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Guardiamo nell’Aperto: Non sono semplici oggetti


“Non sono semplici oggetti” esordisce così Cristina Cattaneo nel dialogo con Elena Stancanelli raccolto da Raffaella De Santis e pubblicato su Robinson di Repubblica domenica 10 marzo. Cristina Cattaneo è un medico legale forense che quotidianamente mette al servizio della giustizia la competenza investigativa della medicina legale e, come riporta l’articolo di Repubblica, ha la sua sfida nel ridare un nome ed una dignità ai poveri corpi, o ciò che resta di essi, dei migranti morti in mare forse nel più grande naufragio di migranti  avvenuto da quando la traversata del Mediterraneo in cerca di un mondo migliore è divenuta un obiettivo di tanti disperati provenienti dall’Africa. Lo scrive nel libro “Naufraghi senza volto”- Raffaello Cortina editore. 
Elena Stancanelli è una scrittrice la cui sensibilità ed acutezza di pensiero è coniugata ad una scrittura ardente ed efficace; ci racconta che l’estate scorsa ha trovato, con altri intellettuali, nell’impegno della testimonianza la possibilità di avviare un progetto iniziato con Alessandro Leogrande, chiamato “la frontiera “ proprio dal titolo del libro dello scomparso Leogrande.
La Cattaneo racconta che attraverso i loro oggetti, i burocratici “effetti personali”, ciascun corpo è un uomo o una donna o un bambino (ahimè), che narra la sua storia con il linguaggio semplice delle poche cose che ha portato con se: un sacchetto di terra, la pagella con tutti 10, la tessera di una biblioteca o quella di donatore di sangue; le loro tasche sono come quelle di chiunque di noi, loro, i naufraghi morti siamo noi ci ricorda la Stancanelli.
Continua la Cattaneo: “curare i morti significa anche curare i vivi che stanno dietro alle vittime è un obbligo deontologico della mia professione. I migranti vengono considerate persone di serie B e con la morte subiscono l’ultimo sopruso”. 
L’idea è quella di non consentire la facile e sbrigativa omologazione a frasi fatte come “taxi del mare” o “aiutiamoli a casa loro”; è necessaria la costruzione di un linguaggio che contemperi la compassione per l’altro, attraverso la ricostruzione delle vite e delle loro identità, riponendo nella narrazione la restituzione della loro umanità, perché “ il bambino trovato con la pagella cucita nel giubbotto riguarda tutti noi”. Nessuno escluso.

Maria Vittoria Montemurro