testata registrata presso Tribunale di Napoli n.70 del 05-11-2013 /
direttore resp. Pietro Rinaldi /
direttore edit. Roberto Landolfi

India, Narendra Modi vince le elezioni ma perde la maggioranza

tratto da “Il Sole 24 ore” del 4.6.24


India, Narendra Modi vince le elezioni ma perde la maggioranza.
Storico terzo mandato per il premier che, per la prima volta, dovrà fare i conti con i propri alleati. Riforme più difficili. Borse a picco.

Il primo ministro indiano Narendra Modi martedì ha incassato il suo terzo mandato consecutivo alla guida del Paese più popoloso della Terra al termine di un’elezione che lo ha fatto entrare nella Storia e brutalmente ridimensionato sul piano politico.

Dal punto di vista elettorale, il dato più rilevante del voto è senza dubbio la perdita della maggioranza parlamentare del Bharatiya Janata Party, o Bjp. Per la prima volta da quando, dieci anni fa, è tornato al potere, il partito del premier potrà governare solo grazie all’alleanza con i suoi partner nella National Democratic Alliance (Nda), con in testa due partiti regionali ondivaghi e opportunisti che, per ora, hanno promesso il loro appoggio e avranno potere di veto sulle riforme.

Sul piano politico, la notizia più importante di martedì riguarda il buono stato di salute della democrazia più popolosa del pianeta che, specie durante il secondo, pervasivo quinquennio di potere di Modi e del Bjp, aveva lanciato segnali preoccupanti, tanto da venire retrocessa dal V-Dem Institute ad «autocrazia elettorale».

Secondo i dati quasi definitivi disponibili nella tarda serata indiana di martedì, la National Democratic Alliance (Nda) del premier si è aggiudicata 291 seggi, 52 in meno rispetto a 5 anni fa. Dietro la flessione c’è la deludente performance del Bjp di Modi che ha perso ben 63 deputati. Nel 2019 il Bjp di Modi vinse 303 seggi (31 in più rispetto ai 272 necessari ad avere la maggioranza) con il 37,4% dei voti. Oggi, per effetto del maggioritario secco, a una percentuale simile (36,6%) corrispondono solo 240 seggi. I partiti raccolti sotto la sigla India (Indian National Developmental Inclusive Alliance), dopo cinque anni di assoluta marginalità, torneranno a rivestire il ruolo di opposizione parlamentare grazie a 234 seggi, 107 in più rispetto al 2019. L’Indian National Congress, il principale partito della coalizione manderà a New Delhi 99 deputati, quasi il doppio di 5 anni fa. Molto ridimensionati i partiti non schierati con le due coalizioni: 18 seggi, 55 in meno del 2019.

Gli altri grandi sconfitti della giornata elettorale di martedì sono stati i mercati finanziari. In parte perché molti titoli, già di loro con multipli elevati, “prezzavano” una larga vittoria per la coalizione di governo. In parte perché, dopo settimane più prudenti durante cui si erano avvertiti segnali di rimonta da parte dell’opposizione, nel weekend sono stati pubblicati una serie di sondaggi che davano in largo vantaggio il Bjp. Sulla base di quei dati – e nonostante la storia degli exit poll indiani invitasse alla prudenza – lunedì gli indici di Borsa indiani sono saliti ai massimi storici.

Ma martedì il Sensex del Bombay Stock Exchange e il Nifty del National Stock Exchange hanno chiuso rispettivamente a -5,75% e -5,93%, bruciando, come si dice in questi casi, 386 miliardi di dollari. Le società del Gruppo Adani – il cui presidente, Gautam Adani, è l’imprenditore che ha beneficiato in maniera più smaccata degli anni di potere di Narendra Modi – hanno perso in una sola seduta 45 miliardi di dollari di capitalizzazione. Tra le quotate al Nifty 50, le due peggiori in assoluto sono state Adani Ports (-21,15%) e Adani Enterprises (-19,31%). La rupia ha perso circa lo 0,5% contro il dollaro. Tra i titoli di Stato il rendimento del decennale è salito di 11 punti base al 7,06%, l’aumento più repentino da ottobre.

Nonostante una campagna elettorale costruita intorno all’obiettivo di raggiungere i 400 seggi di coalizione, martedì sera Modi ha descritto in toni trionfali l’esito del voto. Mentre un’opposizione galvanizzata dai risultati ha chiesto un po’ provocatoriamente l’incarico di formare il nuovo governo.

Gli Stati da cui sono giunti i dati più clamorosi sono stati Uttar Pradesh, Maharashtra e West Bengal. Elettoralmente parlando si tratta di tre pesi massimi: valgono rispettivamente 80, 48 e 42 seggi. La sconfitta più simbolica del Bjp è senza dubbio quella di Faizabad, la circoscrizione che comprende Ayodhya, la città dell’Uttar Pradesh dove pochi mesi fa Modi ha consacrato personalmente, in un’elaborata cerimonia religiosa, un colossale tempio induista costruito sulle macerie di una moschea demolita illegalmente da una folla di estremisti vicini al suo partito.

Durante la campagna elettorale, l’insistenza su questo tipo di contrapposizioni è stata vista da diversi osservatori come un segno di nervosismo da parte di Modi e come un tentativo di motivare l’elettorato induista radicale. Mai era successo che un primo ministro definisse «infiltrati» i membri di una minoranza religiosa.

Sul risultato finale probabilmente ha contato di più la performance economica del decennio di potere di Modi: il +8,2% di crescita dell’anno fiscale appena concluso, ma anche i due crolli del Pil durante un clamoroso esperimento di demonetizzazione nel 2016 e in concomitanza con la pandemia, nel 2020. La ripresa post-Covid è stata all’insegna dell’allargarsi delle disuguaglianze, creando fratture ancora maggiori tra i ceti alti, che hanno beneficiato di un boom che ha trainato i consumi dei beni di lusso, e quelli bassi che hanno continuato a misurarsi con disoccupazione elevata, retribuzioni modeste e inflazione ostinatamente alta.