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“Lavorare stanca” (Cesare Pavese 1936)


Lavorare stanca. Non c’è lavoro per i giovani e per le donne. È nel lavoro che ci si realizza. Senza lavoro,  che si fa? Il lavoro serve a procurarsi il sostentamento. Il lavoro serve a vivere. Si lavora per vivere e non si vive per lavorare. È il lavoro salariato la causa di ogni conflitto. Per i giovani lo studio è lavoro, fino a quando, diplomati o laureati, alcuni di loro,  passano al lavoro salariato. Se non hanno studiato un mestiere prima o poi dovranno trovarlo. Se il lavoro coincide con la politica siamo al livello più alto. Se i politici lavorassero anche, procurandosi il salario dal proprio lavoro, e non dalla politica, non sarebbe mica tanto male. 

Oggi, come ieri, chi ha un lavoro da dipendente trova tutto già organizzato. Poco, male, ma, quanto meno,  trova un ufficio, un’aula, un ambulatorio, delle sedie e delle scrivanie che non ha dovuto comprare. Fa il suo orario di ufficio, di lezione, di visita e finito il tempo di lavoro, va via. Non sente sua la roba che utilizza per lavorare, dopo aver lavato le mani consuma una quantità abnorme di carta per asciugarle, chiama il proprio superiore per dire che non funziona questo o quello, quando va via nei pomeriggi d’inverno lascia le luci accese, utilizza d’estate l’aria condizionata a palla, a finestre aperte, e si lamenta del personale di pulizia che non fa il proprio dovere. Al lavoratore dipendente, di regola, tutto è dovuto. Il posto fisso non c’è quasi più ed ai giovani tocca cambiar continuamente lavoro. Qualcuno in maniera sufficientemente cinica dice che è giusto così, dice che il posto fisso annoia. Il lavoro pubblico certamente annoia nel tempo, ma nessuno lo molla.

Per chi fa impresa è tutta un’altra storia. L’artigiano, lo scrittore, il libero professionista, configurano uno scenario completamente diverso. Rischiano in prima persona e se non va sono costretti a cambiare lavoro. L’idraulico bravo lavora fa soldi e tende a non pagare le tasse. L’avvocato lavora come una trottola all’inizio della propria carriera e compare davanti ad un magistrato (lavoratore dipendente pubblico) che decide il destino delle sue cause e del suo futuro. L’architetto, a caccia di clienti, deve vendere la propria creatività (ammesso che ce l’abbia) a proprietari di case per lo più arroganti, ignoranti e petulanti. 

Lavoro pubblico e lavoro privato, grandi differenze, grandi contraddizioni. Forse sarebbe necessario fare iniezioni di privato nel lavoro pubblico e iniezioni di responsabilità pubblica per chi lavora nel privato. Moralismo inapplicabile? No solo un tentativo di passare dall’etica dei principi all’etica dei risultati. Le donne, sia nel pubblico che nel privato,  nonostante gli indubbi successi conseguiti, faticano il doppio. Donne emancipate lavorano sempre molto in  casa, ma anche di più fuori.  Il lavoro è ormai di tutti, tutte. Il potere è tuttora maschile. Un esempio attuale: alle olimpiadi di Londra l’Italia manda una compagine in cui le atlete superano il 46% del totale, record storico. I dirigenti sono tutti maschi.

Rocco Maria Landolfi