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Raffaella Agnese

Caldo intenso estivo anche a Genova. Lo studio del dott. Parodi è in centro, in un antico palazzo, non lontano da Palazzo Rosso, stanze troppo grandi per  uno psicanalista.
Raffaella Agnese entra nello studio con fare deciso e Parodi rimane, ancora una volta,  colpito dal suo incedere. Forse infastidito dalla sua femminilità prorompente, certo incuriosito dal suo sguardo intenso.
Esordisce con una malcelata  gaffe: “Ho pensato molto a lei in questa settimana”
Poi, rientrando nel ruolo : “Cioè a dire ho pensato ad analizzare il racconto che mi ha fatto della sua famiglia. Mi ha detto delle sue sorelle, ma nessun cenno a sua madre”
Raffaella Agnese tirò un sospirone  :
“Mia madre ha fatto morire d’invidia le persone che frequentava. Tanto ha dato e troppo ha tolto alle sue figlie. Quasi sempre battagliava con tutti per questioni personali, sociali,  politiche. Ora ha quasi novant’anni e vive con la sua attuale amica, più giovane di lei. Ha serenamente seppellito mio padre, uomo qualunque che qualunque donna avrebbe potuto sposare, ma difficilmente amare.”
Raffaella mimò il gesto di accendere una sigaretta e proseguì : 
“Il rossetto senza sbavature, gli occhi truccati in maniera sottile, le mani e i piedi curatissimi sono ancora suoi tratti distintivi, tratti da una passata gioventù e di un presente sempre tumultuoso. Lunghi e bianchi capelli raggomitolati in cima alla testa.
Chi arriva, a novant’anni, vede morire attorno a sé un’infinità di persone, e spesso se ne fa una ragione.  Mia madre non cede, ricorda tutti i compleanni delle sue amiche che non ci sono più. Non è mai stata così attaccata alla vita, come ora, con la lucidità di una giovane insoddisfatta. Ha avuto tre figlie, tre cesarei. Urlava talmente tanto ai primi dolori del travaglio, che i medici per far presto,  togliersela davanti e non prendersi responsabilità, propendevano per il cesareo.
Tre figlie femmine per una donna che si è scoperta amare altre donne. Il mio austero padre, militare di splendida carriera, non lo avrebbe mai ammesso, ma lo ha sempre saputo. Se la cavava con tanta cortesia e insana militaresca ipocrisia.
Mia madre non si è mai presa cura delle figlie. Almeno come noi avremmo voluto. Ci ha insegnato cos’è la bellezza, quali sono le mosse  giuste  per farsi rispettare, ma pochi baci e nessuna carezza. Ci ha cresciute per “dovere d’ufficio”, troppo preoccupata della sua immagine pubblica, dei  suoi contatti in società. Gambe lunghe e cervello fino insieme ad  una straordinaria capacità di  avere relazioni sociali, compreso occuparsi dei più poveri e delle persone in difficoltà. Faceva il tutto senza apparente contraddizione : salotti ed alta finanza, poveri e assistenza nei dormitori pubblici.  La sua immagine pubblica  è sempre stata forte e determinata.
Zio Filippo arrivò a dirmi che il fratello, mio padre, senza di lei non avrebbe fatto carriera. Non  perché mia madre avesse mai avuto amanti potenti. A lei bastava affascinarli, dar loro l’illusione che un’occasione ci sarebbe stata. I meschini non sapevano che si sarebbe trattato di un’occasione mancata.  A lei piacevano le donne.
Lo scoprii una sera che mio padre era in missione e venne a trovarci Laura, una spilungona anglofona saccente e repressiva. In piena notte mi  alzo dal letto in preda ad allucinazioni, avrò avuto vent’anni ed un febbrone da cavallo,  vedo Laura e mia madre avvinghiate sul divano baciarsi. Tirai fuori un urlaccio, e vidi, con soddisfazione, per la prima volta mia madre in difficoltà. Tornai a letto, sentii dopo un po’ chiudere la porta di casa, Laura andò via e mia madre venne a darmi il bacio della buona notte, manco avessi avuto tre anni. Finalmente parve accorgersi di me, per come l’intendevo io.
Le madri si prendono cura  dei figli quando sono piccoli e anche dopo; alcune anche troppo, alcune da togliere il respiro, in particolare ai figli maschi. Le madri cambiano i pannolini ai figli;  quando le madri invecchiano sono le figlie (mai i maschi) a prendersi cura di loro. 
Mia madre, in questo,  è stata giusta. Poche le volte che ha cambiato i pannolini a me. Adesso che lei ha novant’anni c’è Teresa, la sua compagna anziana, ad occuparsene.
Le mie sorelle mi dicono che non mi sono sposata e non ho figli perché ho sempre amato troppo mia madre. Sarei ancora alla ricerca del suo affetto e del suo consenso. Lei, semplicemente, mi lascia fare. Avrei avuto una vita segnata, sempre alla ricerca  di ciò che mia madre non mi ha mai dato. Come avrebbe potuto:  ho vissuto con lei così poco tempo. 
 Che ne farà del mio racconto  ? Sono un caso grave ? Con gli ansiolitici me la cavo bene, eppure sono venuta da Lei a raccontarle i fatti miei.”
Parodi avrebbe avuto voglia di azionare volontariamente il carillon di fine seduta;  ma il carillon venne in suo aiuto e suonò al momento giusto: 
Si. la madre, se no chi altri, è capace di dare il calco alla nostra esistenza. Per nove mesi siamo stati dentro il corpo di nostra  madre. Sangue del suo sangue, ci siamo alimentati del suo cibo e  nel suo liquido abbiamo nuotato. Poi le esperienze infantili, i traumi, il normale passaggio dei bambini attraverso il complesso di Edipo, la ristrutturazione dei rapporti con i genitori hanno un’influenza determinante nelle nevrosi dell’età adulta. Essere adulti significa conoscere in che cosa abbiamo sbagliato nei confronti di noi stessi, degli altri e delle persone che amiamo. Ci vediamo tra sette giorni e, non dimentichi, di portarmi  una foto di sua madre.”
Di quando era giovane?  chiese Raffaella
“Quella che le piace di più, quella che, a suo avviso, la rappresenta meglio.” Rispose Parodi
Raffaella se ne andò pensierosa: “chiederò a mia madre quale foto vuole che mostri al mio analista.”  


L.R.M.