vera.
Di lei Harold Bloom affermava che era un’autrice eccezionale, dal mio
modesto canto, mi sento di affermare che è una sorta di miracolo letterario.
Sebbene sia considerata una classicista, leggendola verrebbe da dire
modernista, ultra-contemporanea, avanguardista ma in un senso che la pone già
oltre ciò che in letteratura consideriamo elemento di rottura, oltre
l’esperimento. In una lettera datata 1870, Emily Dickinson scriveva che vita ed
esperienza coincidono in un “esperimento non ci lascia mai”. Ecco, Carson è
l’esperimento continuo. Il primo verso di una poesia incantevole di Giovanni
Giudici dice: “Parlo di me, dal cuore del miracolo […]”. Ecco, è così che
immagino l’origine della scrittura di Carson. Lei, a differenza di Giudici, non
parla mai di sé nemmeno quando attinge alla sua biografia. Le sue parole
sembrano sempre provenire da un punto nascosto, un bagliore: quello è il cuore
del miracolo.
2.
“Le città rappresentano l’illusione che le cose si tengano insieme, la mia
pera, il tuo inverno”.
Per arrivare a cogliere il senso liturgico di Carson bisogna investigare la
corrente sotterranea che attraversa la sua opera e che lega assieme il mito
greco, le scene domestiche, Simonide, un amore perduto, Saffo, la pioggia e il
dolore. Bisogna entrare nel mistero sapendo che non saremo mai in grado di
rivelarlo, eppure non perderemo mai la fede.
“Ogni volta che vado da mia madre / mi sembra di diventare Emily Brontë”.
La maggior parte dei libri di Carson in Italia sono pubblicati da Crocetti
e Utopia, e curati e tradotti splendidamente da Patrizio Ceccagnoli, che con il
suo lavoro riesce a ricamare silenziosamente un’opera all’interno dell’opera. E
io mi sono innamorato in un novembre di qualche anno fa quando ho letto Economia
dell’imperduto (Utopia). Si presentava come un testo che metteva in
relazione l’economia e la poesia, Marx e Simonide. Era invece un flusso
sintattico che scorreva fino a raccontarti l’importanza del nulla,
dell’impercettibile, spingendosi fino a Celan, alla perdita di una lingua in
luogo di un’altra. A pagina dieci ero incantato, non ho più smesso.
“La grazia è una moneta con più di due facce. Nella quale noi crediamo”.
L’imperduto cos’è? Ciò che resta quando tutto è sottratto. Quando pensiamo
alle cose che restano le immaginiamo subito essenziali, eppure non è così, non
è sempre così. L’imperduto per Carson coincide proprio con l’inessenziale, una
scoria del niente, un’altra definizione del nulla. L’inessenzialità della cosa
imperduta si muove nel quasi invisibile, (come un bellissimo titolo
di Mark Strand) un luogo dove risiedono cose come – certe volte – la poesia.
Secondo Carson resta nulla perfino dell’arte, della parola, della memoria. La
risposta non taciuta è che il nulla sia qualcosa, a volte più di qualcosa.
L’imperduto è ciò che si manifesta, per esempio, nei passaggi da un’epoca
all’altra, da una lingua all’altra – quanto nulla c’è nel traduttore che mette
mano e trasforma –, da una forma d’arte conosciuta a una sua nuova ed ennesima
trasformazione in qualcosa di ignoto. La donna che osserva il capolavoro in un
museo, folgorata, il nulla che non coglie conta quanto tutto il colore che
vede. Il ragazzo che incappa per la prima volta in un grande poeta, legge – è
successo a molti noi – senza potersi staccare: ciò che lo incatena è quel che
non afferra, che forse non afferrerà mai.
E poi c’è il passaggio dall’economia del dono all’economia mercantile.
Nessuno lo spiega bene come Carson, che lo fa con precisione e grazia, usando
Marx, il poeta Simonide (il primo a farsi pagare per un testo poetico), e
infine Paul Celan. I due poeti transitano da un mondo all’altro, in un
certo senso da un modo di essere all’altro, ma le loro poesie non cambiano pur
mutando lo stato dell’arte. Simonide si muove e varca un confine, quello
tra dono e merce. Non vuole più omaggi, pretende denaro per ogni verso che
andrà a scrivere. Carson evidenzia come questo nuovo scambio non renda meno
bella e riuscita la poesia di Simonide, lo fa analizzando passaggi biografici e
vari testi, verso per verso, un lavoro esemplare. Nel passaggio tra dono e
merce cosa si perde? Questa è una domanda cui Carson prova a rispondere. Si
perde, in teoria, quel legame emotivo che riguarda l’accoglienza e la
gratitudine e che il denaro rimuove. Il testo poetico e il suo valore (al di
sopra dell’economia) però rimane. Ed ecco poi Celan e la perdita, l’abbandono,
la profonda solitudine, l’esilio e naturalmente la poesia. Celan si muove
lungo un altro confine, quello tra due lingue. Come Simonide transita da un
mondo all’altro: Celan quando scrive – contemporaneamente – traduce. Perciò
inventa e reinventa, lavora su un doppio binario, ha in mano sempre due chiavi,
due codici. È da qui che scaturisce la fatica di Celan, la sua bravura, che
Carson ci mostra con l’analisi profonda dei suoi testi. Per lei, Celan è uno
straniero in entrambi i suoi mondi. Simonide e Celan rappresentano due
esperienze solitarie, eppure Carson le lega, le incastra, le rimodula, le
mescola a teorie economiche, spunti poetici, banchetti nella Grecia antica,
passeggiate tormentate nel cuore di Parigi.
3.
“È sempre un rischio; la domanda è se leggere l’opera dell’autore alla luce
della sua vita oppure no”.
Carson è mossa dall’inquietudine, dalle enormi possibilità del linguaggio,
dal modo attento con cui osserva le cose. Usa la cultura, la tradizione antica
anche per raccontare i turbamenti sentimentali o i disagi di un viaggio on the
road in Nord America. Soprattutto, Carson è mossa dal desiderio: quello che
innerva i versi impeccabili con cui racconta l’Albertine di Proust, fino a
renderla la sua Albertine e, di conseguenza, la nostra. Oppure
il desiderio nei versi meravigliosi di La bellezza del marito.
Come abbiamo accennato in precedenza, Carson gioca la sua letteratura sulla
sottrazione dell’Io anche quando scrive del proprio Io. Lo si nota in tutte le
sue opere ma in particolare nei volumi Vetro, ironia e Dio e Come
l’acqua (editi da Crocetti) e in Decreazione e La
norma sbagliata (editi da Utopia, il secondo proprio alla fine del
novembre 2025).
“In ogni storia che racconto arriva un punto in cui non riesco a vedere
oltre. Odio questo punto”.
In Decreazione, l’autrice porta a termine un complesso studio
sull’Io. L’auspicio è condurre l’individuo a sbarazzarsi del sé, e
mettersi a guardare lo stato delle cose in altro modo, seguendo un’altra
prospettiva, in modo poi da confluire nel noi, in quel discorso ampio e più
sensato dove tutte e tutti risiediamo. Questa indagine si realizza
attraversando la vita e l’opera di Saffo, Margherita Parete e Simone Weil. Nel
caso di Saffo, ciò che può strappare dall’Io, dall’individualità, è l’amore che
si fa estasi. Nel caso di Parete e Weil è la ricerca spirituale – declinata in
secoli e modi molto diversi – che le conduce alla sottrazione totale dell’io.
La conclusione che affiora a pelo d’acqua è quella
dell’inevitabile riaffermazione dell’io attraverso la scrittura. Le
autrici falliscono nel loro tentativo di dissolvimento nell’esatto istante in
cui scrivono, poiché l’atto della scrittura riporta sulla scena, pagina dopo
pagina, la loro identità. Spiegano perché non sono e, mentre lo fanno,
nuovamente sono. L’Io sottratto, sparito, è anche una delle chiavi di lettura
di Vetro, ironia e Dio. Qui Carson non manda mai l’io da solo,
fa sì che venga accompagnato, che sparisca, che si scomponga nel paesaggio, che
si guardi, che perfino quando piange, le lacrime che arrivano – prima di essere
sue – sono lacrime portate da pagine di letteratura. La prima parte del
libro, Il saggio di vetro, è considerata una delle opere chiave di
Carson e uno dei vertici poetici del Novecento. È un saggio lirico, un saggio
in versi, che nel tempo è diventato un genere. Si tratta di una profonda
riflessione sul dolore dopo la fine di un amore che si intesse nel
racconto delle visite all’anziana madre. Il dolore emerge dai loro dialoghi che
compaiono nei versi, dai gesti a tavola durante i pasti. Oppure dalla
descrizione del paesaggio che diventa anch’esso correlativo oggettivo della
mancanza. E poi ancora dai libri di Emily Brontë che accompagnano Carson nel
viaggio verso la madre, insinuandosi nei dialoghi fino a far affiorare il
trauma.
4.
“Ci sono città regolari e città irregolari, ci sono città ferite e città
sobrie e città ricordate con fierezza, ci sono città inutili ma appassionate
che continuano a lottare, ci sono città dove la neve scivola dai tetti delle
case con tale forza che le vittime ne muoiono, ma non ci sono città vuote (solo
studiosi vuoti) e non c’è rimorso. Ora potete procedere”.
In Come l’acqua – uno dei due libri usciti in questo
autunno – il soggetto finisce per diventare goccia nell’acqua. Chi legge si fa
suono, dettaglio di un quadro, un passo lungo il cammino di Santiago, un lampo
di invidia che si accende tra pittori del Rinascimento, un orecchio a una
conferenza di fenomenologia. In queste pagine, forse in maggior misura rispetto
ad altri libri, Carson mette in relazione la tradizione classica con la
modernità, tenendo insieme – grazie a una lingua mutevole e straordinaria – il
mito greco (si leggano le interviste a Mimnermo) Gertrude Stein, Parmenide,
Camille Claudel, Kafka e più avanti il Perugino e Michelangelo, la storia di un
dipinto e della sua protagonista, uno studio breve ma efficace sulle città,
Monna Lisa e Sylvia Plath, gli amori, i genitori, l’edonismo, fino al Cammino
di Santiago e il viaggio on the road, in cui mentre si monta una tenda, si
osserva un tramonto, si rompe una macchina, si parla di religione, di mito, di
penitenza, scomodità, peccato, praticità. Carson si muove dalla scrittura in
versi a qualcosa che somiglia a un testo teatrale, a delle pagine di
saggistica, fino alle prose poetiche, alle accelerazioni composte da un’unica
frase. Un vortice.
“Una volta Conrad si sparò al petto. Non si sa molto al riguardo.
Una volta un mio studente, che traduceva Euripide per un esame di metà
semestre, s’inventò “selvaggio nelle grinfie di un dio”. Quelli sì che erano
tempi”.
Sulla copertina de La norma sbagliata, l’ultimo libro
arrivato in Italia (e anche opera più recente di Carson) ci sono delle gocce
d’acqua che sembrano frammenti irregolari di un puzzle impossibile eccezion
fatta per la goccia centrale, l’unica che può combinarsi armoniosamente con ciò
che la circonda. Qui l’intera esistenza dell’essere umano si muove in due
direzioni: lungo il passato che lo fa disgregare in milioni di frammenti che si
ricompongono solo quando ci si proietta nel futuro. L’uomo, per Carson, non può
fare a meno di guardare all’indietro, nelle particelle scomposte della
memoria. Solo partendo da quella conoscenza, dall’esperienza, si può immaginare
il futuro; ed è ciò che fa Carson quando scrive. Un futuro che viene da
lontanissimo ed è l’oggetto di tutta la sua ricerca. La condizione umana in
questo volume meraviglioso è colta in ogni suo dettaglio da testi che – apparentemente
– non seguono alcuna logica tradizionale. Pagine che sembrano racconti brevi,
versi tradizionali che mescolano ancora Paul Celan, Joseph Conrad, Virginia
Woolf, Godot. Carson procede per frammenti, il suo mosaico attinge a tutto ma
non ambisce a contenere niente. La sua opera è fatta di indizi, luminose
epifanie. Avanza per intuizioni, come assecondando una visione nutrita
dallo studio e dal talento.
Le sue opere colpiscono i sensi prima di essere comprese.
Carson, dal cuore del suo miracolo, conduce in luoghi dove si è già stati e
luoghi in cui non avremmo mai pensato di approdare. E, dopo averla letta,
rimane il sospetto di trovarci un altro luogo ancora, un terzo spazio,
invisibile eppure reale.
Gianni Montieri
è scrittore e poeta. Collabora inoltre con diverse testate su cui scrive
soprattutto di sport e letteratura. Il suo ultimo libro è Non era un
mostro strano (66thand2nd, 2025).