nella Storia
e voglio essere
assente dalla Storia.
Voglio essere riconosciuta
e voglio l’onore
di non esserlo".
(Carla Lonzi, Taci, anzi parla)
Dopo la lettura ricordo di aver cercato un confronto con diverse persone che sapevo interessarsi al femminismo o agli studi di genere e le reazioni al mio entusiasmo per Lonzi erano principalmente due: o dichiaravano di conoscerla ma di non averla mai letta, oppure (in molti) ammettevano di non sapere chi fosse. Per molti anni su Carla Lonzi (1931-1982), figura centrale del femminismo italiano di seconda ondata e fondatrice di Rivolta Femminile insieme a Carla Accardi ed Elvira Banotti, è calato un lungo silenzio, in buona parte dovuto alla mancata circolazione dei suoi scritti e alla difficoltà materiale nel reperirli (fino al 2010 l’unica edizione esistente era quella del 1974 pubblicata dalla casa editrice di Rivolta [1]).
Oggi, leggere o rileggere
la sua opera significa, infatti, entrare in contatto con una parola diretta,
assertiva, colta, volontariamente provocatoria e generatrice di domande:
come scrive la stessa Lonzi nella premessa in apertura a Sputiamo su
Hegel e altri scritti, i testi che compongono il volume, più che essere dei
«punti fermi teorici», rendono conto di un pensiero che è in divenire e
«riflettono un modo iniziale […] di uscire allo scoperto», dopo aver constatato
con sdegno «che la cultura maschile in ogni suo aspetto aveva teorizzato
l’inferiorità della donna» (p. 9).
Il percorso che
la conduce alla fondazione di Rivolta e alla scrittura di questi testi è
caratterizzato da un graduale processo di presa di coscienza che culmina con il
passaggio, avvenuto proprio tra il 1969 e il 1970, dalla critica d’arte al
femminismo. Lonzi, infatti, nasce come critica d’arte, affermandosi
tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta come una delle principali
promotrici e scopritrici delle nuove correnti di stampo astrattista, come
l’arte informale e l’arte povera. Sarà proprio la frequentazione ravvicinata
degli artisti (tra cui Pietro Consagra, che diventerà il suo compagno) a far
emergere in lei una nuova concezione di critica d’arte «non gerarchica e
partecipativa» (Zapperi) lontana dai modelli dell’epoca (in particolare Roberto
Longhi, con cui si era formata, e Giulio Carlo Argan, contro il quale prende
parola pubblicamente nel 1963 con l’articolo La solitudine del critico).
Questo nuovo
modo di pensare la critica trova la sua espressione più compiuta in Autoritratto (1969)
in cui Lonzi dà vita a un «convivio immaginario» [3] con quattordici artisti attivi negli anni Sessanta (Carla Accardi,
Getulio Alviani, Enrico Castellani, Pietro Consagra, Luciano Fabro, Lucio
Fontana, Jannis Kounellis, Mario Nigro, Giulio Paolini, Pino Pascali, Mimmo
Rotella, Salvatore Scarpitta, Giulio Turcato, Cy Twombly). In quest’opera la
voce di Lonzi si interseca con quella degli artisti in un dialogo paritario e
senza sopraffazione, dando vita a una forma che, seppur su temi diversi, in
parte anticipa una pratica centrale del gruppo femminista da lei fondato, cioè
l’autocoscienza. L’esperienza come critica d’arte le permette inoltre di far
emergere la centralità della questione del riconoscimento tra artista e
critico-spettatore e, in particolare, la mancata reciprocità nel
rapporto con gli artisti: prendendo a modello la dialettica servo-padrone, Lonzi si rende conto che il suo ruolo, in
quanto critica-spettatrice, è sempre stato quello di dare riconoscimento agli
artisti senza però essere mai riconosciuta:
La personalità
creativa, intanto che sembra dare agli altri, toglie loro la possibilità di fare
centro su di sé e di mirare a una liberazione in proprio. L’artista accetta la
liberazione di riflesso che egli elargisce, anche se non si accorge che il
sospetto che egli ha verso lo spettatore è un risultato inconscio di questa
operazione ambigua. Quando ho capito che mi si chiedeva di immedesimarmi nello
spettatore ideale, mi sono sentita a disagio. Che funzione era quella? D’altra
parte, l’ambiguità dell’artista verso lo
spettatore viene anche dal fatto che lui ne ha bisogno e perciò deve sentirsi
autorizzato a procurarselo: lo cerca, lo alletta, lo adopera, lo ricaccia
lontano dalla ricerca di sé. Nonostante tutto l’artista fa il vuoto di
creatività intorno a sé (Lonzi, Taci, anzi parla, p. 45).
È proprio una
volta constatato questo «vuoto di creatività» dell’artista e la conseguente
impossibilità di essere riconosciuta che Lonzi abbandona
definitivamente la critica d’arte e si apre al femminismo, passaggio
accelerato tra l’altro dalla presa di coscienza di una sovrapposizione
fondamentale tra il rapporto artista-spettatore e quello uomo-donna. Infatti,
così come l’artista ha bisogno dello spettatore per essere riconosciuto ma non
fa lo stesso nei suoi confronti, allo stesso modo anche l’uomo, secondo Lonzi,
necessita della donna per realizzare il suo desiderio di riconoscimento, che
tuttavia manca di reciprocità. Come affermerà in uno dei primi testi pubblicati
insieme al gruppo di Rivolta, «la creatività maschile ha come interlocutore
un’altra creatività maschile, ma come cliente e spettatrice di questa
operazione mantiene la donna il cui stato esclude la competitività. […]
L’attività dell’uomo, anche nell’arte, si articola nella competizione con un
partner che è ancora un uomo, e nella contemplazione che chiede alla donna» (Assenza
della donna dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile,
pp. 63-64).
La scoperta del
femminismo – «è stata la mia festa» scriverà nel
suo diario – si traduce nella possibilità di uscire dal ruolo contemplativo di
spettatrice e di essere riconosciuta come soggettività, attraverso forme di
espressione non prevaricanti. Nel 1970 insieme a Elvira Banotti e Carla Accardi
(unica artista donna presente anche in Autoritratto) Lonzi fonda
Rivolta Femminile, pubblicando tra il 1970 e il 1972 una serie di testi teorici
che nel 1974 verranno raccolti nel volume Sputiamo su Hegel e altri
scritti. Il primo di questi è il Manifesto di Rivolta Femminile (1970),
in cui vengono esposti i principi fondativi del gruppo, perlopiù volti all’affermazione
del concetto di differenza («La donna è l’altro rispetto all’uomo.
L’uomo è l’altro rispetto alla donna. L’uguaglianza è un tentativo ideologico
per asservire la donna a più alti livelli», p.
13) e del separatismo («comunichiamo solo con donne», p. 20), che in seguito
diventerà un vero e proprio processo di uscita dalla cultura
(«deculturizzazione», p. 43), considerata come il luogo principale di
manifestazione del potere patriarcale.
I due testi più
corposi della raccolta, Sputiamo su Hegel (1970) e La
donna clitoridea e la donna vaginale (1971), rappresentano proprio il
tentativo di mostrare l’origine patriarcale della filosofia e della
cultura occidentale. Nel primo, questa decostruzione avviene analizzando
quelli che per Lonzi rappresentano i capisaldi del pensiero occidentale e
dell’oppressione femminile: il marxismo, con la sua assimilazione dei rapporti
di genere con i rapporti di classe; Hegel, filosofo che ha «razionalizzato il
potere patriarcale nella dialettica tra un principio divino femminile e un
principio umano maschile» (p. 27), definendo la differenza tra i sessi non come
una condizione umana ma come un dato metafisico, immutabile; la psicanalisi,
responsabile della formulazione di una teoria della sessualità in cui il
piacere e l’immaginario sessuale femminili sono pensati in funzione dell’uomo e
del fallo.
Ne La
donna clitoridea e la donna vaginale, invece, in molto simile a ciò che
negli stessi anni la femminista statunitense Anne Koedt scriveva nel suo The
Myth of The Vaginal Orgasm (1970), Lonzi si concentra su quella che
considera la principale sfera entro cui si manifesta l’assoggettamento
femminile, ossia la sessualità, definita come il primo luogo di esercizio del
potere patriarcale e di sottomissione della donna. Rivendicando la separazione
nel corpo femminile tra organo di piacere (clitoride) e organo riproduttivo
(vagina), Lonzi identifica nella donna vaginale colei che
simbolicamente aderisce al mito culturale della femminilità e
che accetta l’oppressione femminile senza rivendicare il proprio diritto al
piacere, mentre nella clitoridea colei che ha coscienza di esistere
indipendentemente dai ruoli e che sceglie consapevolmente di non subordinare il
proprio piacere – e quindi il proprio sé – a quello maschile:
La donna
vaginale è quella del patriarca e la sede di ogni mito materno, la donna
schiava che tramanda la catena delle soggezioni da cui il dominio maschile è
stato reso permanente in qualsiasi mutamento storico. L’imprevisto del mondo
non è la rivoluzione sessuale maschile, cioè il disinibirsi che porta a un
rinnovato prestigio del coito nella coppia, nel gruppo, nella comunità o
nell’orgia universale, ma la rottura del modello sessuale pene-vagina. In
questo imprevisto sta il possibile scioglimento dei nodi insolubili creati
dalla cultura patriarcale che ha soggiogato la donna nella sacralità del
rapporto emotivo superiore-inferiore (p. 136).
Come emerge da
questa citazione, la critica di Lonzi si rivolge anche alla rivoluzione
sessuale (nello specifico alle teorie di Wilhelm Reich,
particolarmente diffuse in Italia negli anni Sessanta) e all’idea, promossa
soprattutto dai movimenti del Sessantotto, di una sessualità libera e
disinibita ma ancora confermativa del primato del coito sul piacere
(femminile):
La delusione che
il femminismo ha avuto anche sui movimenti hippies deriva dal fatto che il
giovane che non fa la guerra, ma l’amore finisce per ristabilire suo malgrado
quel funzionamento che lo conferma difensore del nucleo primario del
patriarcato (p. 128).
Proprio in
relazione a questa critica al coito e alla (falsa) libertà sessuale è da
leggere anche il testo Sessualità femminile e aborto (1971),
in cui le donne di Rivolta si schierano contro la liberalizzazione dell’aborto,
giudicato l’ennesimo tentativo dell’uomo di deresponsabilizzarsi e di
riaffermare la centralità di una sessualità procreativa:
La
liberalizzazione dell’aborto è diventata attraverso millenni, la condizione
mediante la quale il patriarcato prevede di sanare le sue contraddizioni
mantenendo inalterati i termini del suo dominio. […] Proviamo a pensare a una
civiltà in cui la libera sessualità non si configuri come l’apoteosi del libero
aborto e dei contraccettivi adottati dalla donna: essa si manifesterà come
sviluppo di una sessualità non specificatamente procreativa, ma polimorfa, e
cioè sganciata dalla finalizzazione vaginale. Non si tratterà più di preparare
l’incontro tra il sesso di un soggetto egemone e il suo strumento, ma tra due
soggetti umani, la donna e l’uomo, e i loro sessi (p. 72, 74).
È interessante
notare come le posizioni di Lonzi e di Rivolta Femminile sulla falsa libertà
sessuale e sull’aborto anticipino e siano paradossalmente molto simili a quelle
di Pier Paolo Pasolini che, in diversi testi e in particolare
nel 1975, nel suo famoso articolo Sono contro l’aborto per il
«Corriere della Sera», adduceva tra le ragioni per cui schierarsi contro
l’aborto la centralità egemonica del coito. Parallelamente allo sviluppo di un
pensiero teorico scritto, l’altro elemento che caratterizza il femminismo di
Lonzi e di Rivolta Femminile è l’autocoscienza, pratica
fondamentale per il processo di conoscenza del sé e definita come uno «spazio
storico» (Significato dell’autocoscienza nei gruppi femministi, p. 140)
in cui la donna nasce come soggetto e pone le basi della sua autonomia.
L’autocoscienza
rappresenta il corrispettivo italiano del consciousness raising,
una pratica già diffusa nei gruppi femministi americani degli anni Sessanta,
consistente in un processo di ricerca e di trasformazione di sé a partire dal
confronto con le proprie simili. Concretamente essa si traduce in una serie di
incontri, spesso domestici, in cui attraverso la presa di parola individuale,
la narrazione del sé e l’ascolto reciproco, le donne di Rivolta danno vita
a uno spazio unicamente femminile dove riconoscersi
mutualmente e sancire la propria autonomia rispetto all’universo maschile.
L’elemento innovativo di questa pratica è la possibilità di coniugare la dimensione
politica della creazione di uno spazio relazionale tra donne con la dimensione
narrativa che rende possibile il riconoscimento attraverso il racconto del sé.
Se Sputiamo
su Hegel e altri scritti è l’espressione teorica del femminismo di
Lonzi, le altre opere che rientrano nel progetto di ripubblicazione (il
diario Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Vai
pure. Dialogo con Pietro Consagra, la raccolta postuma di poesie Scacco
ragionato. Poesie e gli Scritti sull’arte) rendono conto
non solo dei numerosi ambiti toccati dall’esperienza di Lonzi, ma anche
della pluralità di forme esplorate nel suo percorso di
ricerca: dalla poesia al saggio critico, dalla trascrizione di dialoghi
registrati al diario. La scrittura, con la sua capacità polimorfa, si afferma
come la grande costante di tutto il suo itinerario, strumento privilegiato
attraverso cui dare voce al proprio desiderio di riconoscimento e attraverso
cui unire teoria ed esperienza.
Proprio in virtù
della volontà di lasciare spazio alla potenza vibrante delle parole di Lonzi,
la curatrice del volume Annarosa Buttarelli ha deciso di non inserire nessun
apparato critico in accompagnamento al testo: come scrive nella breve
introduzione in apertura, «proponiamo di ripresentare gli scritti di Carla Lonzi
senza accompagnamenti critici, come testi per la lotta delle donne, per la
meraviglia di coloro che li leggeranno per la prima volta, come alimenti per la
trasformazione di sé, come viatico per chi è alla ricerca della qualità di un
pensiero» (p. 8). Se da un lato questa scelta ha effettivamente il merito di
permettere ai testi di mostrarsi in tutta la loro forza espressiva, dall’altro,
forse proprio in virtù dell’operazione editoriale volta a rendere gli scritti
di Lonzi maggiormente fruibili a un pubblico variegato e non necessariamente
esperto di questioni femministe, sarebbe stato utile presentare
questa serie di ripubblicazioni con un cappello introduttivo più esteso che
presentasse la figura della femminista e inquadrasse anche solo storicamente il
suo pensiero.
Penso per
esempio a testi come Sessualità femminile e aborto, in cui le
posizioni radicali del gruppo su una questione complessa e ancora di attualità
come quella dell’aborto avrebbero potuto essere introdotte e ricollocate
dentro il contesto storico culturale in cui si sono prodotte (e magari
anche dentro il vivo dibattito che si è sviluppato sulla questione per tutto il
decennio degli anni Settanta). Un’operazione simile non avrebbe di certo
significato confinare il pensiero di Lonzi all’interno di maglie troppo rigide,
ma, anzi, avrebbe consentito a chi legge (soprattutto se neofita) di
avvicinarsi ai testi senza rischio di fraintendimenti o equivoci. Questa scelta
limita non di poco la portata della ripubblicazione, che rischia di essere più
una ristampa in linea con le mode del momento che un reale tentativo di
riproporre criticamente il pensiero di Lonzi oggi. Un pensiero complesso e,
come dice Buttarelli, «sempre più raro a trovarsi» (p. 8). Un pensiero non
privo di ambivalenze e contraddizioni, così come non priva di ambivalenze e
contraddizioni è stata la vita di chi lo ha formulato, attraversata da «due
spinte entrambe attive e sovrapposte» (Taci, anzi parla, p. 47), che
l’hanno portata a stare al contempo dentro e fuori dal mondo, tra bisogno di
autonomia e ricerca di riconoscimento. Un pensiero la cui radicalità va
interrogata, storicizzata e ricordata, poiché oggi, per dar voce a nuove forme
di femminismo (ormai lontane da quello della differenza), è fondamentale tenere
a mente i percorsi più validi e prolifici di chi è venuta prima di noi. E
quello di Lonzi è sicuramente uno di questi.
[in copertina:
uno dei “lenzuoli” di Carla Accardi]
[1] Scritti di Rivolta Femminile è stata la prima casa editrice
femminista in Italia.
[2] Sputiamo su Hegel e La donna clitoridea e la
donna vaginale sono stati scritti solo da Carla Lonzi, mentre gli
altri dall’intero gruppo di Rivolta.
[3] Lonzi intervista i 14 artisti separatemene, registrandoli su nastro
magnetofono e poi, nel momento della sbobinatura, monta le varie interviste in
modo da comporre un dialogo tra gli artisti mai realmente avvenuto, in cui disquisiscono sia su questioni
legate alle loro opere e allo stato dell’arte contemporanea, sia sui fatti
storici di quegli anni.
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti, a cura di Annarosa Buttarelli, La Tartaruga, Milano 2023, 144 pp., € 16,00.