tratto da
Avvenire del 14 agosto 2025
Il cardinale ha iniziato la lettura dei nomi dei bambini uccisi palestinesi e israeliani uccisi in Medio Oriente. «Chiediamoci anche noi: dov'è Abele, tuo fratello? Che hai fatto».
Il cardinale ha iniziato la lettura dei nomi dei bambini uccisi palestinesi e israeliani uccisi in Medio Oriente. «Chiediamoci anche noi: dov'è Abele, tuo fratello? Che hai fatto».
Il cardinale Zuppi a Monte Sole legge i nomi dei
bambini vittime della guerra in Medioriente
Pubblichiamo il testo integrale dell'intervento del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, pronunciato oggi a Monte Sole, in occasione della preghiera per la pace in nome delle vittime innocenti in Terra Santa proposta dalla Chiesa di Bologna e dalla Piccola Famiglia dell'Annunziata.
Questo è un momento di preghiera. La preghiera non ci porta fuori dal mondo ma dentro. La sofferenza diventa intercessione, perché la creazione e le creature chiedono vita, futuro, speranza. Non chiedono guerra, ma pace!
Ogni nome di bambini uccisi è una richiesta a Dio, ma anche agli uomini, perché li ascoltiamo, ci lasciamo toccare dall’ingiustizia che ha travolto la loro fragilità. La loro morte, di tutti loro e di ognuno, susciti le lacrime di commozione e le scelte finalmente lungimiranti di pace e non tragicamente opportunistiche. Non c’è classifica nel dolore. Siamo qui per chiedere che nella Terra Santa ogni persona, a cominciare dai più piccoli, non perda la sua vita per colpa di suo fratello. Arturo Paoli diceva che il peccato originale è il fratricidio e solamente quando abbiamo la coscienza di essere responsabili della morte, o della meno vita, dei poveri, di essere senza orgoglio, superiori, distanti, come se non fossero della nostra carne o non appartenessero alla nostra razza, solamente in questo caso troviamo l’umiltà di passare da “fratricidi a fratelli”.
Gesù ci ammonisce affermando che anche chi “si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio” (Mt. 5,22). In questo luogo, dove il tempio di Dio che è ogni persona venne profanato dalla violenza e il sangue di Abele sparso, oggi sentiamo la voce del sangue di nostro fratello che grida da tanti suoli della terra (Gen. 4,10), quel grido che Dio fa suo e che gli uomini ignorano, non considerano. Questo è un luogo di tenebre e di luce, di morte e di vita, di strage degli innocenti e di speranza sul mondo, di tante Rachele che piangono i propri figli che non sono più, e di luce della vita che non finisce. Qui sentiamo chiaro il giudizio di Dio sulla nostra vita, giudizio di cui abbiamo bisogno perché non ci crediamo tranquilli nelle nostre sicurezze, senza vergogna per quello che accade, banalmente prigionieri del miope e colpevole egocentrismo. Il giudizio è in realtà di due domande, con le quali noi dobbiamo fare i conti e sta a noi trovare la risposta che ci fa capire, cambiare, lasciarci amare.
La prima: “Dov'è Abele, tuo fratello?”. Dio custodisce Abele e difende sempre la fraternità. Noi? E la seconda: “Che hai fatto?”, come hai potuto farlo, ma anche “cosa non hai fatto quando mi hai visto che avevo fame, sete, ero nudo, carcerato, malato?”. “Dove sei tu, dove sta il tuo cuore?”. Sentiamo fratelli tutti tutti questi piccoli. Il giudizio di Dio non si addomestica, non asseconda nessuna delle nostre giustificazioni o convinzioni, i calcoli cinici, le ossessioni blasfeme, ci aiuta a rientrare in noi stessi, interrogandoci sul nostro fratello per capire chi siamo, per ritrovarlo. Questo luogo lo volle il Cardinale Biffi quarant’anni fa per affidarlo alla Piccola Famiglia dell’Annunziata, nata dal carisma di don Giuseppe Dossetti. In quell’occasione volle dirgli “col nostro grazie, la stima e l’affetto che nutriamo per lui” e affidare “il compito dell'azione di suffragio per quanti hanno imporporato del loro sangue tutta la nostra regione…; il compito della preghiera per la concordia dei popoli e delle fazioni, e per la conversione dei cuori; il compito dell’annuncio a quanti qui verranno, della pace vera, che è la pace messianica portata da Cristo”.
Ecco perché oggi, con tanto disorientamento nel cuore, siamo qui, per scendere nell’abisso di questa disperazione, per comprenderne le responsabilità, per trasformare i segni dei tempi in segni di speranza, per chiedere che non perdano la vita altri innocenti. Davanti a questo orizzonte largo e spirituale, sentiamo necessario liberarci dai chiacchiericci pieni di vanità e di insolente superficialità, dalle polarizzazioni ignoranti, interessate e presuntuose, dalle pavidità colpevoli, dagli odi e dalle parole che coltivano rancore e vendetta, da letture politiche interessate e meschine che offendono e deformano la verità, dalle enfasi nazionalistiche che tradiscono l’esigenza di fratellanza, di fratellanza universale e di rispetto sacro per ogni persona. Qui tutti i giorni si prega per tutte le vittime del fratello che alza le mani su suo fratello. Qui non si è di parte, ma si cerca, si trova e si sceglie l’unica parte che è quella di Dio ed è quella di ricostruire la fraternità, che può salvare l’uomo dal distruggere se stesso. La parte di Dio è sempre insieme, perché Dio è tutto in tutti, è amore che unisce, è presente in ogni persona umana nella quale ha soffiato l’alito di vita.
Non uccidere! Non uccidere! Ascoltiamo anche noi gli angeli di questi piccoli la cui sofferenza è portata a Dio. Ogni bambino è innocente. “I figli degli assassini non sono assassini, sono bambini”, ricordava Wiesel. Il Qohelet Rabbah (7:1:3) dice che ogni essere umano ha tre nomi. “Uno con cui è chiamato dal padre e dalla madre; uno con cui gli altri lo chiamano; e uno con cui è chiamato nella memoria dell’umanità". Ogni persona è un nome, il suo e nostro nome! Oggi li ricordiamo perché nessuno può essere mai un numero, una statistica! Per questo pronunceremo uno ad uno i loro nomi ad iniziare dagli uccisi il 7 ottobre dalla follia omicida di Hamas, dalla quale bisogna prendere le distanze, come da qualsiasi ideologia o calcolo che riduce
l’altro a un oggetto, a qualcosa di residuale, a un nemico. Essi chiedono di impegnarci tutti a trovare o perseguire con più intelligenza e passione la via della pace, iniziando dal cessate il fuoco e da offrire le condizioni per farlo, dalla liberazione degli ostaggi al non prendere in ostaggio un intero popolo.
La domanda che ci deve inquietare è: “Abbiamo fatto tutto quello che potevamo per la pace?”. Dostoevskij scriveva: “Nessun progresso, nessuna rivoluzione, nessuna guerra potrà mai valere anche una sola piccola lacrima di bambino. Essa peserà sempre. Quella sola piccola lacrima di un bambino”. Il loro pianto, e quello dei loro cari, possa risvegliarci tutti, susciti l’intelligenza creativa e abile per costruire la pace, rafforzi la diplomazia e chi cerca il dialogo, difenda il rispetto indiscusso dei diritti perché il loro sacrificio sia seme di pace e inizio di una fraternità ritrovata. Il nome di Dio è nome di pace. Sia così.