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Antigone

di Maria Colaizzo

Il personaggio di Antigone ha attraversato tutti i tempi della letteratura e del teatro fino a divenire persona, a partire dalla tragedia di Sofocle, rappresentata per la prima volta ad Atene nel 442 a.C., nel ciclo dei drammi tebani dedicati alla vicenda di Edipo re di Tebe. Nell’opera sofoclea, ella decide di dare sepoltura al fratello Polinice, reo di avere assediato la città di Tebe, nonostante il divieto del nuovo re, il tiranno Creonte. Creonte ha decretato che siano tributati gli onori funebri ad Eteocle, considerato un eroe, e sia vietata la tumulazione di Polinice, in quanto traditore della patria. Scoperta, viene condannata alla reclusione da viva in una tomba, dove si impicca prima che Creonte, convinto dall’indovino Tiresia e dalle suppliche del coro, decida di liberarla. Emone, figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, ed Euridice, moglie di Creonte, la seguono nella morte. A Creonte non resta che maledire sé stesso e la propria intransigenza.

Il conflitto tra Antigone e Creonte ruota intorno al dilemma se sia più giusto dare ascolto alla coscienza che chiede rispetto e pietà per i morti secondo le leggi non scritte degli dei, oppure all’obbedienza alle leggi scritte degli uomini che regolano e governano i regni e le città. Il nome Antigone in greco vuol dire ‘nato in sostituzione’, o meglio ‘nata contro’, ad indicare una donna che non teme il conflitto. Lo scandalo di tale conflitto nasce dalla volontà, figlia d’amore, di sostenere i diritti di chi ha trasgredito la legge, resistendo con determinazione eroica alla imposizione tirannica di una norma che non si avverte giusta. Per Marguerite Yourcenar (Antigone o la scelta, 1936), come nella tradizione antica, Antigone è una eroina che sfida il tiranno e da sola combatte contro la sua inumana autorità. In contrasto con lei la sorella Ismene che, rispettosa dell’autorità, decide di non partecipare alle esequie del fratello e al rito funebre che va concesso a tutti gli uomini secondo un principio divino che non è dato modificare. Ismene cerca di spiegare alla sorella che il suo gesto la porterebbe ad una morte sicura, ma Antigone riconosce solo l’autorità di una legge morale superiore.

ΙΣ. […] Ἀλλ’ἐννοεῖνχρὴτοῦτομὲνγυναῖχ’ὅτι
ἔφυμεν, ὡςπρὸςἄνδραςοὐμαχουμένα·
ἔπειταδ’οὕνεκ’ἀρχόμεσθ’ἐκκρεισσόνων
καὶταῦτ’ἀκούεινκἄτιτῶνδ’ἀλγίονα.
Ἐγὼμὲνοὖναἰτοῦσατοὺςὑπὸχθονὸς
ξύγγνοιανἴσχειν, ὡςβιάζομαιτάδε,
τοῖςἐντέλειβεβῶσιπείσομαι […] (v.v. 61-67)
ΑΝ. Οὔτ’ἂνκελεύσαιμ’οὔτ’ἄν, εἰθέλοιςἔτιπράσσειν, ἐμοῦγ’ἂνἡδέωςδρῴηςμέτα.
ἴσθ’ὁποίασοιδοκεῖ, κεῖνονδ’ἐγὼ
Ἀλλ’θάψω […](v.v. 69-71)

IS. […] Ma bisogna pensare questo, e cioè che siamo nate donne e tali da non poter combattere con gli uomini e inoltre, poiché siamo dominate da individui più forti, (bisogna) obbedire a questi e a ordini ancora più dolorosi di questi. Dunque io chiederò il perdono a quelli di sotterra e, poiché sono costretta a queste azioni, obbedirò a quelli che son saliti al potere […]
AN. Io non potrei esortarti a farlo, e anche se tu in seguito lo volessi non ne sarei contenta. Ma sii come ti piace, io invece lo seppellirò e in questa azione sarà bello morire […]


Antigone agisce liberamente e si rifiuta di coinvolgere altri che non siano volutamente dalla sua parte. La sua volontà di opporsi all’editto del re non esprime un intento sovversivo, ma difende una concezione del mondo in cui all’essere umano vengono garantiti i diritti della vita e della morte. Ella è consapevole della realtà che la circonda, e degli errori dei fratelli che hanno provocato una guerra. Intelligente ed umana, si è interrogata su cosa sia giusto.

Alla fine della rappresentazione tragica Creonte, schiacciato dalla responsabilità di avere determinato l’annientamento della sua famiglia, supplica gli dei di dargli la morte. 

Le problematiche che la tragedia sofoclea rappresenta sono storicamente legate al superamento di una visione arcaica e dispotica del potere e ai limiti del ‘nomos’, ma anche alla necessità di contrastare l’anarchia e garantire l’ordine civile e sociale, pur violando le leggi divine. Nella complessità della narrazione emerge la posizione dei tebani, che parteggiano per Antigone. La novità rilevante, in Sofocle, è che il ruolo del protagonista, che non si sottomette alle decisioni del tiranno all’interno di una società patriarcale, sia affidato ad una donna. Nella Grecia del V e IV secolo la donna è considerata creatura inferiore al maschio e, nella ‘grande’ democrazia ateniese, non riesce ad acquisire la cittadinanza e non ha pieni diritti politici e civili.  Nella tragedia sofoclea anche il personaggio di Emone, il giovane innamorato di Antigone, appare un uomo con caratteristiche diverse da Creonte e, capace di mostrare la sua umanità, rappresenta un modello maschile più evoluto.

Il conflitto tra leggi umane e leggi divine si configura nella contrapposizione tra gli ἄγραπτα νόμιμα ritenuti di origine divina, e il νόμος, ovvero il corpus delle leggi della πόλις. Per Creonte la legge è νόμος δεσπότης, ovvero legge sovrana al di sopra di tutto. Antigone perviene alla propria decisione, quella di privilegiare le leggi divine, spinta dall’amore per il fratello e per un desiderio estremo di tutelare la sua famiglia tragicamente segnata dal destino di Edipo. Creonte si accanisce nel sostenere la indiscutibilità del suo νόμος δεσπότης perché vede il suo potere minacciato da una donna, determinata a non sottomettersi al ruolo riservatole dalle convenzioni sociali e per questo ancora più colpevole.

Il personaggio di Antigone si è prestato ad interpretazioni e rivisitazioni diverse, anche lontane dall’opera di Sofocle che presentava il dilemma senza evidenziare la propria posizione. Ella è stata simbolo dell’anti-totalitarismo e dell’antifascismo (Lauro De Bosis), eroina della libertà (W. Hasenclever, Bertolt Brecht, Salvador Espriu); numerosissime le rappresentazioni teatrali di ambientazione novecentesca fino agli anni ’90, con riferimento persino alla guerra del Vietnam (1967, a Krefeld in Germania). Alcune di queste rappresentazioni vennero messe in scena a Delfi in Grecia, una rappresentazione diretta da Andrzej Wajda con lo Stary Teatr di Cracovia, in Polonia nel 1989. In questo spettacolo, Antigone non è sola ad avanzare le proprie istanze, ma è appoggiata da vari settori della società moderna: soldati polacchi vittoriosi contro i tedeschi, studenti in manifestazione, operai dei cantieri di Danzica in rivolta. A sostenere le ragioni di Creonte ci sono invece funzionari di partito. Come nel testo sofocleo, anche qui appare impossibile giungere a qualsiasi mediazione.

Riscritture molto significative restano quella di Jean Anouilh (1942) in Francia e quella di Brecht (1948). Sia l’Antigone di Brecht che l’Antigone di Anouilh prendono le mosse dal tentativo esplicito di avvicinare il loro presente al passato del mito. In particolare Brecht, che intendeva mettere in scena una metafora della caduta del Reich e della violenza di Hitler negli ultimi spasmi del suo potere, aveva interpolato all’inizio della tragedia un Preludio ambientato a Berlino nell’aprile 1945, dove si riproduceva in breve la dinamica che avrebbe avuto il resto dello spettacolo: le due sorelle di un disertore di guerra scoprono che l’uomo è stato impiccato per tradimento, e quando una di loro sceglie di liberarlo dalla corda, ecco intervenire una SS.

L’impatto emotivo che nella Germania postbellica doveva suscitare questa anticamera all’Antigone vera e propria spinse Brecht a sostituirle in seguito un Prologo con un attore-Tiresia che introduceva la vicenda e al contempo ne denunciava la finzione, invitando il pubblico – in posizione “straniata” rispetto al dramma, libero dai condizionamenti dell’immedesimazione – a tentare raffronti con la storia prossima.

Nel 1942 la Francia era succube dell’occupazione tedesca, e ad assistere alla messa in scena dell’Antigone sarebbero stati tanto i collaborazionisti quanto i ribelli, gli uni e gli altri forniti di ottimi motivi per salvare la pelle e la tranquillità o per resistere agli invasori, al pari di Creonte per assolvere al suo dovere di re e di Antigone per obbedire al proprio spirito di indipendenza. Tutti erano comunque sottoposti al medesimo stato di cose, l’occupazione appunto, quale destino imposto, e tutti dovevano scegliere quale ruolo recitare sul palcoscenico della storia.

A differenza di Brecht, che ci racconta la guerra con l’occhio dolorante ma nitido dell’esule che da lontano ha visto l’Europa messa a ferro e fuoco dal dittatore e ora spera in una resurrezione dalle ceneri, Anouilh conserva il punto di vista dell’oppresso, che vive l’oppressione come un dato di fatto col quale non è semplice relazionarsi. Anouilh scrisse il testo quando venne a sapere dell’atto – vano e fine a se stesso, ma proprio per questo ancor più carico di valore umano – del giovane Paul Colette, che senza porsi a rappresentante di alcuna idea politica, aveva attentato senza fortuna alla vita del vice di Pétain e si era conquistato così le percosse della polizia, una condanna e la deportazione.

L’ Antigone di Anouilh è anarchica ‘per partito preso’: non ha seppellito Polinice per amore del fratello, ma soltanto per sé e per il gusto di un gesto di ribellione assoluto, categorico. Nel complesso, quindi, sono tre i parametri che segnano la differenza tra l’Antigone di Brecht e quella di Anouilh: il grado di determinismo che condiziona i personaggi; il conseguente grado di carica politica del testo, e la qualità del significato attribuito all’intraprendenza di Antigone. Brecht, ad esempio, accentua la carica negativa del personaggio di Creonte per consentirne l’identificazione con Hitler e rappresenta i tebani come vittime.

Anouilh tratteggia quello che Antigone non è. Non è bella come Ismene, non è adulta e rassegnata come Creonte. Se Creonte, con le responsabilità, i meriti e i demeriti di una simile scelta, ha accettato gli sporchi doveri di regnante che ne sono derivati, Antigone rigetta il copione, e per essere sé stessa, senza tuttavia riuscire a non recitare il suo destino, sceglie la parte di chi si ribella a prescindere, dicendo ‘no’ a una vita basata sui compromessi e sulla felicità di chi si accontenta, e quindi inevitabilmente muore.

Antigone assolve alla funzione di mediatrice tra il mondo dei vivi e il mondo dei defunti – nel seppellimento di Polinice, nell’accompagnamento di Edipo al luogo della sua scomparsa, Colono – ponendosi, persino nella condanna assegnatale da Creonte, in una posizione liminare tra le due dimensioni: la morte è legge universale e lei non la teme, ma la pratica come estrema ed eroica scelta di coerenza. Antigone è sola, nella lotta e nella morte, nel rifiuto dell’ingiustizia e della vessazione che, in quanto donna, ben conosce. Antigone ha coraggio, intelligenza, vede con sicurezza il confine tra bene e male. Al suo mito corrisponde un significato universale, che attraversa le epoche e le situazioni; il suo nome indica un individuo, di genere femminile in particolare, che agisce in base alla propria coscienza, che non intende rinunciare ai propri principi, che è disposto a pagare un prezzo anche altissimo per non rinunciare alla propria libertà e alla propria dignità.

(Numerosi anche i libri di divulgazione come Homo sum. Essere «umani» nel mondo antico di Maurizio Bettini e Giustizia e mito. Con Edipo, Antigone e Creonte di Marta Cartabia e Luciano Violante. La  tragedia di Sofocle è attualmente d’attualità nei repertori teatrali europei e italiani, anche se siamo comunque lontani dal 1978, l’anno che in Germania fu definito ‘di Antigone’ per la massiccia presenza del mito tragico nei teatri e sulla stampa: si era allora al culmine degli ‘anni di piombo’ e il mito di Antigone fu usato come maschera mitologica per i fermenti rivoluzionari che si annidavano nella generazione post-bellica, la quale intendeva violentemente chiudere i conti con l’adesione al nazismo della generazione precedente ed il persistere del fascismo nella mentalità e nella struttura capitalistica della Repubblica Federale Tedesca.) 

La questione giuridica e il conflitto tra legge morale e legge umana si intrecciano oggi ad altre questioni: l’integralismo religioso, i regimi antidemocratici, il ruolo sociale e politico del genere. Molte Antigoni sono nate in letteratura e alcune nella vita reale, donne sole contro il potere e l’ingiustizia, sparse per il mondo; difficilmente, anche negli studi accademici, troveremo menzione delle riscritture di Antigone in Colombia, Messico, nella letteratura magrebina e delle ‘Antigoni’ africane emigrate in Europa.

Antigone paga consapevolmente un prezzo altissimo per difendere i suoi principi: deve rinunciare ai suoi progetti, ai suoi desideri, alla sua giovinezza, all’amore, alla maternità, alla vita. Ha inutilmente cercato di convincere il fratello a rinunciare alla guerra, restando inascoltata. Ha sperato in un mondo pacificato, ha rivendicato la propria identità.  Ella sola ha compreso che le leggi umane non devono contrastare quelle che affondano le loro radici nella coscienza. Tale consapevolezza è la cifra del suo eroismo. Ad Antigone che afferma: ‘Ade, che concede a tutti il sonno, mi porta viva alle sponde dell’Acheronte’ il Coro risponde: ‘Sola tra gli uomini, e per tua scelta, discendi viva nell’Ade’.

Antigone è in ognuna di noi, a volte mascherata, a volte emersa, ma abbastanza forte da sfidare la tirannide in nome di una giustizia superiore e rivendicare il proprio posto in una società che pretestuosamente la ignora relegandola in una condizione di subalternità. Ella è la migliore interpretazione del conflitto tra il sistema patriarcale e le leggi del sistema matriarcale – per citare Luce Irigaray -, il rispetto per l’ambiente e la natura, il rispetto per la genealogia materna e il riconoscimento della dualità dell’identità sessuata. Sempre secondo la Irigaray la contravvenzione a queste leggi ci poterebbe ad assumere un atteggiamento prevaricante nei confronti dell’ambiente e un comportamento errato nel modo di mettere al mondo dei figli e di amarci. Antigone ci insegna “ad avere il coraggio di incarnare la propria identità sessuata nei limiti della storia e di una ricerca solitaria che solo alla fine sfocerà in un rapporto di armonia e scambio con l’altro”. Perché non si può amare l’altro senza essere consapevoli della propria identità. (L’amore secondo Antigone). Antigone si muove secondo la vocazione femminile alla cura, laddove Creonte, difendendo il suo dominio, mostra la vuotezza di un ordine formale, arbitrario e privo di contenuto.

Ella è simbolo come memento, (Etica della differenza sessuale): dobbiamo far sì che il destino di Antigone non si ripeta, perché il rischio della donna è di finire ancora una volta - come lei - imprigionata e muta, senza aria. (Giulia David, Differenti ma equivalenti, Università Ca’ Foscari, Venezia 2015).

Restando immersi nell'ordine patriarcale, l'uomo e la donna rimarrebbero entrambi incivili, «gli uomini (...) per eccesso di diritti e mancanza di doveri, e le donne per mancanza di diritti ed eccesso di doveri. La rilevanza etica dell'eroina sofoclea ha anche valenza politica: è simbolo del rilievo che le donne devono riacquistare nella comunità e dei cambiamenti che devono avvenire perché possa davvero essere comunità dei due generi. Irigaray è del parere che si dovrebbero cogliere al volo i suggerimenti di Antigone per quel che riguarda l'ordine della città: «la responsabilità politica», infatti, «non può significare una polemica conflittuale fine a sé stessa, (...) per soddisfare il proprio desiderio o la propria cupidigia, tutte cose che implicherebbero guerre senza fine (...) il diritto ha un contenuto e (...) bisogna rispettarlo». Nel mondo che Antigone vorrebbe, dunque, non troverebbero posto guerre e sopraffazione, ma soprattutto amore. Questa considerazione rende Antigone l’unica creatura capace di comprendere il senso della vita e della morte, che Ismene si scrolla dalle spalle insieme alle responsabilità nei confronti della famiglia investita senza colpa dalla maledizione del destino. Antigone conosce il senso della responsabilità individuale, vive nella tragedia e della tragedia, in un mondo complesso quanto il nostro e raccontato nella sua interezza.