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“Strategie fatali”

articolo inserito nella sezione moda

estratto dalla rivista "Enne" n. 84 del novembre 1991

In riferimento a quell’unico modello di corpo femminile che ogni epoca propone ricordiamo negli anni 60 come tipo fisico ideale Twiggy, fotomodella inglese. Erano anni irrequieti, ricchi di ideali radicali e Twiggy, nei suoi 42 chili, per un metro e settanta, li rappresentava, a tal punto da diventare l’ispirazione fisica per molte donne. Da allora le diete di tutti i tipi diventano sforzo e sacrificio da perseguire per una dieta perfetta. 

Tra una serie e l’altra di ardui esercizi ci si accontenta di un preparato ipocalorico. Lo sapevate che Nancy Reagan pilucca poco più di una lattuga ed acini d’uva al giorno per restare in forma, per i suoi abiti di Galanos? L’elezione a corpo ideale oggi è sicuramente frutto di un’immagine veicolata dai media e dall’informazione specie quella specialistica e di moda. Una passerella che s’illumina di moda, una musica, i corpi delle mannequin sulla scena, hanno un fascino immutato. La scioltezza, l’agilità di un corpo femminile rappresentano facili segni d’identificazione per le donne che guardano. Ma le indossatrici trovano appagato il loro stretto regime di vita? A parte il desiderio narcisistico di una passerella che veicola l’attenzione sui loro bei corpi, esiste una professionalità che garantisca il livello qualitativo di tale mestiere? Esistono iniziative sicuramente nuove che offrono concrete possibilità di approccio ad un lavoro troppo spesso poco professionale. 

Pur tuttavia è necessario riflettere su alcuni rischi che tali iniziative comportano: il marchio risonante del “fuori moda” investe ormai le nostre identità; pare sia possibile plasmare le nostre personalità, manipolarle, cucirle addosso, su misura come si fa con un abito. Ancora tal’è la donna? Solitamente significata dalla retorica del linguaggio di moda? Ancora questa la vuole femminile ma capace, assolutamente giovane ma dotata di un’identità forte, tuttavia con una personalità contraddittoria. Un auspicio potrebbe essere che il mondo della moda continui ad assolvere il compito che da sempre le spetta, un’arte che produce cultura, sapere, economia, spettacolo. La moda deriva da un capriccio del desiderio delle forme, da un desiderio estetico e politico di distinzione. I segni della moda sono distintivi, ed operano secondo un codice che è il codice universale della moda. 

Trasbordare in altre complessità confonde l’ambito della ricerca. La sociologia, la semiologia, la psicoanalisi, applicati alla moda le fanno perdere il suo aspetto rituale. Più vicina alla realtà, alla verità dei corpi concreti, la moda rischia di perdere la potenza dell’illusione. La ricerca “d’essere”  deriva dalla fatica d’imparare ad accettarsi; questo sembra compito più difficile. Per tutto ciò non bastano corsi che insegnano alle donne ad essere solo più mondane. Ma per alcune forse servono anche questi?

Lucia Mastrodomenico