di Miriam
D'Agostino e la Comunità benedettina di Sant'Anna
tratto da Avvenire del 20 novembre 2025
Il retrogusto delle cose ordinarie è quanto ogni volta ci permettono di sperimentare C. e T: il tempo della vita è fatto molto più spesso dal feriale, dal quotidiano.
tratto da Avvenire del 20 novembre 2025
Il retrogusto delle cose ordinarie è quanto ogni volta ci permettono di sperimentare C. e T: il tempo della vita è fatto molto più spesso dal feriale, dal quotidiano.
Le “amiche”,
cosi le riconosciamo quando vengono a trovarci, due carissime signore che
abitano non troppo lontano da noi, ma che ci hanno conosciuto attraverso la
“nostra cucina”, e quando possono, passano a prendere il tè uno scambio di
battute, e tutta la sapienza di mani e gambe che ne hanno fatta di strada, di
via, di pasta fatta in casa.
Pochi argomenti, semplici, essenziali, attraverso i quali lasciano trasparire la sapienza del tempo che ha lasciato segni, tracce, rughe insieme al sorriso sornione, di chi la sa lunga e inizia i suoi discorsi “ah sapessi io quante ne ho viste…”. Quando stiamo con loro cambia la percezione delle “cose importanti”, perché tutto il resto può venire anche dopo, quei 10, 15 minuti si dilatano e al tempo stesso si fanno assaporare per il gusto di poter e saper stare insieme; come la pasta fatta in casa, farina e uova, solo due ingredienti, ma ciò che fa la differenza è come stanno insieme, quali mani si sono intrecciate, quanta energia, quanto calore, quanto profumo, un processo lento, attendo meticoloso ma necessario, senza il quale la pasta, quella pasta non sarebbe venuta allo stesso modo, e in fondo è cosi, sempre gli stessi due ingredienti, ma ogni volta la pasta viene sempre “nuova, diversa, altra”.
Il retrogusto delle cose ordinarie è quanto ogni volta ci permettono di sperimentare C. e T., perché in fondo il tempo della vita è fatto molto più spesso dall’ordinario, dal feriale, dal quotidiano, che dall’aspettativa di un momento straordinario e inaccessibile, che lascia l’amaro. Ed è forse proprio in questo che loro e noi sperimentiamo una comunione di intenti, di modo di fare, di tempo e spazio da vivere, in fondo anche noi, nella vita monastica, nello scandire ben strutturato del nostro tempo tra preghiera e lavoro, prediligiamo un tempo ordinario, che si modifica in base al tempo liturgico.
Le amiche C. e T. hanno un’altra caratteristica, non vengono mai a mani vuote, portano sempre un piccolo dono, un pacco di pasta, un po' di latte che sanno ridoniamo a chi ne ha bisogno, e cosi in un circuito breve ed efficace di benevolenza reciproca e di carità operosa dei nostri incontri ne beneficia chi ne ha bisogno, in maniera anonima, silenziosa e sorridente. Anche qui un processo lento, che richiede oltre alla dedizione l’attenzione, a chi non conosci per nome e cognome, ma per benevolenza e questo rende tutto ancora più armonico e relazionale, perché una pasta fatta in casa a quattro o più mani, rende tutto quel processo di trasformazione, ancor più prezioso, perché saper fare insieme è un arte che si impara quotidianamente.
Pochi argomenti, semplici, essenziali, attraverso i quali lasciano trasparire la sapienza del tempo che ha lasciato segni, tracce, rughe insieme al sorriso sornione, di chi la sa lunga e inizia i suoi discorsi “ah sapessi io quante ne ho viste…”. Quando stiamo con loro cambia la percezione delle “cose importanti”, perché tutto il resto può venire anche dopo, quei 10, 15 minuti si dilatano e al tempo stesso si fanno assaporare per il gusto di poter e saper stare insieme; come la pasta fatta in casa, farina e uova, solo due ingredienti, ma ciò che fa la differenza è come stanno insieme, quali mani si sono intrecciate, quanta energia, quanto calore, quanto profumo, un processo lento, attendo meticoloso ma necessario, senza il quale la pasta, quella pasta non sarebbe venuta allo stesso modo, e in fondo è cosi, sempre gli stessi due ingredienti, ma ogni volta la pasta viene sempre “nuova, diversa, altra”.
Il retrogusto delle cose ordinarie è quanto ogni volta ci permettono di sperimentare C. e T., perché in fondo il tempo della vita è fatto molto più spesso dall’ordinario, dal feriale, dal quotidiano, che dall’aspettativa di un momento straordinario e inaccessibile, che lascia l’amaro. Ed è forse proprio in questo che loro e noi sperimentiamo una comunione di intenti, di modo di fare, di tempo e spazio da vivere, in fondo anche noi, nella vita monastica, nello scandire ben strutturato del nostro tempo tra preghiera e lavoro, prediligiamo un tempo ordinario, che si modifica in base al tempo liturgico.
Le amiche C. e T. hanno un’altra caratteristica, non vengono mai a mani vuote, portano sempre un piccolo dono, un pacco di pasta, un po' di latte che sanno ridoniamo a chi ne ha bisogno, e cosi in un circuito breve ed efficace di benevolenza reciproca e di carità operosa dei nostri incontri ne beneficia chi ne ha bisogno, in maniera anonima, silenziosa e sorridente. Anche qui un processo lento, che richiede oltre alla dedizione l’attenzione, a chi non conosci per nome e cognome, ma per benevolenza e questo rende tutto ancora più armonico e relazionale, perché una pasta fatta in casa a quattro o più mani, rende tutto quel processo di trasformazione, ancor più prezioso, perché saper fare insieme è un arte che si impara quotidianamente.
