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Che cosa è la cura in un mondo di incuranti?




Per ragioni di ordine economico, sociale, culturale, sta venendo meno la motivazione filantropica che da sempre ha guidato la professione del medico e degli operatori sanitari. Viviamo, infatti, al culmine di una società tecnocratica fondata su una atomizzazione del sapere, che tende a separare l'unità corpo-mente dell'uomo e a ritenere il corpo umano come un insieme di processi biomolecolari dimostrabili con tecnologie sofisticate. In questo scenario i medici credono, pertanto che,  prendere in considerazione il paziente nella sua totalità psico-fisica consista nel trasformarsi in un buon interprete/traduttore del linguaggio biomolecolare e che quindi la cura si risolva in un prodotto biotecnologico.
Di fatto la medica organicistica ha soppiantato la medicina relazionale, nonostante anche i medici siano consapevoli che gli organi si ammalano perché la storia, gli stili di vita, le emozioni, di un individuo, in altre parole, la relazione con gli altri e con il mondo, non funziona.
La tecnica separa medico e paziente e rende impersonale il rapporto di cura dove il paziente diventa solo organismo ed il medico funzionario di un sapere che lo trascende. I due sono spesso in un corpo a corpo senza neppure vedersi come persone.
Tutto ciò a scapito della relazione fra medico e paziente e fra persone. Si riafferma l'esigenza di riconsiderarsi parte di un tutto. Come da sempre fanno la medicina olistica e la medica omeopatica che hanno il limite di essere estremamente marginali nell'attuale contesto scientifico e sanitario. Perché a livello scientifico sono considerate, tuttora, non scienze. A livello sanitario, nonostante pesino il sette-otto per cento sul totale delle cure, nei paesi occidentali, rappresentano pur sempre una medicina di nicchia.
Un esempio di cura: le famiglie in cui è presente un malato di Alzheimer alle volte assumono comportamenti virtuosi di cura tali da trascinare gli operatori delle strutture sanitarie. Non si sa bene quanto l'Alzheimer sia una malattia o una nuova entità nosografica designata per esclusione di altre patologie.  Ma è un dato di fatto che è sempre più diffusa ed è una malattia che coinvolge non solo la persona malata ma tutta la famiglia.
Vi sono esempi sempre più diffusi di famiglie consapevoli che si prendono cura del malato di Alzheimer, danno luogo ad associazioni di familiari, individuano percorsi di cura e dialogano in maniera serrata con neurologi, psichiatri e altri operatori sociali e sanitari.
In questo caso, la relazione di cura è essenziale non solo tra medico e paziente, il malato ed il suo curante, ma anche in maniera allargata con famiglie, associazioni, strutture tipo RSA ed altro che sono state istituite per fornire risposte integrate. Non tutto va a gonfie vele ma è questo un esempio di come si è tenuto conto dell'aspetto relazione nel prendersi cura dell'individuo malato.
Un esempio di incuria: i tecnici al governo, fra le tante iniziative di tagli hanno recentemente pensato di tagliare i fondi per i malati di SLA. Una decisione gravissima destinata, se non cambieranno idea in tempio brevi, ad avere effetti devastanti sui malati di SLA e sulle loro famiglie. Una decisione presa dall'alto, capace di produrre effetti mostruosi a catena coinvolgendo tutti i livelli assistenziali. Dopo tante proteste pare stiano facendo marcia indietro. Ma il fatto è molto grave in ogni caso. I malati di SLA necessitano di tecnologie avanzate per poter essere in relazione con il mondo. Chi sopporterebbe i costi delle loro cure se il governo taglia i finanziamenti per questi malati?
L'incuria dunque può non essere stigmatizzata solo nella relazione medico paziente. Questo esempio, infatti, ci consente una riflessione su “incurie” centrali che si ripercuotono su operatori sanitari, malati e loro familiari. Questa ipocrisia della politica, che nega un contributo di 20.000 euro per ogni malato grave non autosufficiente, non solo lede il diritto alla salute costituzionalmente garantito, ma da il senso di una società tecnico-politica priva di valori, che non si prende cura del  peso di tante vite spezzate.
Da questo peso singolo e collettivo devono nascere battaglie democratiche per ricostruire un minimo di vivere civile, ancora prima di un adeguato stato sociale.

    
                                                                                   Articolo pubblicato in “Sanità”

Cristiana Parmeggiani   16.11.12