testata registrata presso Tribunale di Napoli n.70 del 05-11-2013 /
direttore resp. Pietro Rinaldi /
direttore edit. Roberto Landolfi

Senza Dimora - Il disagio nella percezione degli operatori

Proseguiamo con la presentazione dei risultati dell’indagine condotta tra i volontari che si occupano di persone senza dimora (la prima parte è stata pubblicata in questo stesso sito il 4 dicembre u.s.), occupandoci della rappresentazione che i volontari offrono del disagio vissuto dai propri assistiti.
Sul piano della percezione delle problematiche connesse alla condizione di “senza dimora”, le idee dei volontari sembrano piuttosto chiare.
Alla domanda: “Nel tuo servizio, quali sono i principali problemi riscontrati tra i senza dimora?”, ben il 46,51% del campione risponde che il problema principalmente riscontrato è la solitudine, poi a seguire la povertà economica, con il 27,91%, le problematiche familiari, con il 16,28 %, e così via.
Aldilà dunque della frequenza – riconosciuta anche dalle più recenti indagini nazionali – con cui il combinato effetto della povertà e delle problematiche familiari determina lo scivolamento nella condizione di senza dimora, l'isolamento relazionale è percepito come uno dei principali problemi di queste persone.
La solitudine, infatti, non solo diviene, con il tempo, causa di problemi emotivi e relazionali, ma – in un contesto sociale in cui anche la ricerca di un'occupazione e la costruzione di un ruolo sociale passano attraverso il contributo determinante della famiglia e della rete di “conoscenze” di un individuo – genera un circolo vizioso che cronicizza la condizione di disagio.
D’altro canto la consapevolezza che sia la rottura degli equilibri relazionali, prima ancora della deprivazione materiale, all’origine dei percorsi di emarginazione è già da tempo patrimonio della sociologia e dell’analisi del fenomeno dei senza dimora.
Il sociologo francese Robert Castel, per descrivere il processo attraverso il quale, progressivamente, un individuo perde i legami sociali - distaccandosi dai propri sistemi di protezione -  smette di dare senso alla propria esistenza e dunque vede affievolirsi le proprie capacità di reagire alle avversità, coniò il termine “disaffiliazione” [dèsaffiliation]. Un processo che tende indubbiamente a verificarsi con maggiore frequenza in contesti di forte deprivazione materiale, ma che non ne costituisce la conseguenza automatica e reversibile.
Proseguendo l’indagine, tra le cause più frequenti di violazione della dignità dei senza dimora, i volontari intervistati individuano prevalentemente la naturale diffidenza tra le persone (30,23%) e l'intolleranza verso i diversi (27,91%), solo in subordine i comportamenti eccessivi dei senza dimora (13,95%) oppure aspetti dell’organizzazione sociale, come la mancanza di strutture adeguate etc…
Mentre le cause più frequenti di contrasti e tensioni tra gli stessi senza dimora, sono ricondotte essenzialmente alle dinamiche connesse alla gestione delle scarse risorse disponibili, con il 53,49%, e solo in subordine (anche se il dato non appare trascurabile – il 20,93%), alla diversa provenienza geografica.
Va registrato, tuttavia, che con il progredire del questionario/intervista in profondità, sulla percezione di alcune caratteristiche – o su elementi del vissuto –  dei senza dimora incontrati durante il servizio, i volontari hanno mostrato una sempre maggior difficoltà a rispondere con precisione.
Questa difficoltà è stata in parte motivata dagli stessi intervistati con la scarsa interazione avuta con i senza dimora assistiti, soprattutto nei servizi di distribuzione e nelle mense.
Una scarsa interazione a sua volta spiegata in parte come conseguenza della natura del servizio svolto dalle/gli operatrici/ori intervistati (ad es. le addette alla cucina), ma anche della volontà di non essere “invadenti” nei confronti dei senza dimora, con domande inopportune o con chiacchiere superflue. *
Per questo, ad esempio, a domande relative alla stima circa il possesso da parte dei senza dimora assistiti di eventuali benefici economici, oppure alla stima di quanti possano aver avuto problemi con la giustizia, il tasso di “non risposta” e di “non saprei” è elevatissimo.
Purtroppo anche su età e provenienza dei senza dimora assistiti i dati disponibili non sono utili, ma questa volta per un problema di raccolta degli stessi, infatti le relative domande non erano presenti in tutte le versioni del questionario utilizzate. Dai dati parziali raccolti si evince tuttavia una sostanziale equivalenza della componente italiana e straniera assistita, mentre per quanto riguarda l'età, la maggioranza dei senza dimora si collocherebbe nella fascia 40 -50 anni, con un trend di crescita, tuttavia, dei giovani e dei “grandi anziani”.
Percezione delle aspirazioni, dello stato di salute mentale e della diffusione delle dipendenze (in particolare dall'alcool) tra i senza dimora, sono le ultime aree su cui il questionario si proponeva di raccogliere dati.
Ebbene, per quanto attiene alle “aspirazioni” dei senza dimora percepite dai volontari, le risposte ottenute, oltre a confermare le prevedibili percezioni di desideri legati ad una vita normale (il 37,21%), alla reintegrazione sociale (il 27,91%) ed al rispetto dei diritti umani (il 20,93%), includono un 6,98% di “non risponde/non ricompreso”.
Si tratta di quegli operatori che hanno cercato di esprimere la condizione dei senza dimora che hanno perso ogni speranza, rispondendo semplicemente: “Aspirazioni non ne hanno”.
In diversi casi gli intervistati hanno voluto specificare che mentre i senza dimora giovani e gli stranieri (in modo particolare) presentano, generalmente, un certo grado di motivazione a superare la propria condizione attuale e dunque possiedono una serie di aspirazioni tra quelle proposte dal questionario, i più anziani e quelli che sono senza dimora da più tempo, mostrano generalmente una marcata carenza sia di motivazione al cambiamento che di aspirazioni.
Sul versante della salute mentale, la percezione prevalente dei volontari è che i senza dimora incontrati siano per lo più sani di mente (48,84%) o, al massimo, nevrotici (46,51%), a causa delle proprie difficoltà di vita.
Tuttavia, alla richiesta di fornire una stima percentuale dei senza fissa dimora ritenuti “nevrotici” - per le difficoltà di cui si è già parlato - i più rispondono “non saprei”.
Infine, sull'uso/abuso di alcool, le risposte fornite dai volontari intervistati sembrano ricalcare gli stereotipi più comuni. Nonostante una cospicua percentuale di “non saprei” e di mancate risposte (rispettivamente il 25,58% ed il 4,65%), la maggior parte riconosce che i senza dimora fanno diffusamente uso di alcool (cumulando quanti stimano in più del 20 e del 50% del totale i senza dimora alcolisti, si arriva al 44,19% dell'intero campione intervistato).
Chi fosse interessato a conoscere grafici e tabelle può farne richiesta a madrigaleperlucia@gmail.com

Ivo Grillo (Sociologo)


* Naturalmente questo deficit di relazione è molto meno avvertito nelle strutture di accoglienza (sia diurne che notturne) nel cui protocollo di accesso è generalmente incluso un colloquio conoscitivo, per questo i volontari operanti in tali contesti tendono ad esprimere giudizi più netti.