Gennaro (nome di
fantasia) ha nove anni, il padre lo ha
abbandonato quando si è separato dalla moglie, lui era molto piccolo; è stato
messo su un treno da Torino a Napoli (ne era originario), come un pacco postale; per anni è stato crudelmente
picchiato dal nuovo convivente della madre, soprattutto quando interveniva per
difendere quest’ultima; erano poi arrivati due fratellini, anche loro ogni
tanto “le prendevano”, anche loro ogni tanto dovevano essere protetti quando la
mamma sembrava soccombere di fronte a quell’uomo sempre ubriaco, sempre
violento.
Gennaro aveva imparato a volere bene ai suoi
fratellini; i suoi fratellini però ogni tanto ricevevano anche una carezza dal
loro papà, lui no, lui era il più grande, lui non era suo figlio, lui era buono
soltanto per andare a comprare le sigarette o una bottiglia di vino alle 2 del
mattino, quando veniva svegliato brutalmente e doveva anche sbrigarsi,
altrimenti le prendeva, lui e la sua
mamma
Quella sua mamma
indifesa e sprovveduta è venuta a trovarlo i primi mesi in casa famiglia; lei
era tutto ciò che gli rimaneva di caro, lui le voleva bene, avrebbe fatto di
tutto per proteggerla.
Lei si compiaceva di
vederlo finalmente più sereno, aveva anche imparato a leggere e scrivere in casa
famiglia, gli educatori sapevano prendersi cura del suo Gennaro. Una domenica
ha saltato una visita e da allora non si è saputo più nulla di lei.
Gennaro si è molto arrabbiato con lei,
la sua è quella rabbia di chi si sente tradito e abbandonato proprio dall’unica
persona di cui si fidava, su cui sapeva, o pensava, che avrebbe sempre potuto
contare per un abbraccio o una carezza sincera, di cui dietro a quell’aria da
“duro” anche lui aveva un gran bisogno.
Dopo molti mesi, quella
rabbia, quel senso di abbandono, erano sempre lì, dentro di lui, e facevano
ancor più male quando la mamma di qualche altro bambino veniva a far visita al
figlio in casa famiglia. Ma quando entrava in un campo di calcio, non importa
se per un allenamento, per una partita di campionato o per una partitella fra
compagni di scuola o di casa famiglia, quando solcava quel terreno spelacchiato
lui si trasformava e non pensa più a nulla, la porta era la sua unica certezza,
la sua rabbia si trasformava in una meravigliosa frenesia agonistica, e bastava
guardarlo, bastava specchiarsi nel suo sguardo deciso e fiero per capire
quanto, in quegli attimi, era felice!
Gennaro era entrato in casa famiglia sbattendo la
porta, si sentiva rifiutato e scartato, e la casa famiglia era il posto per i bambini
come lui, “senza valore”; la casa famiglia non poteva avere un valore per lui,
i suoi ospiti nemmeno. Gennaro si faceva
largo a gomitate e se qualcuno si metteva sulla sua strada conosceva soltanto
il linguaggio delle mani per difendere i suoi bisogni; non sapeva spiegarsi a
parole, non sapeva nemmeno leggerle o scriverle, lui, le parole.
Gennaro raccoglieva
quello che trovava, non importava a chi appartenesse, non importava in quale
stanza fosse; non aveva nemmeno mai imparato il senso dell’appartenenza.
Gennaro ce l’aveva col mondo intero, un mondo che gli
aveva concesso davvero poco, che gli aveva insegnato che era da solo e doveva
farsi rispettare, doveva imporsi su gli altri per non esserne divorato,
annientato; ed aveva imparato così bene a calarsi nei panni del “bambino
cattivo”, unico modo per meglio accettare l’epilogo amaro della propria storia
familiare e personale.
Gennaro, in casa
famiglia, ha iniziato con difficoltà un
percorso, lungo e faticoso, alla ricerca di nuovi significati da dare alla
propria storia e di un nuovo valore da dare a sé stesso ed agli altri.
I primi tempi si
meravigliava nel vedere come alla sua opposizione di fronte ad un “no” gli
educatori si mantenessero “fermi” ma non lo picchiassero, anzi aspettassero
sempre che lui si calmasse per poi rassicurarlo, coccolarlo; gli sembrava così
strano ricevere un regalo o avere delle cose tutte sue, un suo letto, uno
spazio tutto suo per i suoi giochi, le sue cose, i suoi poster.
Si lasciava andare fra
le braccia dell’educatore quando quest’ultimo interveniva per separarlo da un
altro bambino che aveva appena aggredito con un pretesto banale, non reagiva,
lui, di fronte a questo adulto forte ma accogliente; Gennaro aveva bisogno di
essere difeso dalla propria aggressività.
Era bello accorgersi di come l’educatore sapesse prendersi cura di lui
in modo disinteressato, aiutandolo a lavarsi la schiena, giocando con lui,
gratificandolo di fronte ai primi positivi risultati scolastici o a delle
modalità adeguate evidenziate nella relazione con gli altri.
Bello accorgersi di
riuscire ad essere simpatico e coinvolgente con gli altri bambini senza dover
imporsi loro in modo prepotente e arrogante; bello trovare accolto il proprio
bisogno di coccole al momento della messa a letto o in un qualsiasi momento di
malinconia.
E poi l’iscrizione al
torneo di calcio, l’amicizia con i nuovi
compagni di scuola, l’esperienza presso la “famiglia d’appoggio”, così diversa
da quella che lui aveva sperimentato.
In casa famiglia è
venuto fuori il vero Gennaro, che rimane un bambino spesso impulsivo ed un po’
egocentrico, che fatica a reggere le piccole frustrazioni di tutti i giorni e
che ancora ha bisogno di una certa fermezza contenitiva dell’adulto nei momenti
critici, ma che ha anche scoperto di avere una simpatia innata, di essere un
bambino intelligente e propositivo, di essere estremamente portato per
l’attività sportiva, di saper stare con gli altri riconoscendone i bisogni e
differenziandoli dai propri. Percorrere una strada, compiere un percorso,
significa avere l’opportunità di scoprire nuovi scenari, significa darsi delle
prospettive nuove, vedere le cose da nuovi punti di vista.
Certamente Gennaro si
chiede ancora che fine abbia fatto la sua mamma, è ancora arrabbiato con lei,
ma ne ha compreso i limiti, separando da
lei la percezione dei propri bisogni.
Un giorno il giudice gli
ha detto che l’assistente sociale e gli
educatori cercheranno per lui una nuova famiglia, che si possa prendere cura di
lui in modo incondizionato, dove lui possa crescere valorizzando le proprie
risorse, nel riconoscimento dei propri bisogni.
Gennaro si è preparato
davvero a questo evento e ha sperato di andare in una nuova famiglia capace di
accoglierlo di dargli affetto e ….intanto ha continuato a rincorrere un
pallone.
Lo scritto di Maria
Luisa Mignone è tratto dalla tesi da lei presentata al Master di II livello
“Direzione delle Strutture Sanitarie e Sociali Territoriali : Modelli
Organizzativi e Gestionali”, della Facoltà di Sociologia dell’Università
Federico II di Napoli. La storia che ci racconta è frutto della sua esperienza
professionale. Chiunque ha avuto esperienza nel complesso difficile ed intenso
mondo del volontariato sociale rivede in Gennaro uno di quei tanti bambini che
ha incontrato e si rinnova la rabbia verso quanti, a livello istituzionale,
dovrebbero sentire maggiore la responsabilità verso queste vite fragili e
disgraziate e lavorare per dar loro una possibilità di rinascita.
Beatrice
Fiore (docente relatrice della tesi)