di Mattia Marasti
tratto da Valigia Blu del 9 dicembre 2025
Gli autori hanno seguito due approcci. Il primo, quello macro, consiste nel confrontare il Regno Unito con paesi simili. In questo modo i ricercatori hanno potuto costruire uno scenario, detto controfattuale, in cui il Regno Unito non è fuoriuscito dall’Unione Europea. Il secondo, quello micro, invece fa uso di dati estremamente dettagliati a livello aziendale e permette di comprendere le dinamiche che hanno innescato la Brexit sul tessuto economico del paese. L’analisi micro si basa sulle differenze tra 7000 imprese nella loro esposizione nei confronti dell’Unione Europea prima del 2016, per mostrare in che modo la Brexit abbia influenzato investimenti, occupazione e produttività.
Secondo le stime ottenute nello studio, al 2025, la Brexit ha ridotto il PIL tra il 6 e l’8 per cento. Gli investimenti hanno registrato un calo compreso tra il 12 e il 18 per cento, mentre sia l’occupazione sia la produttività hanno visto una contrazione tra il 3 e il 4 per cento. Per gli autori ci sono vari fattori che hanno contribuito a una situazione di questo tipo.
L’aspetto cruciale riguarda l’incertezza connaturata con la Brexit. Infatti, dopo il referendum, in cui la vittoria del Leave è stata inaspettata, c’è stata una lunga fase di transizione. Il Parlamento ha attivato l’articolo 50 per uscire dall’Unione Europea e il nuovo governo guidato da Theresa May ha intrapreso le trattative con l’Unione per raggiungere un accordo circa i futuri rapporti tra i due paesi. Le trattative sono state lunghe e complesse. In un primo momento l’Unione Europea aveva respinto il piano di May. Quando poi un accordo sembrava raggiunto tra le due parti, il piano era stato respinto dal parlamento britannico, con la più grande sconfitta per un governo in carica alla di tutta la storia del Regno Unito.
Non si tratta, comunque, di uno studio isolato. Ormai l’evidenza empirica ha compreso l’impatto negativo che la Brexit ha avuto e continua ad avere sull’economia del Regno Unito. Altri studiosi istituzioni, o think tank hanno evidenziato l’impatto della Brexit sul costo della vita e sull’offerta di lavoro. Un editoriale sul sito economico Vox.Eu ha stimato che l’impatto economico della Brexit si aggirerebbe, con dati di qualche anno fa, a 350 milioni di sterline a settimana.
Le evidenze sugli effetti negativi della Brexit si intersecano con un’altra questione. Da tempo il Labour Party di Starmer è in forte crisi di consensi, anche a causa di una situazione economica che non è rosea. A dimostrarlo c’è stata la presentazione del Budget (l’equivalente della nostra Legge di Bilancio) da parte della Cancelliera dello Scacchiere Rachel Reeves. Il compito di Reeves consisteva nel far coesistere quattro aspetti: l’attenzione ai conti pubblici, rilanciare crescita e investimenti nel paese, tenere fede alle promesse contenute nel manifesto del partito e allo stesso tempo garantire il sostegno al welfare state come chiedevano i parlamentari. Un’operazione che è riuscita a metà.
Per quel che riguarda il Manifesto, per non dare l’idea dell’ennesimo partito di sinistra tassa e spendi, il Labour di Starmer aveva promesso di non aumentare le aliquote della tassa sui redditi. Questo si scontrava, appunto, con la necessità di reperire risorse senza fare debito, che avrebbero complicato la situazione del Regno Unito sul fronte finanziario.
Il budget di Reeves reperisce risorse in modo tale da tenere i conti pubblici sotto controllo e finanziare politiche care a parlamentari e alla base come il superamento del Two child benefit cap: si tratta di una misura introdotto dai conservatori che limitava certi trasferimenti o deduzioni per le famiglie ai primi due figli. In un primo momento Starmer l’aveva confermato, tanto da espellere parlamentari che avevano votato a favore di una proposta dei verdi per superarlo. Oggi, affermando che ci sono più risorse, il governo decide di abolirlo a partire da aprile 2026 per ridurre la povertà infantile.
Ma proprio perché i salari stanno aumentando per recuperare il potere d’acquisto, le persone si ritroveranno a pagare di più. Si sfrutta, quindi, il fiscal drag. Questo ha comportato un netto aumento della pressione fiscale, anche rispetto alle stime fatte del precedente budget.
Per questo motivo negli ultimi giorni si sono moltiplicate le dichiarazioni, anche di membri del governo, per un graduale riavvicinamento all’Unione Europea. Già nel mese di ottobre, in realtà, la Cancelliera Reeves aveva dichiarato che l’impatto sul lungo periodo della Brexit si sta rivelando più duro del previsto. Più recentemente il Vicepremier David Lammy, ospite del podcast The news agents, ha dichiarato che l’effetto della Brexit è autoevidente. Ciò non significa che Starmer e il suo governo siano pronti a rientrare nell’Unione Europea. Tuttavia segnala la volontà da parte di membri del Labour di una strategia diversa sulla Brexit, consapevoli che il costo economico si sta trasformando sempre di più in costo politico.
Il dibattito che si è riaperto nel Regno Unito racconta molto più della sola Brexit: mostra con chiarezza cosa significa rinunciare a un mercato integrato e affrontare da soli sfide economiche che richiedono scala, investimenti e stabilità. I dati oggi parlano senza ambiguità: uscire dall’Unione ha reso il Regno Unito più fragile, meno attrattivo, meno capace di crescere.
Per l’Europa è un promemoria prezioso. Negli ultimi anni la galassia sovranista ha dipinto Bruxelles come un apparato di burocrati distante, disinteressato agli interessi delle persone. Ma l’esperienza britannica rivela un aspetto profondo: quando un grande paese si stacca, perde più di quanto immaginasse. E il dibattito che si è innescato nel paese sugli effetti negativi sulla crescita della Brexit può essere una lezione per l’Europa.
L’esperienza della Brexit mostra come in realtà l’Europa e le sue istituzioni siano un’opportunità di crescita. Proprio su questo deve puntare l’Unione Europea per riconnettersi con i cittadini europei: una crescita equa e sostenibile che abbia un impatto sulla vita di tutti i giorni. Su questo, le proposte del rapporto di Draghi, ma anche esempi come le politiche industriali messe in atto dall’Amministrazione Biden per la transizione ecologica, devono tornare al centro del dibattito economico dell’Unione Europea.