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“Perché i minori delinquono?”


Le prime domande da porsi – e a cui provare a dare una risposta –  sono: Perché i minori delinquono? Perché la frequenza degli eventi di microcriminalità infantile/adolescenziale è in aumento?  È in aumento solo nella città di Napoli?
Proviamo a fare alcune ipotesi in merito alla causa del fenomeno:
-       i minori delinquono per noia (non avendo modi costruttivi per impiegare il proprio tempo, scelgono di compiere atti rischiosi o violenti per provare delle emozioni forti);
-       i minori delinquono per imitazione (imitazione che può riguardare modelli familiari o amicali, ma anche modelli virtuali veicolati da serie televisive, personaggi di fantasia o della letteratura);
-       i minori mettono in atto gesti violenti o criminali che hanno la valenza di riti di passaggio per l’ingresso nelle organizzazioni criminali egemoni nei loro contesti di vita;
-       i minori che delinquono fanno già attivamente parte di organizzazioni criminali adulte che li utilizzano – per la loro non punibilità – in compiti complementari (intimidazione, controllo del territorio, osservazione, scambio di informazioni, custodia e trasporto di armi/droga);
-       i minori mettono in atto gesti violenti o criminali per attirare l’attenzione su un proprio disagio psicologico o sociale.
Naturalmente, soltanto in base alla risposta che daremo a questo interrogativo – e, conseguentemente alla ipotesi privilegiata – potrà essere costruito un intervento credibile e sostenibile nel tempo.
Dunque, quali possono essere le fonti di informazione utili al tentativo di dare una risposta al nostro quesito?
In primo luogo i minori già entrati a pieno titolo nel circuito penale (quindi seguiti dai tribunali per i minorenni e/o detenuti negli appositi centri); in secondo luogo i cosiddetti “minori a rischio” ovvero quei minori che per varie ragioni (evasione obbligo scolastico, frequenza o comportamento scolastico irregolari, provenienza da contesti familiari difficili), pur non avendo ancora generato una risposta istituzionale “forte”, sono stati segnalati o comunque sono noti ai servizi sociali o ad altri attori del territorio.
La ricostruzione degli stili di vita di questi minori e la comprensione dei processi “mentali” dagli stessi agiti durante la realizzazione delle proprie azioni violente, rischiose o criminali, costituirebbero la “fonte autentica” del bisogno a cui un progetto di intervento dovrebbe provare a rispondere.
Non è da escludere del tutto l’utilità del punto di vista della restante platea giovanile, ma questo rischia di essere – per forza di cose – un punto di vista “terzo” sul problema. Stesso discorso vale per l’opinione degli “operatori sociali”, che spesso tendono a far coincidere il bisogno con la soluzione che i rispettivi enti di appartenenza veicolano.
Seconda questione: occorre intervenire sul lato della prevenzione diffusa (concentrandosi sui minori che manifestano un disagio di fondo, ma non sono ancora entrati nel circuito penale) oppure su quello rieducativo/riabilitativo, sul quale – parimenti – si registra scarsità di risorse?
Terzo problema: la localizzazione e l’estensione dell’intervento. Avendo la necessità di circoscrivere inizialmente il campo di un’azione di prevenzione e/o di riduzione del danno ove conviene agire?  A livello cittadino, metropolitano o più limitatamente di quartiere? In quest’ultimo caso, su quale zona intervenire e perché?
Altro aspetto importante: partnership e livelli di complessità del progetto. Ferma restando – a mio avviso – la necessità di una seria ricerca sulle cause del fenomeno, come primo segmento dell’azione progettuale (nel quale la collaborazione con l’Università ed eventualmente altri istituti di ricerca sociale appare doverosa), il progetto può poi prevedere, in base alle scelte strategiche effettuate, diversi ulteriori livelli di azione e relative partnership.
In generale credo che se il progetto di lotta alla microcriminalità infantile/adolescenziale punti alla realizzazione di azioni di prevenzione (ovvero rivolte ai soli minori a rischio), risulti necessario il coinvolgimento delle istituzioni scolastiche e dei servizi sociali comunali di zona, oltre che di eventuali soggetti attuatori delle azioni (società sportive, cooperative sociali, centri diurni, aziende sanitarie locali, psicoterapeuti).
Nel caso di azioni di riduzione del danno, invece, risulti indispensabile la collaborazione con il Tribunale per i Minorenni ed almeno una struttura di detenzione per minori (o un centro per l’esecuzione delle pene alternative), oltre che con i già citati soggetti attuatori.
Quali gli strumenti da utilizzare? La formazione (magari se effettivamente finalizzata al lavoro), lo sport, la musica ed il teatro, hanno già dimostrato di essere ottimi strumenti sia per la prevenzione che per il recupero dei minori devianti, tuttavia essi sono realmente efficaci soltanto se impiegati in modo continuativo, ovvero in grado di generare un credibile modello alternativo di vita per i ragazzi e non semplicemente un momento (o una serie di momenti) di sensibilizzazione.
Appare chiaro che l’eventuale coinvolgimento della Società Calcio Napoli (o di altra squadra di calcio, di basket, di altre discipline di squadra), o ancora di noti maestri di arti marziali, potrebbe avere una valenza estremamente importante per la prevenzione del disagio infantile/adolescenziale.
Altrettanto necessario il coinvolgimento delle Università, molto presenti e qualificate a Napoli e in Campania. Vi è notizia che l’Università Parthenope (quella in cui insegna anche la madre di Arturo, il ragazzo recentemente accoltellato in città), abbia allo studio progetti o metodologie educative specificamente mirate nei confronti di minori a rischio.
L’unica cosa da non fare è restare a guardare.


Ivo Grillo