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“Amore” per Rodari e Prèvert

“Ci vuole un fiore” di Gianni Rodari, poesia che insegna il valore assoluto dell’amore.
“Per te amore mio” di Jacques Prévert, poesia sull’amore che non è possesso.

di Saro Trovato
tratti  da “Libreriamo” del 6 e 9 Dicembre 2025

Ci vuole un fiore offre una verità semplice e sconfinata: tutto ciò che esiste nasce da un gesto d’amore. Gianni Rodari, con la sua lingua limpida, suggerisce che per guardare il mondo bisogna guardare ciò che lo fa fiorire, ciò che lo sostiene, ciò che lo fa crescere. Il fiore, nella sua apparente fragilità, diventa il simbolo della forza originaria che tiene insieme l’esistenza.
Non è soltanto la natura a parlare in questi versi. È la logica affettiva della vita, il principio che regge i rapporti, la fiducia, la cura. Rodari usa l’immagine del fiore per dire che ogni realtà umana, prima di essere costruzione o progetto, è gesto di amore: un seme donato, un’attenzione, un atto che permette qualcosa di nuovo.
In questa semplicità si condensa una filosofia. Per esistere ci vuole amore. Per far nascere qualcosa, per farlo crescere, per custodirlo, serve un gesto di cura. Ed è questa l’eredità più grande del testo.
Leggiamo quindi questa splendida poesia di Gianni Rodari per condividere il potente messaggio.

Ci vuole un fiore di Gianni Rodari

Le cose d’ogni giorno
Raccontano segreti
A chi le sa guardare
Ed ascoltare
Per fare un tavolo ci vuole il legno
Per fare il legno ci vuole l’albero
Per fare l’albero ci vuole il seme
Per fare il seme ci vuole il frutto
Per fare il frutto ci vuole il fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore
Per fare un tavolo ci vuole un fiore
Per fare un tavolo ci vuole il legno
Per fare il legno ci vuole l’albero
Per fare l’albero ci vuole il seme
Per fare il seme ci vuole il frutto
Per fare il frutto ci vuole il fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore
Per fare un tavolo ci vuole un fiore
Per fare un fiore ci vuole un ramo
Per fare il ramo ci vuole l’albero
Per fare l’albero ci vuole il bosco
Per fare il bosco ci vuole il monte
Per fare il monte ci vuol la terra
Per far la terra ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare un fiore ci vuole un ramo
Per fare il ramo ci vuole l’albero
Per fare l’albero ci vuole il bosco
Per fare il bosco ci vuole il monte
Per fare il monte ci vuol la terra
Per far la terra ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare un tavolo ci vuole il legno
Per fare il legno ci vuole l’albero
Per fare l’albero ci vuole il seme
Per fare il seme ci vuole il frutto
Per fare il frutto ci vuole il fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare il frutto ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore


“Per te amore mio” di Jacques Prévert, poesia sull’amore che non è possesso
 
Per te amore mio di Jacques Prévert è una poesia che offre una meditazione sulla libertà dell’amore, e sulla sua incompatibilità con ogni forma di possesso. Una verità molto attuale che merita di essere ricordata perché  l’amore non è ciò che si possiede, ma ciò che si lascia libero di esistere.
Jacques Prévert lo aveva intuito, anzi era il suo principio guida. La poesia è la dimostrazione che anche il gesto più tenero può trasformarsi in un tentativo di trattenere, e che la bellezza dell’amore si frantuma nel momento in cui entra nella logica del possedere. Il poeta francese mette in scena il dramma silenzioso di chi cerca l’altro attraverso i doni, i simboli, perfino le catene, per poi scoprire che nessun mercato del mondo può contenere una persona davvero libera. L’amore non si compra, non si stringe, non si cattura: si riconosce. E si accoglie.
Per te amore mio  fa parte della raccolta Paroles (Parole) di Jacques Prévert, pubblicata nel 1946. È il libro che ha fatto di Prévert il “poeta del popolo”, la voce capace di raccontare i sentimenti universali con parole semplici, vicine, immediate. Molte delle sue poesie più celebri vengono proprio da questa raccolta, diventata un classico della letteratura francese del Novecento.
Leggiamo questa poesia di Jacques Prévert per condividere il valore universale del suo messaggio.

Per te amore mio di Jacques Prévert
 
Per te amore mio
Sono andato al mercato degli uccelli
E ho comprato uccelli
Per te
amor mio
Sono andato al mercato dei fiori
E ho comprato fiori
Per te amor mio
Sono andato al mercato di ferraglia
E ho comprato catene
Pesanti catene
Per te
amor mio
E poi sono andato al mercato degli schiavi
E t’ho cercata
Ma non ti ho trovata
amore mio.
 
Pour toi mon amour, Jacques Prévert
Je suis allé au marché aux oiseaux
Et j’ai acheté des oiseaux
Pour toi
mon amour
Je suis allé au marché aux fleurs
Et j’ai acheté des fleurs
Pour toi
mon amour
Je suis allé au marché à la ferraille
Et j’ai acheté des chaînes
De lourdes chaînes
Pour toi
mon amour
Et puis je suis allé au marché aux esclaves
Et je t’ai cherchée
Mais je ne t’ai pas trouvée
mon amour.

L’amore non è proprietà, ma rispetto e libertà
Per te amore mio è una poesia di Jacques Prévert costruita attorno a tre grandi temi: il dono, il desiderio e il limite. Il poeta esplora il movimento dell’amore dalla sua forma più pura, l’offerta spontanea, quasi infantile, alla sua possibile deformazione, quando la generosità scivola lentamente nel bisogno di trattenere.
I mercati attraversati dal protagonista non sono semplici luoghi fisici, ma simboli di un percorso emotivo che si complica passo dopo passo. Si parte dalla leggerezza e dalla bellezza, si passa al vincolo, si arriva infine al luogo più oscuro del possesso: la schiavitù.
In questo progressivo scivolamento, Prévert svela un meccanismo universale. Ogni volta che l’amore tenta di trasformarsi in controllo, perde la propria natura. L’altro non può essere comprato né catturato. Il vero amore appare, resta, vive solo nella libertà.

Roberto Benigni: «Gesù, il grande innovatore»

«Ha spaccato in due la Storia, ha portato una legge nuova: la legge dell’amore! È il primo che ne parla in quel modo. Gesù lo fonda, l’amore, lo inventa!»
 
Tratto da “Avvenire” del 10 dicembre 2025

Roberto Benigni in "Pietro. Un uomo nel vento” / Rai

In occasione della messa in onda dello speciale "Pietro. Un uomo nel vento", questa sera su Rai 1, Roberto Benigni pubblica con Einaudi un libro omonimo (pagine 128, euro 14,50), scritto dall’attore assieme a Michele Ballerin, Chiara Mercuri e Stefano Andreoli. Anticipiamo qui un estratto del testo.

Sembra strano che una storia così grandiosa come quella di Gesù e i suoi discepoli si svolga per lo più in Galilea, una piccola regione della Palestina. Eppure è vero: succede tutto lì, fra quattro o cinque villaggi presso il lago di Tiberiade. Ma la parola di Gesù non può restare confinata in quel fazzoletto di terra. E così arriva il momento in cui Gesù decide di andare a Gerusalemme, la città santa, che è in un’altra regione, la Giudea. E allora le cose cominciano a cambiare. Eccome se cambiano! Perché la predicazione di Gesù non suscita solo entusiasmo e gioia: a qualcuno non piace, gli dà proprio fastidio. E Gesù comincia a essere odiato, sempre di più. Ma da chi? Chi odia Gesù? I sacerdoti, soprattutto, le autorità religiose, come il Sinedrio, che era la più alta autorità ebraica: faceva le leggi e puniva chi le trasgrediva. Ma anche gli scribi – gli intellettuali dell’epoca – e i farisei, i maestri della legge. Tutte queste persone cominciano a odiare Gesù, fino a desiderarne la morte, perché ne hanno paura, lo sentono come una minaccia.

Voi direte: «E perché ne hanno paura?» Perché?! Ma perché Gesù è Gesù! È la rivoluzione, è un terremoto! Dove passa lui non resta in piedi niente: le vecchie idee, i vecchi valori, le tradizioni e i loro custodi… Viene giù tutto! Ogni parola di Gesù è un colpo di piccone. Perché Gesù non è venuto a creare una nuova religione, no: ce n’erano già troppe. È venuto a cambiare radicalmente la vita, a rovesciarla! Distrugge il mondo vecchio per crearne uno nuovo. E se la prende con tutti, senza guardare in faccia nessuno: farisei, scribi, sacerdoti, mercanti… Con i ricchi, gli ebrei, i non ebrei… Per lui il potere non esiste, non significa nulla. Come quando si rivolge ai sacerdoti e dice loro: «In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio». Che era come se dicesse ai ricchi e ai potenti, agli uomini più rispettati e temuti della Giudea: «Tu, che ti credi tanto importante, per Dio non vali niente». Ma vi rendete conto? Gli dice così: testuale!… E quell’impeto, quell’ardore, esplode davanti all’ingiustizia e all’ipocrisia. Come a Gerusalemme, nel Tempio. Dove Gesù entra, ma non come un visitatore, né come discepolo: entra come figlio. Un figlio che trova la casa del padre trasformata in un mercato. Infatti la gente vendeva e comprava dentro al recinto del Tempio: facevano affari, contrattavano, trafficavano! «Quant’è?» «A quanto me lo metti?»… Dentro al Tempio! Allora Gesù rovescia i tavoli: li ribalta proprio, letteralmente! Le monete rotolano a terra, i banchi si spezzano. I venditori scappano, le colombe volano via libere. E lì cambia tutto. Gesù non è più l’uomo mite delle parabole: adesso è un fuoco, è la voce del giudizio. Esce dal Tempio, lo fissa e minaccia: «Vedete queste pietre? Sarà tutto distrutto, pietra su pietra! Niente resterà, niente!».

Pietro è lì. Anche lui lo sente, lo vede. Questa presa di posizione durissima di Gesù segna un punto di non ritorno. Il contrasto con il potere religioso ora è sotto gli occhi di tutti. Pietro capisce che i capi del Tempio non dimenticheranno mai quella umiliazione. Ma Gesù non è odiato solo per questo. C’è dell’altro. Parto da una cosa semplice: la schiavitù. Sì, lo so, ora per noi è una cosa lontana… che non è vero, perché esiste ancora oggi… Ma lo sapete cos’era la schiavitù ai tempi di Gesù? Sapete che i figli degli schiavi venivano cresciuti dentro a dei recinti, come gli animali? E appartenevano al padrone, non al padre, non alla madre: si potevano vendere! Si poteva farne ciò che si voleva, anche ucciderli! E nessuno ci trovava nulla di strano, anzi si divertivano! Commerciavano, vendevano e compravano esseri umani. C’era proprio il mercato, tutti i giorni! Poi arriva lui, Gesù, e dice che davanti a Dio non c’è più schiavo né padrone, non c’è più oppresso né libero, non c’è più uomo né donna… ma siamo tutti fratelli, tutti uguali. Lo capite che rivoluzione è questa? Gesù ha rotto la piramide del potere, ha rovesciato la vita! Ha spaccato in due la Storia, ha portato una legge nuova: la legge dell’amore! L’amore, sì, ma attenzione: l’amore come lo intendiamo noi oggi. Come qualcosa che più alto non c’è niente, che quando c’è non serve altro: non servono le leggi, i comandamenti, le regole, le punizioni… E se noi oggi lo intendiamo così, è solo grazie a Gesù! È il primo che ne parla in quel modo. Gesù lo fonda, l’amore, lo inventa! Perché Gesù ha fatto della sua vita un capolavoro d’amore, è riuscito ad amare come nessuno prima di lui. Ed è impressionante la grandezza, l’estensione di questo suo amore. Lo ha allargato, così tanto che di più non si può. Come se avesse detto: «Voglio vedere fin dove posso arrivare. Di più, di più!» Fino ad amare lo straniero, lo sconosciuto, il diverso… fino ad amare il nemico! Ecco: «Ama il tuo nemico» è forse la frase più sconvolgente mai pronunciata sulla faccia della Terra. Forse è la parola più forte, più alta di tutto il pensiero umano, e per questo ci sembra irraggiungibile: se ne sta lassù, è troppo alta, non ce la facciamo. Però qualcuno l’ha detta, per sempre!

Ma vi rendete conto? Questo è uno dei pensieri che cambiano la Storia: qui c’è davvero un prima e un dopo. Ma quando l’avete mai sentita una rivoluzione così? Altro che Rivoluzione francese, mi viene da ridere!… Gesù non ci pensa proprio a usare la ghigliottina contro i nemici, anzi: all’ultima cena intinge il boccone con il discepolo che lo ha già tradito, Giuda, e si lascia baciare da lui! Un Dio che si lascia toccare, baciare, rinnegare, persino tradire – tradire! – ma che non smette di amare! Questa è la vera natura del cristianesimo: non una religione di regole, ma una rivoluzione d’amore! Dopo Gesù, nulla è stato più come prima. Perché dopo di lui anche lo schiavo, anche il povero, anche il bambino valgono quanto un re. E infatti, tra quelli che lo ascoltano molti non possono capire, non ci riescono, non vogliono capire. Per questo Gesù comincia a essere temuto e odiato, e quando con i suoi discepoli arriva a Gerusalemme ha capito che sta andando incontro alla fine, che il suo destino è segnato. Perché lui sì, ama i suoi nemici… ma i suoi nemici non lo amano per niente.