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Lavorare negli ospedali. Difendiamo la sanità pubblica.


E’ forse difficile, in questi anni, spiegare, a chi lavora negli ospedali, nei servizi territoriali, quanto sia fortunato. Sono anni di tagli e sacrifici, di servizi che vengono chiusi, di scarsa manutenzione, di degrado morale e corruzione. Ma occorre riscoprire  la passione di lavorare per il Servizio Sanitario Nazionale. Sentirsi fortunati di percepire uno stipendio per aiutare le persone in difficoltà, le persone che hanno problemi di salute. Questo vale per tutti gli operatori. Innanzitutto per i  medici, gli infermieri, gli psicologi e gli assistenti sociali,  che operano a diretto contatto con la sofferenza delle persone;  ma vale anche per quanti lavorano “dietro lo quinte”, sociologi, amministrativi, personale tecnico, ingegneri ed avvocati. Tutti lavorano in un Servizio Sanitario Nazionale, di cui andare orgogliosi. Un sistema sanitario che, in Italia,  non fa differenze tra ricchi e poveri, che assicura servizi di prevenzione, cura e riabilitazione accessibili a tutti. Questi sono i principi fondamentali della legge di riforma sanitaria del 1978, tuttora validi, nonostante l’ingerenza della politica, i tagli, i maledetti ticket, abbiano peggiorato di molto, negli ultimi trent’anni, lo stato dei servizi. In questi ultimi anni, in particolare, tagli ai servizi  e mala gestione, hanno contribuito a creare demotivazione e sfiducia. È necessaria un’iniezione di fiducia per gli operatori sanitari. Bisogna lavorare a fondo sulla formazione dei medici e degli infermieri. Non bastano le conoscenze e le competenze specialistiche. Negli ospedali-azienda serve conoscere a fondo l’organizzazione e la gestione dei servizi sanitari e sociali, in particolar modo territoriali;  far riscoprire l’orgoglio di essere parte di una grande squadra, contribuire a suscitare speranza in quanti aspirano a lavorare nel SSN. Una miscellanea di competenze tecnico specifiche, organizzative e gestionali, di etica e di politica, di epistemologia ed economia aziendale, concorre alla formazione di quanti vogliono operare, oggi, nel SSN, difendere la propria autonomia, tener testa ai politici, organizzare e dirigere i servizi sanitari per il raggiungimento degli obiettivi che le persone si aspettano: essere accolte bene, trovare risposte appropriate ai propri problemi di salute, prevenire quanto è possibile prevenire, riabilitare ciò che ha già subito gli insulti del tempo e delle malattie. Nel 1978 una brava Ministra (all’epoca non si pronunciava al femminile, ma oggi si) della Sanità, Tina Anselmi, ed un gruppo di tecnici illuminati, dettero vita alla legge di Riforma Sanitaria i cui punti di forza: uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla malattia; prevenzione cura e riabilitazione accessibili a tutti,  sono tuttora validi.  Negli anni 90 l’aziendalizzazione della sanità, la trasformazione degli ospedali in aziende, ha determinare il prevalere dell’economia sulla tutela della salute, con più svantaggi che benefici. Nel 2001 la modifica del titolo V della Costituzione, il federalismo e la delega alle Regioni ha contribuito a determinare una sanità a doppia velocità: forte ed efficiente nelle regioni del nord, debole e sprecona nelle regioni del sud. Così non si può più andare avanti. Occorre riscoprire lo spirito ed i principi della legge di riforma del 1978, attualizzarli, formare i giovani che aspirano a lavorare nel SSN alle nuove sfide che ci aspettano. Se è vero che la politica vuole rinnovarsi, vuole riacquistare credibilità e consenso, deve puntare anche sulla sanità, guardare al SSN come ad un settore nel quale investire, convogliare nuove energie e nuove risorse. Gli operatori sanitari e sociali continueranno a fare la loro parte. Lo hanno fatto in tutti questi anni di tagli e sacrifici. Si meritano di più. È ora che anche la politica si adegui.


Roberto Landolfi                                    13 aprile 2014