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I cani famelici

Stultum consilium non modo effectu caret,
sed ad perniciem quoque mortalis devocat.
Corium depressum in fluvio viderunt canes.
Id ut comesse extractum possent facilius,
aquam coepere ebibere: sed rupti prius
periere quam quod petierant contingerent. 

(Fedro,1XX)

 

 

Un progetto sciocco non solo è privo di risultato, ma conduce i mortali anche alla rovina. Dei cani videro nel fiume una pelle di animale messa a mollo. Per poterla più facilmente mangiare (una volta) estratta, cominciarono a bere l’acqua: ma morirono scoppiati prima di poter toccare quello che cercavano.

Quando un progetto è mal pensato, quando non si riflette abbastanza sulle scelte e sulle azioni da intraprendere di conseguenza, quando il bisogno incombe e l’avidità prevale gli uomini (e non i cani) vanno incontro alla rovina e questo è il segno della loro stoltezza. Allora l’attesa di un pasto abbondante si trasforma in una morte inutile e inconsapevole, alla quale non c’è rimedio. Questa favola potrebbe riguardarci, se quella pelle di animale fosse l’oggetto del desiderio di ricchezza e di potere, e il cane chi è disposto ad un atto anche folle pur di impadronirsene. Come il corvo che si adorna delle piume del pavone, della rana che vuole diventare grossa come il bue, i cani non usano il cervello ma in loro prevale la smania di avere, e nel branco a nessuno viene in mente di porre fine all’azione suicidaria, perché il bottino è vicino, a portata di mano, e un sorso in più non potrà far male. E invece l’acqua è nemica, è silente e inesorabile, trionfa e uccide chi la inghiotte compiendo la vendetta –o la giustizia-e infine scoppia come una bomba nello stomaco di chi vuole più di quello che la ragione e il buon senso consentono di avere.

 

Maria Colaizzo