tratto
da Pangea del 28 agosto 2025
di Marilena Garis
l primo ad
unirli fu il visionario, l’anticipatore: Pier Paolo Pasolini. Fece
incontrare Alda Merini e Michele Pierri sulle pagine della rivista
“Paragone”. Era il 1953 e Pasolini scrisse un lungo articolo
intitolato Una linea orfica, in cui accostava le loro opere nel
segno dell’orfismo. La giovanissima Alda (che all’epoca aveva appena 22 anni)
era rimasta abbagliata dalla lettura del De Consolatione di
Pierri, uscito per Schwarz, dove era altresì apparso il suo Tu sei
Pietro.Non sapeva nulla di lui, solo che aveva 54 anni, viveva a Taranto
con la moglie e i numerosi figli ed esercitava la professione di chirurgo.
Dopo quasi trent’anni da quell’incontro sulla carta, nel 1981, è Giacinto Spagnoletti a favorire il loro contatto, una loro collaborazione poetica. Chiede a Pierri di mettere mano alla produzione di Alda Merini per cercare di ottenere una raccolta che ne segni il ritorno sulla scena editoriale.
Alda vive un
momento di grande difficoltà: reduce da dieci anni trascorsi in manicomio,
completamente sola nella sua casa milanese di Ripa Ticinese: il marito è
continuamente ricoverato in ospedale e le sue quattro figlie vivono lontane.
Quando Spagnoletti pronuncia il nome di Pierri, per lei è un momento quasi
epifanico. L’idea di ritrovare il compagno di orfismo, di potersi affidare alle
sue attenzioni, la rassicura e la rallegra immensamente. E così, la sera in cui
arriva la telefonata dell’ormai ottantenne poeta tarantino, Alda lo
accoglie con una delle sue frasi leggendarie “Buonasera, Michele, sono Alda
Merini. Sono trent’anni che aspetto questa telefonata.”
Possiamo immaginare lo stupore di Michele Pierri nell’udire queste parole, ironiche ed immediate, che attraversano i fili del telefono come saette. Il medico-poeta è un uomo estremamente riservato, vive immerso nel silenzio e nella concentrazione. Ha recentemente perso l’amata moglie Aminta, dopo una lunga malattia che l’ha paralizzata a letto per undici anni, e intorno a lui si muove una grande famiglia di ben dieci figli.
Tra Alda e
Michele vi sono ben mille chilometri di distanza e 32 anni di differenza. Lei
ha 51 anni, lui 83. Ma siamo nel paese dell’anima, dove dubbi e distanze
diventano materia di confronto serrato, dialogo profondo tra poeti. Il loro
appuntamento telefonico diventa un momento di pura felicità per entrambi, un
luogo di incontro, di intima fiducia. Alle volte Alda appoggia il telefono sul
calorifero, si mette al pianoforte, e fino all’una di notte dedica a Michele le
romanze più dolci che conosce.
di Marilena Garis
Dopo quasi trent’anni da quell’incontro sulla carta, nel 1981, è Giacinto Spagnoletti a favorire il loro contatto, una loro collaborazione poetica. Chiede a Pierri di mettere mano alla produzione di Alda Merini per cercare di ottenere una raccolta che ne segni il ritorno sulla scena editoriale.
Possiamo immaginare lo stupore di Michele Pierri nell’udire queste parole, ironiche ed immediate, che attraversano i fili del telefono come saette. Il medico-poeta è un uomo estremamente riservato, vive immerso nel silenzio e nella concentrazione. Ha recentemente perso l’amata moglie Aminta, dopo una lunga malattia che l’ha paralizzata a letto per undici anni, e intorno a lui si muove una grande famiglia di ben dieci figli.
Pierri è
profondamente colpito dalla situazione di profonda miseria in cui versa quella
poetessa milanese che lui ha sempre considerato di eccezionale valore. L’idea
che le sue figlie chiamino “mamma” altre donne, a cui sono state affidate a
seguito dei suoi ricoveri in manicomio, gli fa sanguinare il
cuore. Rivolge i suoi pensieri anche al marito, gravemente malato, che non
può più sostenerla.
Tra Taranto e Milano inizia così una fitta corrispondenza nutrita di lettere, poesie e telefonate interurbane. La loro relazione diventa di dominio familiare a causa delle bollette telefoniche, da un milione, due milioni, quattro milioni e mezzo di lire. Conti vertiginosi… ma quel legame è diventato troppo prezioso perché possa finire.
Il marito di Alda, Ettore Carniti, comprende che questo è forse il germe di un’unione più forte e ne è quasi sollevato: quel medico potrebbe essere un importante punto di riferimento per la moglie, quando lui non ci sarà più… Ormai piegato da un cancro ai polmoni, da un infarto e da una gamba amputata, una sera, verso la fine, chiede ad Alda di parlare con Pierri e riesce a pronunciare parole immense, che vanno dritte al cuore: “Le affido mia moglie, ne abbia cura e le faccia da padre.”
L’agonia di Ettore termina il 7 luglio 1983. Alda attraversa il mare della perdita. Gli antichi fantasmi rischiano di tornare nella sua mente ma l’intima amicizia con Pierri, ormai nutrita da una lunga fiducia, riesce a salvarla.
Alda e Michele si concedono ora una maggiore tenerezza, sentono che possono appartenersi, possono parlare dell’alchimia che li unisce, un’alchimia profonda che fonde amicizia, stima reciproca, bisogno di conoscersi, toccarsi, amarsi.
Un lungo ed inedito amore telefonico sta per diventare “vera vita”?
Michele è il più prudente, sente pienamente la responsabilità che si è assunto, ma esita a proiettarsi di nuovo al fianco di una donna. Alda, che vive i sentimenti molto istintivamente, parla senza esitazione d’amore. “Cesare amò Cleopatra,/ io amo Pierri divino/ che non conduce nessuna guerra,/ che è solo condottiero di nostalgia”, scrive nelle Satire della Ripa, che esce nel 1983, grazie al corposo lavoro di selezione operato da Pierri.
Tra Taranto e Milano inizia così una fitta corrispondenza nutrita di lettere, poesie e telefonate interurbane. La loro relazione diventa di dominio familiare a causa delle bollette telefoniche, da un milione, due milioni, quattro milioni e mezzo di lire. Conti vertiginosi… ma quel legame è diventato troppo prezioso perché possa finire.
Il marito di Alda, Ettore Carniti, comprende che questo è forse il germe di un’unione più forte e ne è quasi sollevato: quel medico potrebbe essere un importante punto di riferimento per la moglie, quando lui non ci sarà più… Ormai piegato da un cancro ai polmoni, da un infarto e da una gamba amputata, una sera, verso la fine, chiede ad Alda di parlare con Pierri e riesce a pronunciare parole immense, che vanno dritte al cuore: “Le affido mia moglie, ne abbia cura e le faccia da padre.”
L’agonia di Ettore termina il 7 luglio 1983. Alda attraversa il mare della perdita. Gli antichi fantasmi rischiano di tornare nella sua mente ma l’intima amicizia con Pierri, ormai nutrita da una lunga fiducia, riesce a salvarla.
Alda e Michele si concedono ora una maggiore tenerezza, sentono che possono appartenersi, possono parlare dell’alchimia che li unisce, un’alchimia profonda che fonde amicizia, stima reciproca, bisogno di conoscersi, toccarsi, amarsi.
Un lungo ed inedito amore telefonico sta per diventare “vera vita”?
Michele è il più prudente, sente pienamente la responsabilità che si è assunto, ma esita a proiettarsi di nuovo al fianco di una donna. Alda, che vive i sentimenti molto istintivamente, parla senza esitazione d’amore. “Cesare amò Cleopatra,/ io amo Pierri divino/ che non conduce nessuna guerra,/ che è solo condottiero di nostalgia”, scrive nelle Satire della Ripa, che esce nel 1983, grazie al corposo lavoro di selezione operato da Pierri.
Arriviamo così
al 1984: l’anno della rinascita (e non solo letteraria), che passa
attraverso La terra santa, il capolavoro di Alda Merini. Anche
Michele Pierri è protagonista di un’importante pubblicazione. Si tratta di una
sua antologia personale che raccoglie una selezione di versi composti tra il
1945 e il 1983: il titolo è Passare il ponte da sola, con 16
inediti del 1983. Qui compare Alda Merini, con due poesie a lei esplicitamente
dedicate.
Nella poesia Ma questo nuovo aprile si legge “Il tuo seno scoperto/ una finestra aperta/ sulla vita futura/ adorando il presente”. Pare la prospettiva di un’unione che possa conciliare il futuro con un presente ancora vivo e sanguinante (dove forse si cela l’amata Aminta, a cui Pierri resterà sempre profondamente legato). Il fatto che Michele stia coltivando il definitivo desiderio di concretizzare il loro legame in qualcosa di più che una telefonata è confermato dall’altro componimento a lei dedicato, Due poesie: “Due poesie che per grazia/ s’incontrano non possono/ non abbracciarsi”. Paiono le parole di un libro già scritto… Michele la aiuta, le invia dei vaglia per salvarla dallo sfratto e dal rischio di vedersi tagliare luce, telefono, gas. Ma le condizioni economiche di Alda sono ben oltre la soglia critica e, un giorno, pensando di racimolare qualche lira, subaffitta una stanza del suo bilocale a Charles, un barbone del Naviglio. Saputa la cosa, Pierri si decide, butta il cuore oltre l’ostacolo e le invia un telegramma di sole tre parole: “Ti sposo subito”.
Da Milano Centrale, Alda parte dunque in treno alla volta di Taranto, attraversa l’Italia ed i mille chilometri che la dividono da Michele, l’uomo che si staglia nella sua mente come un mito, un eroe sublime. È sedotta dalle sue qualità, quelle che ha conosciuto nei loro lunghi convegni telefonici: la sua monumentale rettitudine morale e la sua tendenza ascetica e meditativa. Come racconta nella sua biografia Reato di vita:
“Quando era venuto a prendermi alla stazione …io non l’avevo mai visto di persona, ma lo riconobbi subito, e anche lui perché per quattro anni ci eravamo ardentemente amati al telefono”.
Il 6 ottobre 1984, nella Chiesa del SS. Crocifisso di Taranto, Michele Pierri e Alda Merini si sposano. Lui ha 85 anni, lei 53.
Per quattro anni, a Taranto, Alda fu una sposa felice. Ogni mattina Michele arrivava nella loro stanza con il caffè, una rosa e una poesia d’amore sul vassoio… Scrivevano, si consultavano, si recitavano versi. Quegli anni furono tra i più creativi di Alda Merini, un momento di crescita umana e poetica, in cui la sua maturità artistica, già attraversata da esperienze gravi e dolorose, si coniuga ad un maggior rigore formale, certamente ispirato da Pierri.
Nella poesia Ma questo nuovo aprile si legge “Il tuo seno scoperto/ una finestra aperta/ sulla vita futura/ adorando il presente”. Pare la prospettiva di un’unione che possa conciliare il futuro con un presente ancora vivo e sanguinante (dove forse si cela l’amata Aminta, a cui Pierri resterà sempre profondamente legato). Il fatto che Michele stia coltivando il definitivo desiderio di concretizzare il loro legame in qualcosa di più che una telefonata è confermato dall’altro componimento a lei dedicato, Due poesie: “Due poesie che per grazia/ s’incontrano non possono/ non abbracciarsi”. Paiono le parole di un libro già scritto… Michele la aiuta, le invia dei vaglia per salvarla dallo sfratto e dal rischio di vedersi tagliare luce, telefono, gas. Ma le condizioni economiche di Alda sono ben oltre la soglia critica e, un giorno, pensando di racimolare qualche lira, subaffitta una stanza del suo bilocale a Charles, un barbone del Naviglio. Saputa la cosa, Pierri si decide, butta il cuore oltre l’ostacolo e le invia un telegramma di sole tre parole: “Ti sposo subito”.
Da Milano Centrale, Alda parte dunque in treno alla volta di Taranto, attraversa l’Italia ed i mille chilometri che la dividono da Michele, l’uomo che si staglia nella sua mente come un mito, un eroe sublime. È sedotta dalle sue qualità, quelle che ha conosciuto nei loro lunghi convegni telefonici: la sua monumentale rettitudine morale e la sua tendenza ascetica e meditativa. Come racconta nella sua biografia Reato di vita:
“Quando era venuto a prendermi alla stazione …io non l’avevo mai visto di persona, ma lo riconobbi subito, e anche lui perché per quattro anni ci eravamo ardentemente amati al telefono”.
Il 6 ottobre 1984, nella Chiesa del SS. Crocifisso di Taranto, Michele Pierri e Alda Merini si sposano. Lui ha 85 anni, lei 53.
Per quattro anni, a Taranto, Alda fu una sposa felice. Ogni mattina Michele arrivava nella loro stanza con il caffè, una rosa e una poesia d’amore sul vassoio… Scrivevano, si consultavano, si recitavano versi. Quegli anni furono tra i più creativi di Alda Merini, un momento di crescita umana e poetica, in cui la sua maturità artistica, già attraversata da esperienze gravi e dolorose, si coniuga ad un maggior rigore formale, certamente ispirato da Pierri.
Ogni tanto lei e Michele salivano a Milano Su
quel treno di Taranto, infinito, che Alda canterà più avanti con
tanta malinconia, dopo la morte di Pierri, avvenuta nel 1988.
Rivolgendosi all’amico editore Vanni Scheiwiller, scriverà
Su quel treno di Taranto, infinito
dove guarirà l’ombra della mia giovinezza
io tornerò un giorno.
Tornerò, Vanni, dall’amore che ho perso
tra gli ulivi gaudenti della terra,
tornerò presso il suo vecchio corpo…
e quando il sole mi guariva le tempie,
o Vanni, io pregavo il Signore
che mi facesse morire con lui.
“Erano una coppia favolosa”, scrive Maria Corti, attenta e fondamentale curatrice dell’opera di Merini, “poeti di rilievo entrambi, che ti venivano a trovare, ti donavano i loro testi e ti lasciavano nelle stanze il senso di una epifania”.
È proprio questo il senso che si respira tra le righe dei versi che Alda ha dedicato a Michele, il suo “grande guru bianco… di straordinaria bellezza, anche se già ottantenne”, ma eterno ragazzo nel cuore:
Rivolgendosi all’amico editore Vanni Scheiwiller, scriverà
Su quel treno di Taranto, infinito
dove guarirà l’ombra della mia giovinezza
io tornerò un giorno.
Tornerò, Vanni, dall’amore che ho perso
tra gli ulivi gaudenti della terra,
tornerò presso il suo vecchio corpo…
e quando il sole mi guariva le tempie,
o Vanni, io pregavo il Signore
che mi facesse morire con lui.
“Erano una coppia favolosa”, scrive Maria Corti, attenta e fondamentale curatrice dell’opera di Merini, “poeti di rilievo entrambi, che ti venivano a trovare, ti donavano i loro testi e ti lasciavano nelle stanze il senso di una epifania”.
È proprio questo il senso che si respira tra le righe dei versi che Alda ha dedicato a Michele, il suo “grande guru bianco… di straordinaria bellezza, anche se già ottantenne”, ma eterno ragazzo nel cuore:
Forse tu hai dentro il tuo corpo
un seme di grande ragione,
ma le tue labbra gaudenti
che sanno di tanta ironia
hanno morso più baci
di quanto ne voglia il Signore…
E le tue mani roventi
nude, di maschio deciso
hanno dato più abbracci
di quanto ne valga una messe,
eppure il mio cuore ti canta,
o sposo novello.
Un grande amore che si fa poesia, malgrado le maldicenze e le ipocrisie di quanti non lo compresero “Quanta gente Michele ha messo la bocca/ tra i nostri inguini,/ gli inguini dei nostri sogni…”. I farisei non capiranno mai cosa sia una follia d’amore ebbe a scrivere Merini nella Mistica d’amore.