tratto da Il Sole 24 Ore del 11 luglio 2025
«Io alla lotta
di classe ci credo!», esclamava quasi protestando Goffredo Fofi nel bel
documentario di Felice Pesoli, Suole di vento, che ritraeva
l’attivista e pensatore eugubino (guai a usare la parola intellettuale!) in
tutta la sua inetichettabile irregolarità. La veemenza era dovuta alla
consapevolezza che quella frase era per i più oggi uno slogan vuoto, mentre per
lui, proletario per nascita e francescano laico per scelta, è stata una fede.
Per questo saliva e scendeva in continuazione dai treni a portare la sua
filosofia radicale dove lo invitano studenti, comunità, associazioni di
qualsiasi tipo, purché libere. E in uno di questi suoi perenni viaggi tra
Milano, Roma, Calabria, Salento, Napoli e presentazioni è inciampato e ha messo
fine a una vita che tutti noi credevamo immortale. In fondo girava con il
bastone da decenni pur camminando più veloce di un ragazzino.
Con lui va via il Novecento e non è un modo di dire. Critico letterario e cinematografico, temutissimo per la sua ferocia dai Pasolini, dai Fellini e dagli Antonioni, sostenitore di nuovi talenti, «che poi impallino al tiro al piattello» si prendeva in giro, è stato soprattutto critico con la società. Scopritore di talenti letterari, agitatore di idee radicali, portatore di un pensiero “in movimento”, con cui ha riempito le riviste che ha contribuito a realizzare – «Quaderni rossi», «Quaderni piacentini», «Ombre rosse», «Positif» -, o ha creato – «Linea d’ombra», «Lo straniero», «Gli asini» – e molte pagine di questo giornale, ha raccomandato visioni e letture originali, marginali, disturbanti, sicuramente oppositive al narcisismo di massa, alla cultura dei baroni, contro cui ha fondato l’“università degli asini” per un sapere non convenzionale.
Era un vagabondo e ha avuto tante case. Amava moltissimo però la sua casa romana spartanissima, al primo piano, dove a pranzo e a cena ospitava sempre ragazzi che ingaggiava in qualche impresa per combattere la sciatteria culturale, per portare avanti un’idea nuova di Paese, sincera, solidale, per tutti. Quella natale, Gubbio, dove vive ancora il resto della sua famiglia di origini contadine, che era così povera da costringere il padre a emigrare in Germania, da cui fuggì quando rischiava di essere assoldato dai nazisti. Tornato in Italia, portò il piccolo Goffredo a Roma a visitare le Fosse Ardeatine che l’eccidio è ancora fresco, piantando un seme antifascista nel figlio. Il bambino, rapito da una terribile paura della morte, guarì accompagnando avanti e indietro il prete dal cimitero come chierichetto.
Il cattolicesimo è un punto fermo fino all’adolescenza, da qui la sua simpatia per i preti di strada, gli “ultimi” di padre Turoldo e don Tonino Bello. Gubbio è anche la città dove si innamora del divertimento alla portata di tutti, il cinema, e soprattutto di Macario, Magnani (allora comica) e Totò e grazie a cui mette le fondamenta per teorizzare la grandezza artistica del principe de Curtis, su cui tutti poi lo avrebbero seguito.
Diplomato maestro, parte per la Sicilia di Danilo Dolci, si occupa dei bambini, mette in pratica gli scioperi alla rovescia, dove si costruiscono strade, scuole, fogne invece di incrociare le braccia, e impara un modello di lotta e di organizzazione diverso da quello della politica. A Roma frequenta poi la scuola olivettiana per assistenti sociali e completa l’ossatura di intellettuale (ahi, di nuovo!) scomodo, pronto ad agire nei luoghi “caldi”. Prima a Torino, davanti ai cancelli della Fiat, poi a Parigi, dove si immerge in un consumo smodato di cinema; arriva, quindi, nella Milano operaia e nella Napoli della cultura orale e teatrale, passando per la Bologna del fumetto tra Pazienza e Mattotti. Infine, Roma. Molti gli incontri fondanti – Ada Gobetti, Elsa Morante, Carmelo Bene, Grazia Chierchi e Piergiorgio Bellocchio; molti i libri scritti dall’uomo dalle suole di vento, soprannome che Paul Verlaine usava per Arthur Rimbaud.
Cinque anni fa è uscito per La Nave di Teseo Il secolo dei giovani e il mito di James Dean, un excursus sulla volontà novecentesca di uccidere gli impeti ribellistici dei ragazzi. Sono tre attori per Fofi a squadernarne la retorica (alla Ronald Reagan): Montgomery Clift, Marlon Brando (Fofi ha dedicato un meraviglioso libro all’attore, ripubblicato da Castelvecchi nel 2014, a causa del quale chi scrive ha perso un aereo) e il James Dean de I ribelli senza causa di Nicholas Ray del ’55, che in Italia avrà per titolo Gioventù bruciata. Sono loro a dare negli anni Cinquanta ai coetanei, cui manca una causa comune per cui lottare, un senso di unità e fraternità attraverso un codice comunicativo collettivo, fatto di posture, modi di gesticolare e parlare, per far fronte alla solitudine dei genitori ossessionati dal consumismo.
Goffredo ha avuto una produzione sterminata. Alcuni suoi libri fondamentali sono L’immigrazione meridionale a Torino (Feltrinelli, 1964), Totò. L’uomo e la maschera, a cura di e con Franca Faldini, (Feltrinelli 1977), L’avventurosa storia del cinema italiano, a cura di e con Franca Faldini (Feltrinelli, I, 1979, II, 1981), Marlon Brando, con Tony Thomas (Gremese Editore, 1982 e poi Castelvecchi), Storia del cinema (Garzanti), Più stelle che in cielo, nella revisione ampliata e riveduta (Cue Press), che scorre la storia del cinema, da Fred Astaire ad Alberto Sordi, da Maria Montez a Lucia Bosé, passando per l’imprescindibile Totò, che si impone a Fofi anche da morto. Nel momento in cui il critico si nega al telefono per l’ennesima presentazione, nella stanza accanto cade il quadro del principe. Fofi corre al telefono per confermare la sua presenza.
Il suo amico e allievo, Emiliano Morreale, ha fatto un lavoro magistrale, curando un’antologica di tutto ciò che aveva scritto e l’avevano intitolato Sono nato scemo e morirò cretino (minimum fax, 2022).
Goffredo aveva scritto ultimamente un libro su persone care morte troppo presto, Cari agli dèi (edizioni e/o, 2022). Lui giovane non è morto, aveva 88 anni. Ma mannaggia quanto ci mancherà.