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Mettersi in gioco


La definizione tautologica del gioco più semplice è questa: il gioco è il gioco! In effetti il gioco è tutto un paradosso: è liberatorio ed insieme regolato, unisce ma insieme separa il reale dall’immaginario....è divertimento ma insieme bisogna prenderlo sul serio....(M.Battacchi). Ebbene si le teorie sulla natura e la funzione del gioco sono tante e tutte sono preoccupate di dare un posto significativo al gioco nell’ordine della vita. I superteorici ne danno definizioni molto precise ed accurate da Huizinga “il gioco crea un ordine” a Winnicott “il gioco è una zona di spazio potenziale, di illusione” fino a Piaget  “i giochi simbolici sono l’apogeo dei giochi infantili”. Chi lavora con l’ infanzia sa che tutto ciò è molto vero e sa per esperienza diretta che il gioco ha un valore straordinariamente educativo : - è una forma di cultura che coinvolge il comportamento; - è un luogo dove si produce e si rende visibile l’immaginario; - ha funzione trasversale ed abbraccia vari ambiti (saperi,linguaggi,forme). Il gioco è considerato comunemente “il mestiere dei bambini” perché è finalizzato al divertimento ed alla creatività (l’equivalente negli adulti è l’artista), ma è una credenza errata: l’esperienza ludica crea le condizioni affinché il bambino/a si serva degli oggetti e delle situazioni del mondo reale per creare un mondo nel quale è possibile capovolgere a piacimento l’ordine delle cose.
La funzione del gioco ha quindi grandi implicazioni sul piano cognitivo: le prime forme di gioco, nella primissima infanzia, riguardano la scoperta del proprio corpo e degli oggetti con cui il bambino/a esercita le funzioni sensoriali e motorie, con cui si confronta con la realtà e prova ad affinare le sue capacità. Lo stadio successivo è il gioco simbolico che è caratterizzato dal “far finta che” o “fare come se“,  in cui, attraverso questo momento,  il bambino/a sviluppa un formidabile mezzo di rappresentazione. Infine ci sono i giochi sociali con regole, che si trasmettono da un bambino all’altro, che aumentano d’importanza con lo sviluppo della socializzazione, di cui sono un potente fattore. Possiamo affermare che i giochi di questo tipo ci accompagnano fino e oltre l’età matura: calcio, bocce, bigliardo, giochi da tavolo e tantissimi altri che ne sono le rappresentazioni sociali. Insomma il gioco ha una sua valenza universalmente riconosciuta per la crescita individuale, culturale e sociale di ogni singolo individuo e tantissime non solo le teorie ma gli studi applicati, dalla psicologia cognitiva, alla linguistica, all’antropologia. Una riflessione un pò amara sul contesto in cui giocano i nostri bambini oggi! Nei propri appartamenti in genere pieni di giocattoli, sempre più teledipendenti, in buona sostanza in un dorato isolamento, impossibilitati a vivere ciò che era ancora possibile qualche generazione fa: il gioco di gruppo fatto in strada, nei cortili, in campagna dove era la comunità dei pari a prendersi cura del bambino/a nella sua iniziazione al gioco e far in modo che ne comprendesse regole e comportamenti. In effetti la cultura occidentale con le sue regole e il suo sistema liberista non garantisce più di altre culture del Sud e dell’Est del mondo e i nostri bambini forse più ricchi ma anche più soli, non sono più felici o sereni dei bambini africani o indiani. Spesso questi ultimi vivono in situazioni molto difficili, dove devono contare solo sulle proprie risorse, dove molti diritti sono negati, dove l’unico imperativo non è consumare, dove gli adulti, occupati ad affrontare la quotidianità, non sono certo affaccendati ad organizzare in modo asfittico la vita dei propri piccoli, insomma l’altra faccia della medaglia....possibile che non ci sia una mai equità e giustizia quando si parla d’infanzia in alcuna parte del mondo! Torniamo a noi : se i bambini giocano tra di loro (scuola, casa, ludoteca etc) e soprattutto se ci sono regole da rispettare nei giochi scelti,   c’è sempre un adulto, che garantisce il rispetto delle regole e della reciprocità con l’evidente risultato che i bambini sono sempre meno autonomi, incapaci di autoregolamentarsi e con una crescente sensibilità verso inutili beni di consumo che servono a compensare vuoti di altra natura. Una seconda riflessione di speranza: quando si parla d’infanzia, non solo in riferimento al gioco ma in generale, inevitabilmente si scivola sul ruolo degli adulti di  riferimento siano essi genitori, educatori, insegnanti o figure altre: noi siamo gli unici responsabili delle future generazioni! Ma siamo in momento storico, non è qui che dobbiamo capirne le ragioni, in cui adulti insicuri e spaventati da un contesto sociale che non riescono a comprendere e a controllare spesso sono eccessivamente protettivi nei confronti dei propri figli senza riuscire a renderli autonomi, comprano loro cose inutili senza riuscire ad ascoltarli o a sforzarsi di capire quali sono i loro veri bisogni. 
Mettersi in gioco per noi adulti vuol dire inventare nuove proposte, nuove strade, ripensare percorsi che ci entusiasmino di nuovo, dare centralità alla relazione con le nuove generazioni, progettare un nuovo modo di aiutare a crescere i più piccoli, proteggerli e difenderli dalle ingiustizie e dalle brutture della società senza soffocarli, essere più radicali nelle scelte senza temere di essere impopolari. Altrimenti game over!!

Cinzia Mastrodomenico                                       aggiornato al 17  marzo 2014