Se non riusciamo a comprendere perché Manzoni si sia lasciato sedurre da un personaggio tanto anticonformista, proviamo ad analizzarne la psicologia. Premettiamo che L'Innominato possiede una evidente doppia personalità. Poiché è dotato di una memoria eccellente, nessuna delle azioni compiute nel suo turbolento e criminale passato è stata accantonata, e nessuno dei cadaveri che si è lasciato alle spalle si è confuso nella massa. Egli viaggia accompagnato da una fedele scorta di immagini terrificanti di volti insanguinati, di bocche che chiedono pietà, di agguati e pugnalate, di fughe e inseguimenti scellerati. Mettendo in pratica l'ama il prossimo tuo come te stesso all'incontrario, l'Innominato si deve essere odiato di anno in anno sempre di più, e quando l'età e le energie declinando lo hanno indotto ad bilancio, sia pur provvisorio, dell'esistenza, giunto all'apice della propria carriera di killer e signore del male, l'odio di sé ha raggiunto un livello intollerabile. L'Innominato non sa perché abbia commesso tanti delitti, e sembra non ricordare quale gioia possa avergli procurato l'esercizio di un potere assoluto. Forse ha scelto di essere signore delle tenebre nel momento in cui ha dimenticato Dio. Senza Dio, l'uomo si è sentito autorizzato all'onnipotenza, ma un'onnipotenza fine a se stessa, o meglio all'affermazione di sé al di sopra di qualsiasi ratio, simile all' urlo disperato: io esisto perché tu mi temi, esisto se ti tolgo la vita. Dio ha aspettato che la sua creatura toccasse il fondo dell'abisso per ripresentarsi a lui. Lo ha fatto introducendosi nella sua coscienza attraverso lo sguardo mite ed umile di una fanciulla, inconsapevole di essere stata sollevata al ruolo di messo angelico, di santa e di madonna. Come fare per ricominciare ad amarsi, dopo un'intera esistenza buttata nell'odio di sé? La disperazione della morte, della dannazione cedono il passo all'immagine del proprio cadavere sformato, ingiuriato e vilipeso, alla rabbia per la gioia che la vista di quel cadavere potrebbe suscitare nei suoi tanti nemici. E' un moto d'orgoglio, è il timore di una morte indecente, è la vanità di affidare il proprio ricordo ad una vita che i posteri vogliano raccontare, è l'incapacità di pagare il prezzo delle proprie scelte dando i propri resti in balia di mani e menti spietate quanto lo sono state le sue. Questa paura della morte è in ultimo la paura di Dio, perché la morte è la più efficace dimostrazione della non-onnipotenza dell'uomo. Darsi la morte per uscire dalla trappola è un mezzo troppo semplice e non risolutivo del problema. Per guadagnarsi la morte occorre un'altra vita, che sia il contrario di quella già vissuta, a risarcimento di sé e per placare il Dio, unico onnipotente, che gli stritola la coscienza. L'azione simbolica da cui ripartire è la liberazione di Lucia. Il cardinal Federigo si farà garante e testimone della nuova scelta; senza di lui, l'Innominato non avrebbe i mezzi per dimostrare al suo Dio-guardiano di avere finalmente e veramente capito. Una bella lezione.
Tratto da: Maria Colaizzo - “La Scuola Marginale” - Edizioni Millerighe, Napoli 2015