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Meriti e bisogni

L’attuale governo, con tutti (o quasi) i partiti dentro, è nato come il governo dei “Migliori” con a capo un banchiere, uno statista tra i più stimati in Europa. C’è da affidarsi ad un governo così composto? Si fida l’UE, si fidano i mercati, cresce il consenso tra i cittadini. A nostro avviso occorre vigilare, prestare la massima attenzione su come evolverà la situazione, stare molto attenti a ciò che ci riserverà la politica dei partiti e quella dei cosiddetti tecnici. Occorre apportare suggerimenti critici, fuori dal coro. Diffidare di un governo, formato da partiti che sembrano essersi messi insieme, in nome dell’emergenza, solo per reciproca comoda utilità.  Adesso sembrano tutti moderati e pronti a dialogare. Nessuno più si rivolge alla pancia delle persone con proclami demagogici. Via gli slogan contro i migranti, ma guai a parlare di ius soli o ius culturae.  Tutti provano a (s)ragionare. Quanto durerà? 

È necessario continuare a riflettere sul ruolo che l’alta finanza e l’economia di mercato stanno avendo e su dove condurranno l’Italia; quale sarà il ruolo dell’Unione Europea la quale ha assicurato stabilità e pace da settant’anni, ma è ben lungi dal divenire gli Stati Uniti d’Europa.  Non vanno lasciati ai margini, in questa fase, la difesa dei diritti civili, del diritto di cittadinanza, insieme al rispetto dei doveri che, ognuno di noi, nell’epoca della pandemia, è tenuto ad osservare.

Come abbiamo già avuto modo di puntualizzare, in altre occasioni, sulle pagine di questo periodico, oggi più che mai, il rilancio dell’Italia non è un problema di risorse ma di modelli organizzativi. I soldi arriveranno, e tanti; in che maniera verranno spesi? In che tempi? Grandi perplessità permangono sulla riforma della giustizia, sulla sanità, sui trasporti, sulla cultura. Basta citare un esempio per capire come il governo sta veleggiando, col crescente consenso dell’opinione pubblica, verso porti poco sicuri: la tutela della salute. 

La sanità, centrale in questo periodo, è ridotta, nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR), a ruolo di cenerentola. Nel PNRR si parla di potenziamento della medicina territoriale, di medicina di prossimità; di istituire Case di Comunità, una ogni 50000 abitanti. In Campania o nel Lazio, ad esempio, ne dovrebbero sorgere 120. Caspita! Facile a dirsi!  Ma dove sorgeranno? Con quale personale? Come si farà a coinvolgere i medici di famiglia, da sempre restii a lavorare in strutture messe a disposizione dalle ASL? I prossimi mesi saranno cruciali per passare dal dire al fare. Vedremo. 

Ad ogni modo, oggi più che mai, di fronte al depauperamento del dibattito politico, è necessario ribadire il primato della politica sulle soggettività sociali.  Non si deve fermare la riflessione sui principi della nostra democrazia, su come valorizzare i talenti e dare concrete risposte ai bisogni delle minoranze. Il dibattito su diritti e doveri non può essere sacrificato sull’altare della finanza, dell’economia e della finanziarizzazione dell’economia. Maggiore intervento dello Stato non deve significare solo maggiore immissione di risorse da trasferire ai privati. Deve significare ampliare il dibattito sui diritti civili, sul potere per il potere, sulla cittadinanza, sull’analisi del rapporto tra meriti e bisogni.  

In tal senso riportiamo a seguire un pezzo di Filippo Barbera su “meriti e bisogni”, pubblicato sul Manifesto del 14 marzo 2021, molto utile per riflettere su come “non ripetere gli errori fatti negli ultimi quarant’anni”. 

Vorremmo lo leggessero, lo studiassero, i nostri governanti. Contribuirebbe forse alla tenuta della loro consapevolezza sul da farsi, e, perché no, alla loro igiene mentale! (RL)

 

Meriti e bisogni un’attuale polemica di 20 anni fa

Ripreso da www.ilmanifesto.it del 14 marzo 2021 a firma di Filippo Barbera

 

Dal 31 marzo al 4 aprile 1982 si svolse a Rimini la prima conferenza programmatica del Psi. L’epitome dell’evento è il celebre discorso di Claudio Martelli, “Per un’alleanza riformista fra il merito e il bisogno”. Rileggerlo criticamente, oggi, quasi 40 anni dopo e in concomitanza con l’avvicendamento alla guida del Pd, può fornire utili indicazioni a chi si appresti a ricoprire questo ruolo. Colpisce, anzitutto, il livello dell’analisi e la cogenza dei riferimenti intellettuali.

Oggi siamo a “invidio il vostro costo del lavoro” o “lo smart working è da fannulloni”. Leggendo il discorso di Martelli emerge in modo plastico quanto la crisi dei partiti e il mancato ricambio della classe dirigente – arroccatasi sulla difesa di posizioni di rendita interna – abbia depauperato il dibattito politico. Siamo al vuoto politico e al potere per il potere.

In merito ai contenuti, ci sono (almeno) tre aspetti del discorso che interrogano l’oggi. Il primo, nell’incipit, è il primato della politica sulle soggettività sociali: “L’esigenza che oggi avvertiamo di individuare i soggetti sociali (…) del riformismo moderno (…) segue e non precede l’iniziativa politica. Una iniziativa politica riformista c’è già stata in questi anni prima che potessimo porci il problema della parte di società che potremmo rappresentare”. Oggi la situazione è al polo opposto. Noi non veniamo da una “stagione riformista” – qualunque cosa ciò possa significare – in cerca dei soggetti sociali da rappresentare.

Oggi, l’azione politica deve interrogarsi sui soggetti sociali che vuole rappresentare e a cui si rivolge. Da una parte, in negativo, dicendo chiaramente contro chi si agisce: la politica è anche (pur non solo) conflitto tra interessi. Togliere alla rendita per dare al lavoro ne è un esempio. In secondo luogo, il discorso di Martelli invita a interrogarsi oggi sul fulcro della sua argomentazione: “Il senso dell’alleanza riformista e socialista è e non può non essere nella sua essenza altro se non questo: l’alleanza tra il merito e il bisogno”.

Il concetto di merito è associato a quelle donne e uomini di talento e di capacità, persone utili a sé e utili agli altri, che progrediscono e fanno progredire un insieme o un’intera società con il loro lavoro, con la loro immaginazione, con la loro creatività, con il produrre più conoscenze. Concezione, questa, acriticamente ripresa da quanti oggi inneggiano alla “meritocrazia” e all’eguaglianza di opportunità, senza specificare che la prima era – nelle intenzioni di Michael Young che l’ha resa celebre – una distopia, mentre la seconda presenta moltissime implicazioni mai esplicitate fino in fondo dai suoi sostenitori.

Gli epigoni di questa concezione, poi, omettono la seconda parte della definizione di “meriti” data da Martelli, invero attualissima: il merito è una forma di potere e di “libertà di”. Chi merita è, dice Martelli, chi può agire. Il potere di agire, la libertà positiva che l’esercizio del merito e dei suoi correlati implica, non è mai messa a tema da chi, oggi, si rifà a questa prospettiva. E asimmetrie di potere eccessive, diritti di proprietà squilibrati, concentrazione cumulativa delle diseguaglianze, sono alla base della maggiore o minore possibilità di poter agire.

Non meno cogente, anzi forse più ancora, è questa prospettiva per il tema dei bisogni: “Le donne e gli uomini immersi nel bisogno sono le persone che non sono poste in grado di essere utili a sé e agli altri, coloro che sono emarginati o dal lavoro o dalla conoscenza o dagli affetti o dalla salute: sono coloro che devono agire”. Il bisogno pone le persone nella necessità di agire: accettare qualsiasi lavoro, mettere a rischio la salute in cambio di un salario, rinunciare a diritti di cittadinanza per guadagnare ciò che appena basta alla riproduzione materiale. Le situazioni di bisogno pongono le persone in condizioni di vulnerabilità, esclusione, diseguaglianza.

Martelli si interroga poi su chi siano i soggetti sociali dei meriti (che possono agire) e dei bisogni (che devono agire) e ne propone un’alleanza riformista, guidata dal Psi, che spiazzi il Pci e dia voce alla “maggioranza riformista”. Come è andata a finire, lo sappiamo. Ma i punti focali del discorso di Martelli “iniziativa politica-soggetti sociali-meriti-bisogni” interrogano anche oggi le forze politiche, che però ne fanno un uso sloganistico, privo dello spessore analitico che il discorso di Rimini portava con sé.

L’iniziativa politica è ridotta al leaderismo, senza articolare il tema della rappresentanza, della forma-partito e del ricambio della classe dirigente. I richiami ai soggetti sociali oscillano tra la falsa coscienza di un “interesse nazionale” e l’idea che il bene dei più forti equivalga al bene di tutti, per un meccanismo di “sgocciolamento” che in realtà ha già mostrato tutta la sua inconsistenza. Meriti e bisogni, poi, sono invocati senza riferirsi al tema dei poteri e della libertà di agire. Se i temi del “riformismo” del Pd sono questi, è bene attrezzarsi per non ripetere gli errori fatti in questi quarant’anni.