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“Maria”

“È colei che genera, la Donna che ha generato il Figlio, tuttavia è anche colei che l’ha atteso, che lo genera senza conoscerlo, che lo cerca senza trovarlo, che lo trova e lo perde, che lo piange e lo ritrova o spera di ritrovarlo. È la donna nel cui grembo humilis si compie il primo atto della kénosis del Signore, ed è la donna che è segno della pienezza dei tempi, poiché se è ora che il Signore ha mandato il proprio figlio, plenitudo temporis è questa ora stessa”.

Sono parole che splendono quelle del filosofo Massimo Cacciari nel suo ultimo “Generare Dio”, edito da Il Mulino all’interno della collana “Icone. Pensare per immagini” curata dallo stesso pensatore veneziano. Icona è infatti per il filosofo, volto adattato alle abitudini dell’opinione pubblica nel commentare fatti di ben minore solennità e ricercatezza, ovvero quelli della quotidianità politica, sinonimo di apertura, di una finestra sul mondo che piuttosto che rinchiudere nell’angustia di un significato delimitato genera ulteriore senso, ci sprona a pensare, a farci testimoni del reale. E questo nessuno, nell’Europa “o cristianità”, come afferma Cacciari, lo fa meglio dell’immagine della Madonna col Bambino. “In che cosa consiste la sua lotta? Nel salvare il figlio, nel custodirne la testimonianza. Solo colei che lo ha generato ne ha il potere. Ecco che lo ‘raccoglie’ e lo indica come la Via. E nel ‘raccoglierlo’ anche lo medita, lo riflette, soffre le proprie domande insieme al destino di lui, le proprie domande sul destino di lui”, scrive il filosofo.

Quello di Maria col Bimbo è un tema infatti tanto teologico quanto culturale e antropologico, che segna il pensiero dell’Occidente cristiano in molteplici dimensioni. Una di queste è la riflessione sul rapporto tra immaginazione e pensiero, in quanto “la meditazione su Maria si svolge essenzialmente attraverso la straordinaria messe delle sue immagini”. Poi c’è il tema della “povertà” dell’immagine figurativa del Padre, che sta nei cieli, mentre qui in terra ci sono la Madre con il Bambino. Infine la figura stessa della Madonna, sempre troppo minimamente considerata, ma senza la quale non sarebbe possibile la stessa incarnazione del logos. “La Maria dei teologi non ne è spesso che pallidissima eco. E i filosofi che più intensamente si sono affaticati a interpretare il Romantico, l’Europa o la Cristianità, gli Hegel e gli Schelling, l’hanno sempre pressoché ignorata”.

Sono stati i pittori a mostrare la forza di Maria, assieme ai poeti, e il fatto che Ella dopo l’annunciazione dell’angelo medita costantemente, e dubita. Nemmeno i Vangeli ce ne parlano esplicitamente: lo si è capito attraverso le immagini. “La sua domanda ha tuttavia un peso infinitamente più inquietante e paradossale: che significa che Dio è con me? Non ha Egli sempre accompagnato la storia di Israele? Quale novitas, allora, si annuncia? Non questo o quel miracolo, risponde Gabriele, non semplici eventi straordinari, bensì il fatto che non esiste impossibile presso Dio”. Senza il grembo di Maria non sarebbe perciò possibile la nascita di Dio, e dentro di esso avviene la Sua crescita, la Sua “maturazione”, che è cosciente e volontaria. “Il timore non viene perciò meno, si approfondisce vertiginosamente, nell’amen della giovane donna, e tuttavia non la fa vacillare: sono la doùle del Signore, avvenga secondo la tua parola. Non cerca di nascondersi come Eva. E inizia così la sua attesa, paziente quanto carica di angoscia”.

Alla rinascita trionfale in cielo, all’Assunzione, va così sempre associata la crocefissione del Signore, e la con-crocefissione di Maria, spiega Cacciari: perché altrimenti si finirebbe per ridurne il valore a quello di una commedia a lieto fine. “Se la vita intradivina si fosse manifestata nella carne soltanto per forza e virtù propria, questa carne non avrebbe potuto apparire reale, e si sarebbe trattato di una “semplice” epifania del divino, già implicita nel suo essere logos. E se il sì della donna apparisse scontato, un atto necessario, il suo grembo si ridurrebbe a un superfluo contenitore di quella stessa epifania. Gabriele non viene a ordinare, non comanda a una serva; è Maria che ascolta e diviene obbediente alla sua Parola. Ella beve il suo calice, come farà il Figlio. La sua obbedienza non ha nulla di semplicemente remissivo, quietistico. Ella giunge a volere la volontà divina”, scrive ancora Cacciari.

Senza capire perciò questo passaggio, questa accettazione di Maria che comprende il dubbio, la meditazione, l’ombra, e quindi la testimonianza del reale, della sua corporeità e della sua concretezza, non si capirebbe nemmeno il senso del cristianesimo, è il concetto espresso dal filosofo. “La fede non è visio facialis. Vince il dubbio, non lo annulla. Rinsalda la ricerca, dà voce all’interrogare, non lo elimina; lo rende, anzi, così esigente da durare fino all’ultimo giorno, fino all’éscathon”. E tanto meno se si esclude  la centralità della figura di Maria tout court. “Sta scritto: nessuno conosce il Figlio se non il Padre. E la Madre, che lo contiene in sé? Che ne ha accolto in sé il suo destino consentendo di generarlo? Può non comprenderne l’essenza? Oppure la comprende diversamente dal Padre, secondo una forma che a lei sola appartiene?”, interroga il filosofo. E ancora: “Che siano proprio questi gli occhi della vera comprensione?”.

Perché il tema centrale è quello della Verità contenuta in Maria e nel suo grembo. “Ciò che si è ascoltato lo si raccoglie in sé, così che esso diventa parte di noi, così che noi vi partecipiamo col nostro esserci, anima e corpo, mente e cuore. Altro modo non è dato di veramente intendere”. Bisogna cioè entrare a fare parte del problema che si vuole afferrare, se lo si vuole afferrare. “Lo comprendiamo nella misura in cui ne siamo compresi. Esso non si risolve, scomparendo in quanto tale, nella nostra meditazione; è piuttosto la nostra stessa meditazione a non esprimerne altro che lo svolgimento, l’articolarsi, la vita. Così medita Maria, come concependo”. E “concepirlo è metterlo alla luce”, cioè generare. “Di questa stessa altissima humilitas dello stesso pensare è icona il concepimento di Maria”.

Ombra inoltre, quella del pensiero e della presenza di un corpo, che corrisponde anche a quel Bimbo che porta in grembo, quel “bimbo che è Dio”, in una relazione “tra i due”, cioè “come i due siano entrati l’uno nell’ombra dell’altro”, che “non viene narrata nei Vangeli”. Mentre “propria tale relazione costituirà l’icona-chiave dell’Evo cristiano. La philìa che inseparabilmente li distingue è destinata a diventarne il simbolo decisivo”. Un altro Logos è poi “quello della Croce”, spiega Cacciari, e infatti Maria “non redime, non salva da sé sola, mai potrebbe tanto presumere di sé; sorregge e aiuta nell’economia della salvezza, come sorregge il bimbo e alla fine depone sul proprio grembo il Crocefisso. La sua predicazione è preghiera. Preghiera vivente”, e “la perfetta compassione è pertanto il segno di Maria”. Poi, ad esempio in opere come la Trinità di Masaccio, accade che “la figura sacerdotale- sapienziale di Maria assume un rilevo che va ben oltre l’ossequio popolare, e si collega a motivi profondi della speculazione gnostica sul mistero cristiano”.

Da lì Cacciari passa così in rassegna anche i tratti dello gnosticismo cristiano, dove “qualsiasi forma di gnosi considera gli eventi secondo un tale criterio, derealizzandoli in quanto tali”, e dove è “solo la luce della Sophia che interessa”, mentre “la nascita carnale disturba, intriga”. Lo fa assieme anche ai caratteri di Maria ritratti dai vangeli apocrifi, dove “della fanciulla quasi sgomenta, della meditante in dubio, della crocefissa, ma anche di colei capace di pronunciare un Sì maestoso, vera maestra dell’ascolto di Israele, non rimane in questi apocrifi, in queste dottrine segrete, che solo a illuminati vogliono risultare comprensibili, pressoché alcuna traccia. Ciò che in essi scompare, a guardare bene, è proprio la donna. La sua figura, che qui sembrerebbe tanto esaltata, in realtà non esprime allegoricamente che la massima tensione verso il proprio annullamento, o, meglio, verso l’annullamento della dualità maschio-femmina”. E dove perciò, in conclusione, “osservare la parola più alta finirebbe qui, allora, col significare non generare”.

Questo perché “quanto la gnosi smaterializza, tanto l’icona dell’Occidente incarna, intende esprimere la realtà dell’incarnazione del Logos, nella molteplicità dei suoi momenti, dei suoi volti, delle sue sofferenze”. E va comunque considerato che “l’Evo” cristiano “è segnato dalla sistole e diastole di queste due grandi correnti”. Ma “il figlio che matura in Maria è il Figlio”, conclude il suo breve volume Cacciari, dove le riflessioni si originano e si legano a partire dalle opere di pittori come Masaccio, Andrea Mantegna, Giovanni BelliniSimone Martini, Piero della Francesca, e dagli scritti di poeti, mistici e pensatori come Rebora, Luzi, Rilke, Hölderlin, Florenskij, von Balthasar, Meister Eckhart, Dante. “La sua relazione con lui definisce la sua relazione col divino; questa Madre e questo Figlio insieme decidono dell’intera relazione col divino propria dell’Evo che la loro immagine inaugura”. La Croce perciò “non è la fine che per essere l’inizio”, “fine di un evo e aprirsi di quello radicalmente nuovo, dove il figlio, humilitas e violenta caritas in uno, diventa la sola reale immagine, la sola ri-velazione del Dio ignoto”. E “il Padre si è incarnato per sempre nel divenire del Figlio”, “lungo tutte le stazioni del suo calvario”: “Se mai rinasca è da lei che lo può, se mai risorga, risorge in lui soltanto”

Articolo di Francesco Gnagni,tratto da  Formiche.net

(segnalato da Virginia Varriale)