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Alcuni esempi: imparare dagli altri

Due nazioni al mondo sembra abbiano sconfitto il virus della pandemia: la poco abitata e molto democratica Nuova Zelanda. La molto abitata e poco democratica Cina. Altri, come il Giappone, la Corea del sud e l’Australia sembrano averlo domato. Come hanno fatto? In Europa e Stati Uniti la situazione sembra esser sfuggita di mano. Perché?

Come desumibile dai dati pubblicati sul sito dell’OMS, in Cina si sarebbero verificati solo 22 casi negli ultimi giorni. Il Giappone contava pochi giorni fa meno di 700 casi. Meno di 10 in Corea del sud e Australia. Ancor meglio in Nuova Zelanda, dove la neo elezione della laburista Jacinda Arden, è stata influenzata dall’ efficace gestione dell’epidemia da coronavirus. 

Alcuni osservatori dubitano della trasparenza dei dati cinesi. Ci può stare.  Se consideriamo il regime dittatoriale, il controllo, da parte del governo cinese, quasi totale della trasmissione delle informazioni e della comunicazione (anche se la Cina ha mostrato, in più occasioni, di esser capace di una solidarietà internazionale superiore a quella di Stati Uniti ed Europa).

La Nuova Zelanda è poco popolata, ha una bassa densità di popolazione (18,2 abitanti per Km quadrato), rispetto all’Italia (199,4 abitanti per Km quadrato) o la Germania (232 abitanti per Km quadrato). Anche questo ha agevolato la lotta al virus. Ma il Giappone (340 abitanti per Km quadrato) e la Corea del Sud (491 abitanti per Km quadrato) hanno densità abitativa superiore ad Italia e Germania, eppure hanno attualmente molti meno casi di infezioni di quanto se ne registrano in Italia e Germania. Italia e Germania che ad oggi, è bene ricordarlo, sono le nazioni messe meglio in Europa. Molto peggio sta andando in Belgio, Francia, Spagna, Gran Bretagna, per non parlare dei paesi dell’Est Europa. Come si spiega? 

In tutti i paesi che abbiamo analizzato vengono consigliati (in Cina imposti) alla popolazione i tre fondamenti della lotta al coronavirus: mascherine, distanziamento, pulizia assidua delle mani. 

Cosa si sta facendo in più, nei paesi che stanno contenendo al meglio l’epidemia (Cina, Giappone, Australia, Corea del Sud), rispetto a quelli dove si diffonde tuttora drammaticamente, cioè a dire in Europa, in India, negli USA? 

Primo, il tracciamento. Il tracciamento si ottiene facendo ricorso massiccio alle nuove tecnologie. Proviamo ad importare dal Giappone, non solo il modello teorico, ma anche le pratiche ricadute. Nushimura, il ministro incaricato della lotta al Covid, in una recente intervista rilasciata al Corsera, spiega: “I Giapponesi erano già propensi ad  adottare la mascherina, ben prima del Covid; il governo giapponese ha incentivato in maniera sostanziale lo smart working (lavoro intelligente) che ha permesso di liberare gli affollatissimi treni dei pendolari; fondamentale però è stata la nozione di cluster di trasmissione: cioè pochi gruppi determinano un’altissima contagiosità e dunque è necessario intervenire in maniera <chirurgica> e tempestiva, isolandoli. Occorre un lavoro di mappatura e di incrocio dei dati che ha comportato un ampio impiego delle nuove tecnologie”. Il termine cluster può esser tradotto in italiano come grappolo, ammasso, raggruppamento.  Quindi in Giappone hanno realizzato un lavoro di identificazione dei focolai, degli ammassi, isolandoli in maniera scientifica, utilizzando le nuove tecnologie e realizzando chiusure parziali, confinamenti locali, ma fatti rispettare in maniera puntuale. Hanno poi lasciato aperte le scuole, con distanziamento, rigorose misure igieniche e schermi di plastica.

Dunque, atteso che non siamo il Giappone, discendiamo da una cultura diversa, non è detto però che, anche da noi, non si possano attuare misure di confinamento locale dopo un efficace tracciamento dei casi. Ricorrendo ad un corretto uso di nuove tecnologie che nulla ha a che vedere con la inefficace app “Immuni”, come dimostrato negli ultimi mesi. Si tratta di realizzare un’inversione di rotta. In Italia ci sono le competenze, abbiamo le opportune conoscenze. Si tratta di avviare una fase di coinvolgimento della popolazione attraverso una efficace campagna di comunicazione. Le persone si devono sentire partecipi, coinvolte direttamente nella lotta al virus e non destinatari di una serie di Decreti Governativi calati dall’alto. Si può fare, basta volerlo. Tutti dovrebbero essere coinvolti a livello politico, dalle forze di maggioranza a quelle di opposizione. Il virus non fa differenza: colpisce tutti, progressisti e conservatori.

In Italia i tre fondamenti della lotta al virus, sono abbastanza diffusamente rispettati. Mascherine, distanziamento e igiene delle mani sono divenuti quasi parte del nostro patrimonio genetico. Vanno introdotti, in attesa dell’annunciato vaccino, più lavoro intelligente, tracciamento, individuazione e controllo dei cluster. 

Questa la strada da intraprendere e rafforzare alla luce delle macro evidenze internazionali. Dovrebbero occuparsene coloro che sono pagati per prendere le pubbliche decisioni.

 

RL