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L’uomo? Un apprendista stregone



Estratto dall’intervista a Fabrizia Ramondino  - di Lucia Mastrodomenico (pubblicato sulla rivista “Enne” nel febbraio 1992)

Lucia : nelle tue narrazioni in “Althenopis” in “Un giorno e mezzo”, il luogo dove si mostrano le storie è Napoli. In “Storie di Patio” come in “Taccuino tedesco” la nostra città è comunque presente. Che cosa è cambiato, per te come scrittrice, dalla Napoli che descrivi in “Un giorno e mezzo” ad oggi ?

Fabrizia : penso che il mutamento riguardi non solo Napoli ma molti altri luoghi. Gli anni tra la fine del sessanta ed il 75/77 sono stati sostanzialmente diversi dagli anni 80 e dagli inizi di questi anni 90. Gli anni 60 sono stati per me e per molti altri, gli anni delle grandi speranze di rendere più giusta, più libera, più eguale la società, in polemica tanto con la destra politica quanto con la sinistra tradizionale, compreso il Partito Comunista. Chiunque nel mondo ha partecipato a queste lotte si rende conto di cosa è avvenuto emblematicamente dopo, con la caduta del muro di Berlino, ma già prima, dall’era di Gorbaciov, qualcosa di immane è avvenuto nel mondo. Noi in quegli anni eravamo critici verso il socialismo reale, però, nello stesso tempo, pensavamo, come tanti, che la correzione potesse avvenire all’interno. Adesso sappiamo che tutto ciò non si è verificato e ne possiamo solo prendere atto. Per quanto riguarda Napoli, da una parte c’era una deformazione, dovuta ad un nostro modo di leggere la realtà   (a volte si vede solo quello che si vuole vedere) dall’altra c’era oggettivamente maggiore solidarietà tra le persone, minore cinismo. Un mio amico sostiene oggi che non ci sono più cinici, ma post cinici; prima il cinico sapeva cosa fosse il non cinico, oggi il post cinico non si rende neanche conto di esserlo. C’erano i grossi movimenti politici, movimenti di massa, impegnati per un mutamento concreto della realtà. Oggi questo non c’è più. C’è la stessa divisione tra le classi sociali, tra ricchi e poveri, tra chi sa e chi non sa, tra chi ha potere e chi non ne ha; allora era più evidente l’antagonismo sociale da un lato, dall’altra la corsa delle classi subalterne a diventare piccola borghesia era meno evidente; c’erano delle forze all’interno che frenavano questo processo che invece adesso pare dilagare. Oggi c’è una convivenza, negli strati sociali più poveri, di tutti gli emblemi della modernità: l’automobile, la televisione i vestiti di marca o di sottomarca. Nello stesso tempo i beni essenziali, la casa, la cultura, la scuola, la salute sono trascurati. E’ più difficile mandare i figli a scuola che comprare una sottomarca di una maglietta. Questo cambiamento riguarda Napoli, ma è un cambiamento che riscontriamo ovunque.
Lucia :  la tensione tra essere in disparte ed essere pienamente coinvolte nella realtà è una dimensione spesso presente nel lavoro di scrittrice. Che ne pensi ?
Fabrizia : per la maggior parte degli artisti penso debba essere così. La dimensione dell’essere in disparte è una condizione senza la quale non si può creare, c’è bisogno di un grande distacco, di una grande solitudine, non di quelle subìte ma di quelle scelte. Nello stesso tempo essere pienamente coinvolte nella realtà è anche indispensabile, questo però non necessariamente si significa in manifestazioni esteriori come l’impegno sociale o politico o impegni in altri campi. Quello a cui assistiamo oggi e che trovo terribilmente grave è che nel campo degli artisti esiste un essere pienamente coinvolti nella realtà privo di capacità critica. Accade che si è pienamente coinvolti nella realtà che danno i mass media. Questo lo potremmo definire presenzialismo. Credo che tale atteggiamento sia profondamente distruttivo per le facoltà creative.
Lucia : tu metti al centro del mondo e dell’esperienza il soggetto. Ma esiste anche lo spazio che si crea tra i soggetti ed il relazionarsi tra loro, lo spazio dell’intersoggettività ?
Fabrizia : il centro dell’esperienza è da un lato la relazione con se stessi e dall’altro la relazione con gli altri. Non ho nessuna visione idilliaca della natura; come Leopardi penso che la natura è maligna. Soltanto da un patto tra gli uomini (che non è il patto sociale di Rousseau), un patto in cui si riconosce, consapevolmente, la comune dolorosa condizione umana, può sorgere un patto di solidarietà. Ogni tragedia, da quelle private a quelle pubbliche, come possono essere le guerre, derivano dai rapporti umani. Oggi nelle letterature dell’occidente, soprattutto italiana, c’è un grande eclettismo, non ci sono più schieramenti. Possiamo avere dei romanzi che sono esclusivamente formalisti, dove la forma è quella che si chiamava una volta la poesia in prosa (scrittura d’arte in voga nel trenta) che nasconde il vuoto totale; possiamo avere anche pessimi romanzi contenutistici ed ancora ci possono essere ottimi romanzi realisti.
Lucia : agli scrittori spesso si chiede di essere radicali e conservatori. Radicali per cooperare alla correzione di errori ed ingiustizie. Conservatori perché nella realtà attuale molto di ciò che amiamo ed apprezziamo viene distrutto. In che cosa ti senti radicale, in che cosa conservatrice ?
Fabrizia : io mi sento radicale in un doppio senso. Da un lato nel senso in cui lo era il primo Marx quando diceva: la natura dell’uomo è l’uomo. La radice dell’uomo a mio avviso non è la trascendenza, ma è l’uomo e le relazioni umane, compresa la relazione con se stessi, perché anche quella è una fondamentale relazione umana. L’altro senso è la considerazione che le radici di ognuno di noi, in senso antropologico, sociologico, soprattutto storico, affondano in qualcosa di molto più antico. Ha ragione Rita Levi Montalcini quando dice che gli istinti, i sentimenti umani non si sviluppano con la stessa velocità con cui si è sviluppata l’intelligenza umana, soprattutto quella tecnologica. Questo vuol dire che l’uomo, più che in altre epoche, fa l’apprendista stregone, non riesce a controllare del tutto le forze che ha scatenato. Anche per questa ragione  è importante attenersi alle radici, proprie e degli altri. Questo discorso può sembrare apparentemente conservatore, invece è proprio il contrario. Per quanto riguarda il conservare, bisogna conservare tantissime cose, soprattutto l’unicità dell’individuo dinanzi alla massificazione, alla massificazione che vuol dire anche massificazione della morte. Leggevo su “Repubblica” che un gruppo di turchi d’Inghilterra, ritornando dall’ospedale in cui erano stati in precedenza ricoverati, si sono accorti che gli mancava un rene, toltogli a loro insaputa durante l’anestesia. Questo scandalo tremendo fa capire cosa intendo per unicità preziosa di ogni individuo, non solo nel senso della sua vita ma anche della sua libertà, della sua dignità. Vedi questa casa, ne ho conservato l’antico arco. Non si capisce per quale ragione (anzi si capisce molto bene) in un paese come questo ( Itri ndr) molte case vecchie sono disabitate, mentre a valle del paese ce ne sono tante in cemento, uguali come in tutto il mondo. Questo è un esempio di cosa va salvato.

a cura di Rocco Maria Landolfi,          sezione “Teoria