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Inchiesta. Donne e indigene: in Canada è quasi una condanna scritta

di Elena Molinari 
tratto da “Avvenire” del 26 gennaio 2019 


Decenni di ghettizzazione hanno distrutto intere comunità, esponendo molte ragazze a un elevato rischio di sfruttamento Le aborigene sono tre volte più a rischio di essere vittime di un crimine violento Sono solo il 6% della popolazione canadese, ma il 60% delle donne scomparse appartiene alla popolazione delle Prime Nazioni

Christine Cardinal, 22 anni, dell’Alberta, in Canada, è stata vista per l’ultima volta il 13 ottobre 2016. Stava camminando verso nord. Lo scorso maggio, i suoi resti sono stati trovati nel lago Saddle, non lontano dalla riserva Cree in cui viveva. Delaine Copenace, un’adolescente della tribù Ojibway nell’Ontario nordoccidentale, è uscita di casa per l’ultima volta il 28 febbraio 2016. Il 22 marzo il suo corpo è stato recuperato in un vicino lago.

Sua madre, Anita Ross, ancora oggi non crede al rapporto di polizia che sostiene che la figlia è rimasta intrappolata da una lastra di ghiaccio che si è rotta sotto i suoi piedi. «Come ci è arrivata? Che cosa ci faceva là da sola? La polizia dice che non lo sa. Io so che hanno cominciato a cercarla solo tre giorni dopo la sua scomparsa », ripete, sconsolata.

Essere donne e indigene comporta un alto rischio di morte in Canada. Nella nazione nota per la sua accoglienza dei migranti e per il suo basso tasso di razzismo, l’entità e la gravità della violenza subita dalle donne Prime Nazioni, Inuit e Métis hanno raggiunto livelli tali da costituire, secondo l’Onu, una «crisi nazionale dei diritti umani». Una crisi alla quale, nonostante le numerose richieste di azione da parte delle organizzazioni indigene, di gruppi della società civile, parlamentari e organismi internazionali, il governo canadese non è ancora riuscito a rispondere in modo efficace.

Le statistiche indicano un’incidenza sproporzionata della violenza contro le indigene canadesi. Secondo un’indagine governativa sulle dieci province del Paese, le donne aborigene sono tre volte più a rischio rispetto alle non aborigene di essere vittime di un crimine violento. Un recente rapporto di Statistics Canada rivela inoltre che il tasso nazionale di omicidi per le donne indigene è almeno sette volte superiore rispetto alle non indigene. E in almeno tre province, dove le donne amerindie costituiscono il 6% della popolazione, il 60% delle donne scomparse appartengono alla popolazione delle Prime Nazioni, Inuit o Métis. Le ragioni della crisi sono chiare a tutti gli esperti che l’hanno studiata.

Decenni di discriminazione e di ghettizzazione hanno impoverito o distrutto intere comunità indigene, esponendo molte donne e ragazze a un elevato rischio di sfruttamento. Profonde disuguaglianze nell’accesso a buone opportunità di studio e di lavoro e nella fornitura di servizi governativi hanno spinto molte donne indigene a situazioni precarie, che vanno da abitazioni inadeguate, all’abuso di alcol o droga al lavoro sessuale.

Queste stesse disuguaglianze negano anche a molte donne indigene l’accesso ai servizi necessari per sfuggire alla violenza, come rifugi di emergenza e case di transizione. Allo stesso tempo, alcuni uomini vedono le donne indigene come bersagli facili. Un esame dei dati relativi a decine di processi per stupro e omicidio, infatti, mostra che i crimini contro le indigene sono spesso motivati dal razzismo o dalla convinzione che l’indifferenza della società permetterà agli autori di sfuggire alla giustizia. Secondo Amnesty International, che ha esaminato la situazione, anche la polizia canadese dimostra profondi pregiudizi, che la portano ad ignorare le preoccupazioni dei familiari di una donna scomparsa da una riserva o a chiudere prematuramente le indagini per una morte sospetta. Il governo di Ottawa, in realtà, non ha del tutto trascurato il problema.

Nel 2010 ha annunciato di voler spendere 10 milioni di dollari in cinque anni per affrontare la violenza contro le donne indigene. Ma la maggior parte dei finanziamenti è stata destinata a iniziative di polizia che monitorano le persone scomparse in generale, senza particolare attenzione a ciò che accade nelle riserve. Inoltre, organizzazioni come l’Associazione delle donne indigene del Canada continuano ad affrontare un clima di finanziamento incerto con lunghi ritardi e tagli.

Nel 2013, tre organismi internazionali sui diritti umani hanno condotto visite in Canada per indagare sulla crisi: prima la Commissione interamericana per i diritti umani, seguita dal Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne e da James Anaya, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. Quest’ultimo, alla fine di un’ispezione di 13 giorni, ha concluso che il Canada ha «affari incompiuti che richiedono azioni urgenti». Anche Dubravka Simonovic, relatore speciale Onu sulla violenza contro le donne, nell’aprile scorso ha avuto parole dure per Ottawa. «Le donne indigene affrontano emarginazione, esclusione e povertà a causa di forme di discriminazione istituzionali, sistemiche, multiple e intersecanti che non sono state affrontate adeguatamente dallo Stato», ha detto, indicando al governo federale alcune situazioni che devono essere affrontate «con urgenza», come l’alto numero di bambini indigeni tolti ai loro genitori e la presenza eccessiva di donne indigene nel sistema carcerario.

Non solo le istituzioni internazionali, ma anche nove Paesi, tra cui la Nuova Zelanda, la Norvegia e la Svizzera hanno invitato il Canada a sviluppare un piano d’azione nazionale per affrontare la violenza. In risposta, nel 2016 il Canada ha istituito una commissione per lo studio delle cause e delle soluzioni alla scomparsa e uccisione delle donne indigene. I gruppo di cinque esperti avrebbe dovuto concludere i suoi lavori alla fine del 2018, ma ha chiesto un’estensione.

Le associazioni dei diritti dei popoli aborigeni canadesi hanno reagito con perplessità al prolungamento dei lavori, sottolineando di aver già presentato richieste chiare alla commissione. Sarah Hunt, docente di Indigenous Studies della Università del British Columbia, cita ad esempio azioni immediate, come la creazioni di rifugi nelle riserve per le vittime di violenza domestica, migliore trasporto pubblico nelle zone rurali e alloggi più accessibili. Hunt ammette che il governo Trudeau ha già ordinato alcune misure, «ma poi quando arriva il budget, vediamo che gli stanziamenti sono programmati per il 2021», dice.

Qualcuno in Parlamento, come Lillian Dyck, la prima senatrice canadese di discendenza aborigena, ha proposto come soluzione pene più severe per chi commette crimini violenti nei confronti delle donne delle riserve. Ma lei stessa ha ammesso che il 66% dei colpevoli sono uomini indigeni. Chiuderli in cella per periodi di tempo più lunghi, in carceri già traboccanti di indigeni, è una cattiva idea, sostengono leader delle Prime Nazioni da anni chiedono invece più sostegno familiare, trattamento delle dipendenze, formazione professionale e una migliore istruzione. Perry Bellegarde, presidente dell’Assemblea delle Prime Nazioni del Canada, ammette infatti di non poter fare molto più che continuare a chiedere aiuto a Ottawa.

«L’Indian Act del 1876 ha formalizzato una relazione in base alla quale gli aborigeni ricevono alloggio, istruzione e cure mediche e vivono in enclavi collettive isolate. Sopravviviamo come comunità finanziate dal governo, senza il diritto di possedere le nostre case o le nostre terre. Questo ci costringe a una vita di dipendenza. Siamo impotenti di fronte a questa tragedia. Il governo federale storicamente ha creato le condizioni in cui si trovano le nostre riserve e le nostre donne, ma non abbiamo altra risorsa che chiedere ancora l’aiuto del governo».