Benedetta Parola
Ivano Dionigi, latinista, Presidente della Pontificia Accademia di Latinità, ex Rettore dell’Università Alma Mater di Bologna, nel suo libro “Benedetta Parola” (Il Mulino – 2022) offre spunti di riflessione davvero interessanti. Eccone alcuni:
Perché così potente e tremenda la parola? Perché è il nostro segno distintivo. È la lezione di Aristotele, secondo il quale l’uomo è “il solo vivente che ha la parola” ; gli animali ne sono privi; Basilio dirà che la parola è “icona dell’anima”; Lacan creerà la mostruosa forma linguistica “parletre”, parlessere, a significare che l’uomo è la parola e che la parola è l’uomo, e che essa non solo custodisce ed esprime il pensiero ma lo promuove e lo genera. Ben distinta dal “medium”, la parola è prima, la comunicazione è seconda.
Stessa eco risuona nella fulminante sentenza di don Milani, ispirata ad un deciso afflato di giustizia sociale: “Chiamo Uomo chi è padrone della sua lingua”. La parola è il bene più prezioso, la qualità più nobile, il sigillo più intimo. A una persona, a un gruppo, a un popolo, puoi togliere averi, lavoro, affetti ma non la parola…..La parola – continuava il profetico prete di Barbiana – è la chiave fatata che apre ogni porta”. ….
…Logos è la parola simbolo della grecità dove la filo-logia, l’amore per la parola, precede e preannunzia la filo-sofia, l’amore per il pensiero; come a dire la parola si fa pensiero, il pensiero si fa parola. (tratto da pag. 26 – 27)
Quello che Wislawa Szymborska ha detto per i poeti vale ancor più per i filologi, gli amici e i clinici della parola: “Il loro lavoro è disperatamente poco fotogenico”. Eppure siamo tutti filologi per natura o per vocazione. Saranno i pensieri mignon e i codici di Twitter, Linkedin, Instagram, Facebook, sarà la semplificazione comunicativa, sarà una sorta di autofagismo mediatico; a mio parere questo è il tempo non dei cittadini, ma dei padroni del linguaggio.
Nel tempo della retorica totale, del rinnovato impero della parola – dove la parola sembra più che mai essere il destino di ognuno di noi e dove i colpi di Stato si fanno a colpi di parole prima ancora che di armi – la vera tragedia è che i padroni del linguaggio mandino in esilio i cittadini della parola.
In questa prospettiva la filologia, “la cura amorevole della parola”, trascende il significato di disciplina specialistica e di mestiere umbratile di pochissimi studiosi, e si eleva ad impegno severo e nobile di ogni uomo che non intenda né censurare né censurarsi….
Siamo tutti filologi, chiamati a creare parole nuove per nominare il nostro tempo: scontando il fallimento di ogni parola che muore, testimoniando il successo di ogni parola che vive.
La parola custodisce e rivela l’assoluto che siamo. (tratto da pag. 28 – 29)
Il sofista Gorgia di Leontini (480 – 380 circa a.C.) maestro indiscusso della téchne verbale e dei suoi incantesimi, ha teorizzato che la parola può tutto. La parola è un potente sovrano: minuta e invisibile, essa compie azioni divine, perché la parola può spegnere la paura, eliminare la sofferenza, alimentare la gioia, accrescere la compassione.
La persuasione, corroborata dalla parola, imprime l’anima dell’impronta che essa vuole.
Un discorso persuade se è scritto con arte non se è vero.
La forza della parola agisce sulle diverse disposizioni dell’anima come le diverse virtù dei farmaci sulla natura del corpo…. Delle parole, alcune addolorano, altre dilettano, altre spaventano, altre infondono coraggio in chi le ascolta, altre infine, in virtù di una subdola forza persuasiva drogano e stregano l’anima (tratto da pag. 107 – 108)
Basta pensare alla recente vittoria, nelle elezioni presidenziali USA, del duo Trump/Musk cioè a dire del duo “parole/comunicazione”.
(NdR)