tratto da Avvenire del 11 aprile 2024
Un
forno per riaccendere la speranza. Un pane per uscire dalla fame.
Nell’Afghanistan dei taleban alle donne sono concesse poche chance,
non solo per vivere ma perfino per sopravvivere. Così anche un piccolo progetto
di cooperazione internazionale può innescare un grande cambiamento e fare la
differenza per centinaia di persone. Un manipolo di operatori di un ente
italiano del Terzo settore ha riattivato alcune panetterie in disuso nei
distretti più poveri di Kabul, affidandole a piccole équipe di donne che
cuociono i pani tradizionali, naan in lingua dari,
distribuendoli poi a centinaia di madri capofamiglia.
È
un’idea semplice ma che per realizzarsi ha avuto bisogno di oltre un anno. A
partire dal nome del progetto, “Bread for women”*, pane per le donne, che le
autorità taleban hanno cambiato in “Bread for families”, pane
per le famiglie. «Non è stato facile convincere i capi dei distretti – racconta
Livia Maurizi, Capo dei programmi di Nove Caring Humans, una giovane donna che
dietro un aspetto dolce e paziente cela una volontà di ferro e una motivazione
altrettanto intensa. E non è stato nemmeno facile trovare donne che si fidassero
di noi». Perché uscire di casa da sole è vietato, e i rischi per chiunque si
voglia rendere indipendente sono tanti e concreti.
Ma
dallo scorso febbraio i forni dismessi, alimentati a gas anziché a legna per
consentire una produzione più ampia, sono stati ristrutturati, resi funzionali,
efficienti e sostenibili sia per l’ambiente sia per la salute delle donne che
vi lavorano. Le panettiere sono state formate non solo sulle tecniche di
panificazione, ma anche sui rudimenti di contabilità e di gestione economica:
in tutto, tra fornaie, assistenti fornaie e addette alla distribuzione del
pane, è impegnata una dozzina di operatrici. Gli impianti – in realtà poco più
sofisticati di grandi bidoni metallici interrati – funzionano dodici ore al
giorno: grandi quantitativi di naan vengono sfornati e
distribuiti a un totale di 120 donne (40 per ogni forno) selezionate in base ai
bisogni; per lo più si tratta di vedove – l’Afghanistan è il Paese al mondo con
più donne sole capofamiglia a causa del succedersi decennale di guerre – con
molti figli a carico e nessuna fonte di sostentamento. Ciascuna beneficiaria
riceve gratuitamente 5 pani da 300 grammi, sette giorni alla settimana, e
questo contribuisce a sfamare almeno 800/1000 persone. Il pane è l’alimento
base del regime degli afghani, il cibo più economico e l’unico che la maggior
parte delle famiglie possa permettersi.
«A
causa delle restrizioni dei taleban io e le mie figlie non
possiamo lavorare – racconta Mahdiya, quarantacinque anni, vedova dal 2019,
madre di cinque figli – Far parte di “Bread for women” mi ha aiutato a sfamare
i miei figli. La mia famiglia non riusciva a comprare neppure un pane al
giorno, immaginate come cinque pani hanno cambiato la mia vita».
Come
funziona il progetto? «Noi paghiamo alle fornaie il prodotto finito, loro si
organizzano con le materie prime e i compensi alle assistenti – continua
Maurizi – Così possono disporre di un piccolo reddito personale, e in
Afghanistan è una grande conquista. Stiamo gettando le basi per una sostenibilità
economica: quando il progetto finirà, e non finanzieremo più la vendita di
pane, le fornaie avranno il know-how e l’infrastruttura per proseguire
l’attività con le loro gambe. L’idea è che il forno diventi “di comunità”; le
famiglie o i ristoranti potranno portare i loro cibi a cuocere pagando un
piccolo canone».
Un
altro grande traguardo, oggi, è poter contribuire ai bisogni alimentari di
decine di famiglie in un Paese afflitto da una carestia sempre più grave per
l’effetto combinato della crisi economica, dell’aumento dei prezzi delle
materie prima e dei beni di prima necessità e dal crollo dell’occupazione
femminile. L’80% delle donne – spesso capofamiglia – non ha più i mezzi
sufficienti per rispondere ai bisogni primari per sé stessa e i propri figli.
E
non è tutto. Il progetto “Bread for women” ha ottenuto un effetto non
secondario: far uscire le donne dall’isolamento, creare per loro una minima
occasione di socializzazione in un Paese dove il minimo movimento delle donne è
osservato e potenzialmente sanzionato. «Venire al forno mi aiuta economicamente
– racconta Aliyah, trent’anni e sette figli, vedova da sette, quando il marito
è stato ucciso da una bomba in strada a Kabul. – Ha un impatto anche sulla mia
salute mentale, vedere altre donne, parlare con loro, condividere le
preoccupazioni mi fa bene. Osservare la resilienza e la forza delle donne
afghane anche in questa situazione difficile, la loro battaglia per essere
forti e lottare per la loro famiglia, rende più forte anche me».
(*) “Bread for women” è un progetto pilota di forni di comunità, finanziato da Linda Norgrove Foundation, dall’8×1000 all’Unione Buddista italiana e da Uplift Afghanistan Fund. Ma è stato studiato in modo che sia replicabile su larga scala, in altri distretti di Kabul e in altre regioni più bisognose e remote dell’Afghanistan, per generare un impatto economico positivo su più larga scala.
(segnalato da Cinzia Mastrodomenico)