di Virginia Varriale
“Nel
'75 alla Mensa Bambini Proletari nasce un collettivo che unisce un po’ tutte le
donne, sui tema dell'animazione con i bambini, si vuole centrare il lavoro su
contenuti teorici e pratici riguardanti non solo i bambini, come era accaduto
fino ad allora, ma collegando le due situazioni di emarginazione (termine usato
in quel periodo): il poco valore riconosciuto all'operato delle donne e lo
sfruttamento dei bambini. Credo fosse un'operazione intelligente, anche se
rivista aveva alcuni aspetti negativi perché mostrava la novità di unire
bambini e donne non nella logica madre-figlia, ma in quella dell'età:
bambina-adulta. Oggi se ne riparla, probabilmente allora abbiamo poco teorizzato
ciò che in pratica riuscimmo anche ad ottenere. Credo che il risultato
fondamentale raggiunto su cui esiste oggi una pedagogia della differenza, fu
l'aver diviso i bambini dalle bambine, affermandone la diversità. La critica da
fare al lavoro di allora è di poca capacità teorica. Successivamente tutto mi
sembrò estremamente gravoso, come se non riuscissi a trovare una reale
autonomia delle donne anche in quel contesto, quindi scelsi di occuparmi
totalmente delle donne, tentai di affrontare una ricostruzione a partire da me
con le altre, ma non abbandonai il discorso pedagogico”[1].
Del brano proposto vorrei sottolineare
la necessità per Lucia Mastrodomenico di voler trovare una capacità di
relazione tra l’io e il tu, che da un lato non deve cadere nell’egoità e
dall’altro non deve perdersi nell’identità dell’altro, ossia una “ricostruzione a partire da me con le altre”.
Non un io posto dinanzi all’altro/a per essere riconosciuto, ma un io che partendo da sé possa agire con l’altro/a.
Ciò è possibile solo aprendosi alla trasformazione e alla capacità di mettere in discussione valori e metodi.
Lucia Mastrodomenico, attraverso l’esperienza dell’Associazione “Lo Specchio di Alice”, ha modo di confrontarsi con altre donne caratterizzate da capacità teoriche e pratiche diverse, ma tutte accomunate dalla generosità di capire, e vede in questo un terreno fertile per una nuova operazione: comprendere che il tu non è mai un tu generico, ma è qualcosa di vicino, prossimo.
“In
loro ho trovato sempre la capacità di scalzare l'io e pensare immediatamente a
chi è vicina, questo è un patrimonio enorme, dà la possibilità di lavorare
bene; troppi io in un gruppo possono essere un rischio, creare dinamiche che
non mettono in moto la disparità, se invece non si parte da un io ma tutt'al
più da un sé, un me si avvia una dinamica che può dare adito alla pratica della
disparità, vedere i vari sé senza arrivare ad un appiattimento dell'una
sull'altra o a forme di potere, narcisismo, egocentrismo”[2].
Noi esseri umani siamo in perenne lotta con
noi stessi, fatichiamo per tenere a bada un ego che ci schiavizza e ci limita a
incontrare in modo autentico l’altro e, quando ci accorgiamo dell’altro,
vorremmo sedurlo narcisisticamente e oggettivarlo come semplice presenza e
dargli noi dall’esterno un senso senza
riconoscere il suo sé.
“Ci
si può guardare per capire la forza di ognuna e non arrestare mai il cammino
dell'altra; non pensare che la mia velocità di azione e di pensiero debba
aspettare quella di un'altra, non per questo non metto a disposizione le mie
potenze perché l'azione, il pensiero dell'altra possa avere una sua totale
autonomia e visibilità. Ecco la non fusionalità, ognuna avrà la sua parola e il
suo pensiero, ognuna troverà le modalità per dirlo senza restare nell'anonimato,
si deve avere distacco, credo molto nei tagli e nella possibilità
dell'allontanamento, a mio avviso è fertile. Staccarsi da strutture aggreganti
può significare anche andare verso nuovi orizzonti, l'importante è il non
rompere e ridurre o distruggere ciò da cui ci si è allontanato”[3].
Preservare quello spazio che c’è tra
“me” e “l’altro” è il modo più genuino di rispettare la diversità feconda di
ognuno: è il luogo dell’incontro, dove possiamo confrontarci senza rinunciare
al nostro modo di pensare e di essere, è il luogo dell’opposizione, dove
possiamo scambiare e non annullare le nostre vedute, è il luogo dell’azione,
dove ognuno agisce per-con-l’altro, senza perdere di vista che ognuno è sempre
progettualità.
È proprio questa distanza che ci permette di porci in un rapporto diretto e co-agire e la dimensione della pluralità è quella che garantisce la libertà ogni soggetto.
“Laddove
non si riesce insieme bisogna riuscirci da sole, fare insieme per me significa
cedere un po’ del proprio io affinché possa esistere un po’ dell'io dell'altra;
quando ciò non è possibile è giusto che si faccia da sé, il sé può coinvolgere
nessuna o varie donne, questo è il tentativo di Madrigale. Non credo alle
grandi fusioni, come ho già detto, producono soltanto rotture e scontri”[4].
Per Lucia Mastrodomenico non ci devono
essere forzature, appiattimenti o fusioni nelle relazioni, poiché è
fondamentale rimanere fedeli a se stessi: per fare-insieme è necessario cedere
una parte del proprio io e creare quel vuoto perché in esso possa incastrarsi
una piccola parte dell’io degli altri in modo armonico, ma se questo non è
possibile, perché la relazione potrebbe divenire subordinazione o
uguagliamento, allora è preferibile ricominciare da sé e segnare un nuovo
inizio.
Partire da sé è nascere ancora.
Io,
cosa?
Io, io, io … ancora io … dice l’uomo!
“Dovunque si arrampichi è inseguito da un cane chiamato Ego”
(Friedrich Nietzsche)
Che cosa sono mentre divengo?
Ognuno è come vuole
ma non sempre si è,
allora è più forte
il desiderio di poter essere.[5]
[1] Lucia Mastrodomenico in Conni Capobianco in Interpreti e protagoniste del movimento femminista napoletano, 1970-1990, Napoli, coop. Le Tre Ghinee- Nemesiache, 1994, pp. 93-99.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Virginia Varriale, A piccoli passi dentro la poesia. Una lettura degli Idilli di Messina di Friedrich Nietzsche, Loffredo, Napoli 2025, p. 28.
Non un io posto dinanzi all’altro/a per essere riconosciuto, ma un io che partendo da sé possa agire con l’altro/a.
Ciò è possibile solo aprendosi alla trasformazione e alla capacità di mettere in discussione valori e metodi.
Lucia Mastrodomenico, attraverso l’esperienza dell’Associazione “Lo Specchio di Alice”, ha modo di confrontarsi con altre donne caratterizzate da capacità teoriche e pratiche diverse, ma tutte accomunate dalla generosità di capire, e vede in questo un terreno fertile per una nuova operazione: comprendere che il tu non è mai un tu generico, ma è qualcosa di vicino, prossimo.
È proprio questa distanza che ci permette di porci in un rapporto diretto e co-agire e la dimensione della pluralità è quella che garantisce la libertà ogni soggetto.
Partire da sé è nascere ancora.
Io, io, io … ancora io … dice l’uomo!
“Dovunque si arrampichi è inseguito da un cane chiamato Ego”
(Friedrich Nietzsche)
Ognuno è come vuole
ma non sempre si è,
allora è più forte
il desiderio di poter essere.[5]
[1] Lucia Mastrodomenico in Conni Capobianco in Interpreti e protagoniste del movimento femminista napoletano, 1970-1990, Napoli, coop. Le Tre Ghinee- Nemesiache, 1994, pp. 93-99.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Virginia Varriale, A piccoli passi dentro la poesia. Una lettura degli Idilli di Messina di Friedrich Nietzsche, Loffredo, Napoli 2025, p. 28.