testata registrata presso Tribunale di Napoli n.70 del 05-11-2013 /
direttore resp. Pietro Rinaldi /
direttore edit. Roberto Landolfi

Da Mamdani al referendum in California: le vittorie dei democratici e un messaggio per Trump

 
tratto da Valigia Blu del 7 Novembre 2025 
di Marco Arvati
 
“A Trump dico di alzare il volume. New York rimarrà una città costruita dagli immigrati, arricchita dagli immigrati e, da stasera, guidata da un immigrato. Presidente: per prendere uno di noi, dovrai passare sopra tutti noi. Noi faremo sì che le parole di cui abbiamo parlato, i sogni che abbiamo sognato diventeranno l’agenda che porteremo avanti. New York, questo potere è vostro. La città vi appartiene”.
Con queste parole Zohran Mamdani, appena eletto sindaco di New York, ha attaccato il presidente degli Stati Uniti, dopo una nottata che ha regalato grandi vittorie ai democratici e ha certificato l’esistenza di un’opposizione viva, che sembra aver trovato, dopo un anno particolarmente difficile, un messaggio che risuona con gli elettori.
Non bisogna, però, esagerare con l’entusiasmo: martedì notte al voto andavano città e Stati in cui il partito è forte, e che hanno votato in maggioranza Kamala Harris alle scorse presidenziali. I democratici dovranno dimostrare con le elezioni di metà mandato che si svolgeranno tra esattamente un anno, e in cui tutto il Paese tornerà alle urne, di avere la forza di opporsi a Trump. Anche se erano elezioni tendenzialmente favorevoli, però, la portata della vittoria democratica, a livello di dati, contee e demografia di elettori, ha fatto dire a Politico che ci siamo trovati di fronte a un “dominio”.
 
L’opposizione ha vinto a New York, nell’unica battaglia intestina al partito, in cui Mamdani sfidava l’ex governatore Andrew Cuomo, candidatosi da indipendente ma per decenni parte dell’elite democratica newyorkese, in Virginia e New Jersey, dove sono state elette Abigail Spanberger e Mikie Sherrill, due donne dell’area moderata del partito, e in California il referendum per dare alla politica la facoltà di ridisegnare i collegi statali, richiesto dal governatore dello Stato Gavin Newsom, per controbattere il ridisegno dei collegi a vantaggio di Trump negli Stati a guida repubblicana, è passato con ventisette punti di scarto. Una grande vittoria per il governatore, che da mesi si è accreditato come il principale oppositore dell’Amministrazione, arrivando anche a ricalcarne la comunicazione sconclusionata: nella sua idea, “una dimostrazione della follia” dei post trumpiani.
 
La vittoria che ha più risuonato su scala internazionale è sicuramente quella di Mamdani, anche per il suo posizionamento politico socialista apertamente rivendicato anche nel discorso di vittoria, in cui ha citato Eugene V. Debs, probabilmente il più grande esponente del movimento nella storia statunitense. Negli ultimi giorni, Trump era addirittura arrivato a sostenere Andrew Cuomo, con cui si era pesantemente scontrato ai tempi della pandemia di Covid, quando quest’ultimo era governatore dello Stato di New York, e a sconfessare il repubblicano Curtis Sliwa, che ha rifiutato di abbandonare la corsa nonostante pressanti richieste sia dal suo partito che dal mondo finanziario.
 
Il messaggio politico di Mamdani, declinato in modo brillante sui social media, girava intorno a un unico punto: i newyorkesi non possono più permettersi New York. La battaglia a costi troppo alti e disparità di stipendi sono stati la base di un movimento che un anno fa aveva speranze residuali di vincere le primarie e oggi arriva a governare la città: le proposte, semplici e d’impatto, come la gratuità dei trasporti pubblici e il tetto al prezzo degli affitti nelle case a canone concordato, gli hanno garantito il supporto della grande maggioranza dei giovani. Inoltre, è riuscito a ottenere, seppur di poco, più del 50 per cento dei voti, necessario per non iniziare il suo mandato con lo stigma di essere un sindaco votato da una maggioranza soltanto relativa dei cittadini.
Il costo della vita è stato un tema centrale, però, non solo della campagna di Mamdani, ma di tutti i democratici sulla scheda elettorale nel 2025. Se l’anno scorso la campagna Biden, e poi quella di Harris, avevano puntato tutto su quanto Trump fosse un pericolo per la democrazia, oggi i democratici attaccano il presidente perché non ha tenuto fede alle sue promesse dell’anno scorso.
Durante la campagna presidenziale, infatti, Trump aveva descritto i democratici come un gruppo di ricchi lontano dai problemi della popolazione, e aveva affermato che solo lui poteva migliorare il disagio dei cittadini, facendo scendere i prezzi non appena tornato al potere. Dopo un anno, la situazione economica degli Stati Uniti non è migliorata, e la nuova legge di bilancio, ancora bloccata per via dello shutdown, la chiusura del governo federale dovuta al mancato passaggio del bilancio al Senato, a Washington, taglia sussidi sanitari garantiti dall’Obamacare che alzeranno il costo delle assicurazioni: nel frattempo, Trump continua ad affermare che l’economia vola e il Paese sta benissimo. In questo contesto è stato ribaltato il messaggio dell’anno scorso: i democratici affermano che Trump non si occupa di loro, che il costo della vita è alto e il Presidente è lontano dagli interessi dei cittadini, tanto da costruire una gigantesca sala da ballo nell’ala est della Casa Bianca.
 
Il tema economico, quindi, non è stato centrale solo per la campagna di sinistra di Mamdani, ma anche per quelle moderate di Spanberger e Sherrill, che sono diventate governatrici dominando le loro rispettive contese. Spanberger non solo ha vinto la Virginia di 15 punti, ma ha migliorato il risultato di Harris alle presidenziali in quasi tutte le contee rilevanti per il partito: in quella di Loudoun, che si trova nei sobborghi di Washington, e dove risiedono molti dipendenti federali a cui Trump ha minacciato di non pagare gli stipendi persi in questo mese di chiusura forzata per lo shutdown, Spanberger ha migliorato di 12 punti il risultato di Harris. In New Jersey, invece, Sherrill ha vinto di 13 punti ricostruendo una coalizione multietnica che i democratici temevano di aver perso per sempre dopo i guadagni di Trump con i latinos e i maschi afroamericani delle scorse presidenziali: la neo-governatrice ha vinto la contea di Passaic, a maggioranza relativa ispanica, di ben 15 punti e lo ha fatto dopo che Harris l’aveva clamorosamente persa lo scorso anno.
 
In California, invece, il governatore Newsom ha vinto la sua battaglia: dimostrare che i cittadini sono pronti a combattere le mosse trumpiane a ogni costo. Dopo che Trump ha espressamente chiesto al Texas di ridisegnare le mappe per ottenere 5 collegi in più a suo favore, Newsom ha deciso di contrattaccare con le stesse armi. Ha chiesto ai cittadini di abolire, per lo meno fino al prossimo censimento che avverrà nel 2030, le commissioni indipendenti che disegnano i collegi, e che dovrebbero assicurarsi che questi siano il più possibile bilanciati, per ridare alla politica la facoltà di farlo. In questo modo, ha controbilanciato i 5 seggi che Trump ha ottenuto in Texas e ha dato il là agli Stati democratici di controbattere a ognuno degli Stati repubblicani a cui il Presidente busserà per ottenere mappe più favorevoli. Non è stata una decisione facile, e compiendola Newsom si è inimicato anche alcuni indipendenti anti-trumpiani, come l’ex governatore Schwarzenegger artefice della commissione indipendente, che non avrebbero voluto vedere gli avversari di Trump cercare di sconfiggerlo con le sue stesse armi. Alla prova del voto, però, la California ha appoggiato il piano di Newsom, a oggi di gran lunga il democratico più in vista su scala nazionale.