Il
6 Maggio 2016 Sadiq Khan è stato eletto sindaco di Londra.
È il primo sindaco mussulmano d’origine pakistana che governerà una delle
capitali più importanti d’Europa. Con i suoi voti ha strappato Londra ai
conservatori, ma la sua elezione sul panorama internazionale ha fatto notizia
più per le sue origini che per le sue idee. Molte testate internazionali hanno
scritto: “il primo sindaco mussulmano di una delle capitali più importanti d’Europa”
o “il verde milionario contro un musulmano di sinistra.”
Interessante
come l’identità culturale, la propria provenienza o religione, siano al primo
posto nel panorama politico e di potere.
Khan
è il quinto figlio di una famiglia pakistana immigrata in Inghilterra. È cresciuto
in un contesto di periferia londinese fatto di case popolari e con un padre
conduttore d’autobus.
Anche
l’elezione di Obama a Presidente degli Stati Uniti d’America, nel 2009, fu un fatto senza precedenti per il mondo
occidentale. Nato da madre americana di origine europea e di religione
cristiana e da padre keniota di fede musulmana, Obama cresce in un contesto
multiculturale e vive sulla sua pelle, come da lui dichiarato, la differenza di colore fra suo padre e sua
madre.
Questi due leader hanno entrambi una
formazione giuridica e si sono occupati di diritti delle minoranze ma non solo,
il loro impegno si è indirizzato alle questioni sociali a favore delle
popolazioni più svantaggiate.
Tornando
a Khan, egli ha affermato di voler essere il Sindaco di “tutti” i Londinesi;
nel suo manifesto elettorale ha dichiarato di voler dare priorità alla crisi
nel settore abitativo, ridurre o
congelare i costi dei servizi pubblici e così via. I suoi temi rispecchiano i
temi del Partito Laburista e sono rivolti a tutti i cittadini. La sua
controparte conservatrice invece ha condotto una campagna per abbattere e
sminuire la figura di Khan, inculcando
negli elettori paure razziste e insistendo sul pericolo di eleggere un
musulmano. Questa campagna, condotta dal
candidato conservatore, è stata perdente e come ha commentato il prof. Tony
Travers: “Una Londra cosmopolita sta riflettendo su questo
risultato e sulla sua capacità di mettere la razza, la religione e l’identità
da parte”; afferma inoltre “Il
dialogo non si ottiene escludendo le persone”.
L’elezione
di Khan ha dimostrato come, spesso, si
ignorano le diversità politiche nelle
stesse comunità di minoranza. Infatti, come in ogni assetto, le comunità musulmane inglesi hanno divergenze politiche
a prescindere dalla fede religiosa. La maggioranza degli elettori musulmani
sono di orientamento conservatore, mentre il nuovo sindaco fa parte di una
minoranza politica che si è formata
all’interno della comunità, con orientamento più liberale, che sostiene i
diritti dei gay e delle donne, ma non per questo è tacciato di non essere un
vero musulmano. L’importanza di tale percezione è che la fede non deve essere
confusa con l’orientamento politico, né tanto meno ci serve etichettare il
comportamento di una persona in base alla sua fede o origine etnica.
Al
giorno d’oggi due sono gli atteggiamenti più diffusi: o la paura e il rigetto
del diverso da me, o la pacifica convivenza e il rispetto che però si basa sul
presupposto “basta che ti fai i fatti
tuoi senza arrecarmi danno e io ti concedo di vivere sul mio territorio”.
Cosa
manca a questo quadro? Forse non bisogna fare del “rispetto delle diversità” l’unica via da percorrere, ma è
necessario sporcarsi le mani, addentrarsi insieme in un discorso politico, di reciproco impegno sociale e quotidiano per
il bene comune. Quando la politica è espressione democratica di “tutti”,
nessuno escluso, getta le basi per una buona convivenza. Utopia? Forse un po’
sì, almeno nel panorama odierno!
Ho
avuto occasione, nei talk show o in altri contesti mediatici di ascoltare, i
discorsi politici dei candidati alle municipalità, nella prossima tornata elettorale di giugno. Come
molti elettori, mi sento sconcertata dal livello basso dei contenuti, anche del
dibattito, a volte quasi comico.
Pochi
sono a conoscenza che la Comunità Europea ha emanato indirizzi, agli stati
membri, per il diritto al voto dei
cittadini comunitari, legalmente residenti in uno stato membro, diverso dalla
propria cittadinanza. Osserviamo comportamenti molto diversi nei vari paesi
dell’UE, dai più restrittivi ai più ampi. In
Inghilterra, per esempio, gli stranieri provenienti dai paesi del
Commonwealth (incluso il Pakistan), legalmente residenti, anche senza
cittadinanza britannica, possono votare alle amministrative. In Italia possono votare solo i cittadini
comunitari legalmente residenti che si iscrivono nelle liste elettorali
aggiuntive e possono anche candidarsi come consiglieri comunali. Ma purtroppo sono pochi i comuni italiani che
hanno predisposto una corretta informativa per far sì che ciò avvenga a pieno
titolo. E perché di questo nessuno parla, nessuno se ne occupa per dare informazioni corrette? Non sarebbe questa una
importante via da percorrere per la civile convivenza democratica?
In
questo panorama non mi sembra che la sensibilità politica italiana sia pronta
ad un eventuale sindaco che si chiami Mohammed piuttosto che Abdul Mujeeb, o di
un premier donna, pur italiana, che governi l’Italia.
Ma la vecchia Londra conservatrice, il Paese
della Regina, che vive e respira delle sue tradizioni, ci ha davvero sorpreso. Chissà che questa apertura di una vecchia
capitale non porti un buon vento nuovo, verso la politica europea, ma anche verso i nostri futuri governanti.
Ascoltiamoli tutti, con orecchie e cuori aperti, ed incoraggiamo quelli davvero
aperti al dialogo interculturale.
Christina Harrison