“Ho visto partire il tuo treno” di Elsa dè Giorgi. La storia
di un rapporto amoroso tra l’autrice e Italo Calvino. (Estratto dall’articolo di Lucia
Mastrodomenico pubblicato nella pagina culturale del quotidiano “Roma” il 15
novembre del 1992)
“Ho visto partire il tuo treno” di Elsa dè Giorgi è in vendita, da pochissimi giorni in
Libreria (ed. Leonardo; pag. 192; lire 29.000), insieme alla riedizione de “I
Coetanei” (pag.210; lire 15.000) pubblicato da Einaudi nel 1995. Elsa dè Giorgi,
conosciuta come diva famosa di molti film del dopoguerra, regista ed attrice
teatrale, autrice di prose e di versi, fondatrice di una scuola teatrale in
Umbria, a Bevagna, è, senza dubbio, una delle poche donne protagoniste, quindi
testimone, del fermento culturale e politico antifascista degli anni ‘40. Sarà
Salvemini, dopo aver ascoltato vari episodi sul periodo dell’occupazione di
Roma, raccontati dalla dè Giorgi, a suggerire la scrittura de “I Coetanei” e
nella lettera introduttiva al testo del
’55 lo stesso Salvemini esprime la sua ammirazione per tale libro: “E’
quanto di più bello ho letto finora sugli eventi succedutisi nel 1940”. Nel
1955 Italo Calvino presentando “I Coetanei”, come romanzo testimonianza,
scriveva nel risvolto della copertina: “come in un diario segreto del’700
questa donna prende coscienza del suo tempo”. L’ultimo libro della dè Giorgi
“Ho visto partire il tuo treno”, il cui titolo (tratto da una lettera di Italo
Calvino), nasce dalla rilettura di una delle tante lettere che Calvino le
scrisse, racconta della storia di un rapporto amoroso tra loro. E’ evidente che
dall’intensa storia amorosa emerge non solo il racconto della società e della
cultura italiana degli anni ’50 e ’60, ma anche l’identità attualissima di una
donna che ha costruito con amore la sua vita.
Molto amore, come dirà Salvemini a proposito dei “I Coetanei”, c’era e
c’è, in Elsa, nel “vedere la gente” e per Salvemini, senza questa intelligenza
degli altri, non vi è senso di storia e di giustizia. Una storia di amori, ci
racconta la dè Giorgi, come quella per Calvino, di tenerezze, piacere, felicità
intessute da grazia ed atmosfere raffinate. Storie di passioni umane, private,
ma descritte con leggerezza e stile, capaci di presentarci questa donna come
soggetto attivo della scena del racconto. Un’amante coraggiosa che sa, come
ella stessa dice “che alla base del mio coraggio c’era il fascino esercitato su
di me dalla genialità che sfida sempre il conformismo. Io credo che questo e
non altro mi abbia spinto, quasi bambina, a preferire la compagnia dei maestri,
alla spensieratezza dei coetanei”….”ho costruito quel coraggio su cui Sandrino
e poi Calvino, perché no, hanno contato, sfidandolo fino alle estreme
conseguenze senza riuscire a spezzarlo. Perché nasceva dall’amore. Terrore e
Pietas. La base di ogni religiosità. E il coraggio è una disciplina religiosa”.
Lucia : nella
conclusione “I Coetanei” offre già una
visione disfattista del presente italiano. Oggi pensa di aver avuto ragione ?
Elsa : credo che la conclusione del mio ultimo libro sia più
pessimista di quella de “I Coetanei”. La lettera di Guerrieri a Calvino supera
la perplessità amara di Pavese e diventa accusa contro l’arroganza della ragione.
E il fallimento della ragione è – nel nostro tempo – la causa di ogni
catastrofe. Sembra esserci nella realtà qualcosa di troppo che la ragione non
include, non conosce, non prevede, rendendola la più insensata delle utopie. Ma
d’altronde può l’essere pensante rassegnarsi, accettare questo fallimento ? O
non deve finalmente costringere la ragione a trionfare sulla barbarie degli
istinti feroci, abietti e conciliarla coi sentimenti che guidano verso la
solidarietà, l’amicizia, l’amore? Credo che ogni essere umano, anche il più
abietto, soffra per la incollocabilità di questi sentimenti in società
organizzate solo per ostacolarli o respingerli.
Lucia : la sua cultura
per l’amore, l’amicizia, presenti in questo libro, come possono essere da
esempio, modello, per una donna ?
Elsa : credo fermamente che la cultura per l’amore,
l’amicizia, che sono poi la stessa cosa, sia peculiare ad ogni donna
consapevole. Basta pensare alla solidarietà nella coppia, della compagna verso
il compagno, tanto spesso più debole e fallace. E anche nel lavoro, verso i
propri colleghi. E’ un motivo di speranza profondo questo che dovrebbe essere
assimilato. Ma purtroppo non avviene anche perché troppo spesso l’insicurezza
femminile, nell’ambito del lavoro, spinge la donna ad imitare l’uomo, nei suoi
fraintesi sintomi virili tra cui l’insensibilità, indifferenza, quando non
addirittura cinismo che vengono scambiati per obiettività e fermezza.
A cura di : Rocco
Maria Landolfi - 16
giugno 201 4 - sezione “sociale”