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Noi pastori Valdesi accogliamo tutti

Riportiamo di seguito l’intervista a Daniela Di Carlo, pastora valdese, pubblicata su “La lettura” del Corriere della Sera, domenica 6 marzo 2022, a cura di Helmut Failoni. Non è certamente facile diventare pastora della chiesa valdese, fondata da Valdo di Lione (1140 – 1206). Un percorso lungo che richiese impegno, studio, sacrifici, preparazione (NdR)

 

Pastora come si arriva a ricoprire il suo ruolo?

Occorre una laurea magistrale di 5 anni, uno dei quali deve essere obbligatoriamente fatto all’estero.

Lei cosa ha scelto?

La città di New York. In una facoltà sorella.

E poi c’è il vicariato.

Sono 18 mesi di introduzione al lavoro. Il primo anno accanto ad un pastore o una pastora più grande d’età. Per il tempo restante cominciano ad affidarti una chiesa. Infine un’ultima prova: l’esame di fede. Viene fatta in sinodo e coinvolge 190 persone, 80 laici, 80 tra pastori e pastori ed altri. Vengono poste delle domande. Ti viene data mezz’ora per ritirarti e capire come rispondere. Poi il corpo pastorale vota, con scheda segreta, si o no.

Quante pastore ci sono in Italia?

Siamo una trentina.

La vostra Chiesa è caratterizzata da una maggiore apertura rispetto alle altre. Ci spiega in quale modo?

La nostra Chiesa è per tutti e per tutte non solo per alcune categorie di persone, come accade per esempio in quella cattolica dove sono marginalizzate le famiglie dei divorziati o persone Lgbtq, 

Lei predica l’importanza dell’autodeterminazione?

 Ci ha permesso d’impegnarci sul fronte del testamento biologico quando ancora non era possibile.

Il suo impegno da pastora in che cosa consiste?

Nel governare la chiesa insieme ad un gruppo di persone. Essere responsabile della vita spirituale e culturale.

Deve anche affrontare però esigenze concrete?

Durante il lockdown diverse persone hanno perso i propri cari, molte hanno vissuto in solitudine l’isolamento, altre hanno dovuto affrontare difficoltà finanziarie: il lavoro consiste anche di occuparmi pragmaticamente di loro, aiutandoli a comperare il cibo o a pagare le bollette. Poi c’è la dimensione spirituale, l’aiuto verso chi sta male e soffre perché crede che non abbia più senso la vita o è alla ricerca di Dio. Mi chiamano anche per tenere conferenze. Sì, il lavoro è tanto, ma quello principale è la predicazione della domenica.

Leggere la Bibbia comporta un’interpretazione storico critica dei passi, tenendo conto del contesto in cui quelle pagine sono state scritte; come si fa?

Il nostro Paolo Ricca (storico della Chiesa) dice: “la Bibbia non è la parola di Dio, ma nella Bibbia è contenuta la parola di Dio”. Questo significa che va fatta una lettura critica perché non è possibile che alcune cose possano essere prese alla lettera, come ad esempio tutta la tempesta omofobica che ha cacciato la comunità Lgbtq dalle chiese cristiane. Altre cose invece, e ce ne sono migliaia, non vengono nemmeno considerate.

Un passo della Bibbia per lei prezioso?

Il discorso della montagna, riportato nel Vangelo di Matteo. Ci sono nuove interpretazioni.

Esistono religioni sbagliate, secondo lei?

No. Le religioni sono però tutte imperfette perché sono un fenomeno umano e molto spesso le persone le hanno usate come strumento di potere, esclusione e sottomissione.

L’imperfezione della religione valdese?

Scegliendo un rapporto diretto con Dio è una religione difficile da seguire, perché se tu da solo che devi scegliere che cosa fare; non c’è nessuno che te lo dica.

La sua posizione nei confronti della sessualità?

Dal nostro pulpito non ci sarà mai una pastora o un  pastore che possa dire male dell’unione di due uomini o due donne. L’importante è sempre muoversi lungo la scia del comandamento dell’amore che ci ha lasciato Gesù. Amore nei nostri confronti e verso il prossimo o la prossima, che incontriamo. Una relazione è legittima  nel momento in cui segue questa regola.