di Linda Laura Sabbadini
Non siamo
l’unico Paese a bassa fecondità. C’è chi sta peggio di noi, come la Corea del
Sud, Taiwan, Singapore, ai più bassi livelli al mondo. Non saranno proclami
contro l’individualismo, o appelli, anche pop, alle donne a essere madri a
cambiare la situazione. La bassa fecondità non può essere affrontata in modo
ideologico. La bassa fecondità è l’effetto di politiche tardive e che non hanno
puntato sulla centralità dei bisogni delle donne e sul desiderio dei giovani a
una vera qualità della vita. È la conseguenza di uno sviluppo non centrato
sulle persone.
Il problema si
sta estendendo. Ormai circa i due terzi della popolazione mondiale vivono in
Paesi al di sotto di 2,1 figli per donna. Non Africa sub-sahariana e Medio
Oriente. Corea del Sud, Taiwan e Singapore sono Paesi con un ritmo di crescita
e sviluppo elevati ed in poco tempo hanno conosciuto un tracollo della
fecondità, proprio a seguito dello sviluppo. Ciò ha comportato cambiamenti
culturali profondi, specie nel livello di istruzione, con una crescita della
partecipazione femminile al mondo del lavoro, a cui non ha corrisposto un
cambiamento della stessa intensità nei rapporti tra uomo e donna e nella
cultura del lavoro, con orari di lavoro massacranti e spesso mal pagati. Con
molte donne, altamente istruite, costrette a dover scegliere fra la
realizzazione sul lavoro ed il fare figli.
Tanto è che la
Corea si trova a guidare la classifica nel mondo per bassa fecondità con 0,78
figli per donna.
Anche Taiwan
vive una situazione simile. Con la sua presidente donna ha investito su
sviluppo dei servizi per la prima infanzia, congedi, assegni, ma con il risultato
del raggiungimento di un più alto tasso di occupazione femminile rispetto alla
Corea del Sud (80% delle 20-30enni), pur restando ad un tasso basso di
fecondità. Lo squilibrio tra l’affermazione delle donne nella sfera pubblica e
l’arretratezza del ruolo delle donne nella sfera privata è il nodo segnalato
proprio dal dibattito scientifico nel Paese.
E non è esente
da questa dinamica il Giappone che ha un numero di figli per donna pari a 1,24,
vicino al nostro, ed ha raggiunto il numero più basso di nascite nel 2022 come
noi, dopo 12 anni di continuo calo.
Anche lì la
divisione dei ruoli in famiglia è rigida, come l’organizzazione del lavoro, ed
i servizi scarsi.
La bassa
fecondità riguarda anche la Cina, in tutt’altro contesto, dove lo Stato
autoritario pretende di passare a suo piacimento dall’imporre prima un solo
figlio per coppia e ora due o più, cercando di programmare le donne come
macchine da riproduzione. Ma con scarsissimi risultati.
Le nascite,
infatti, diminuiscono da sette anni, e non c’è propaganda ad essere brave
madri-modello che tenga, né incentivi a fare figli. Pensate, nel 2016 i nati
erano 18 milioni, ora sono 9 milioni 600mila, quasi la metà, in seguito alla
drastica diminuzione dei primi matrimoni. E la vecchia politica draconiana del
figlio unico ha ristretto il numero di donne oggi in età riproduttiva, molto
più basso del passato.
La bassa
fecondità è arrivata persino in Iran, che ha conosciuto un crollo veloce, il
più rapido di tutti: negli anni ’50, 7 figli per donna. Trent’anni dopo, 6,5.
Vent’anni ancora dopo, 1,8 figli per donna. Nel 2022 1,7. Ciò preoccupa non
poco il regime iraniano, che lo imputa, non a torto, al forte incremento
dell’istruzione femminile, e a una nuova consapevolezza delle donne che
attraversa il Paese, non solo nelle zone urbane. E che vede le ragazze
determinate a perseguire la propria libertà pure su questo piano.
Il fattore D
della volontà delle donne di realizzarsi su tutti i piani, libere di scegliere
come vivere, con o senza figli, è un nodo cruciale con cui i governi di tutto
il mondo devono fare i conti, se vogliono rialzare la bassa fecondità. Non
serve una singola misura.
Servono un
cambiamento di modello di sviluppo e politiche stabili nel tempo. Serve un
investimento finanziario serio sullo sviluppo dei servizi per la prima infanzia
e per l’assistenza di anziani e disabili, tempo pieno a scuola, congedi di
paternità paritari, congedi parentali retribuiti adeguatamente, cambiamento
dell’organizzazione del lavoro, investimenti permanenti per combattere gli
stereotipi di genere.
Serve sostegno economico e dare ai giovani una speranza di vita migliore, dignitosa e libera, senza che qualcuno prescriva quanti figli fare, e come vivere, ma creando le condizioni perché abbiano i figli e la vita che desiderano. Più tardi i governi lo capiranno, più ne pagheranno le conseguenze.
(segnalato da Cinzia Mastrodomenico)