"Questo contributo, insieme ad altri che
verranno qui pubblicati, è il frutto di un lavoro svolto da alcuni studenti e
studentesse che hanno seguito i corsi di Storia delle filosofie europee
(triennale) e di Filosofia e storia delle idee (magistrale), presso il
Dipartimento di studi umanistici dell'Università degli studi di Napoli
"Federico II". Il corso della triennale è stato dedicato al filosofo
scozzese David Hume, quello della magistrale ai filosofi spagnoli Ortega y
Gasset e Maria Zambrano. Gli elaborati si concentrano su alcuni concetti chiave
del loro pensiero e invitano a una riflessione più ampia con il nostro
presente. Ho scelto e proposto la pubblicazione di quelli che mi sono sembrati
più significativi nella sezione da me curata". Stefania Tarantino
David Hume. La radice simpatica della morale.
Il reale
ci trapassa e noi non abbiamo bisogno di compiere alcuno sforzo mentale,
intellettivo, per accoglierlo. Ci abbraccia e ci distende l’anima sguazzando in
un lago di emozioni e di passioni che incontrovertibilmente sono proprie della
natura umana. Le cose le conosciamo dal loro continuo svelarsi e presentarsi.
Esiste un sentimento che ci sporge al mondo, alla vita, al rapporto con gli
altri/e che Hume individua nella simpatia; amiamo le cose o le odiamo a seconda
delle circostanze in cui veniamo a trovarci. È attraverso questa considerazione
che è stabilito il valore imprescindibile della scienza morale che, scrive il
filosofo nella Ricerca sui principi della
morale, “non può essere oggetto di metafisica”.
L’indagine
humeana sulla realtà riguarda soprattutto la morale. La morale è il sistema dei
costumi e delle abitudini che l’umanità contempla all’interno di una struttura
comunitaria. La morale è un sistema naturale di condotte congeniali all’uomo il
quale le proietta agli altri secondo la sua disposizione caratteriale. L’etica
dell’agire è in Hume un comportarsi in un certo modo, diremmo virtuoso o vizioso.
La svolta dell’empirismo sta nella necessità di appellarsi ai casi concreti,
soprattutto quando si va a trattare la disciplina morale. Se la conoscenza si
fonda sull’esperienza, quest’ultima non può indossare gli abiti della
speculazione, ma piuttosto quelli degli esempi vissuti, pratici. Potremmo dire:
dimmi come ti comporti e ti dirò chi sei! Le distinzioni morali vanno prese
così per come sono e conservate nella loro dimensione di molteplicità; inutile
sarebbe, infatti, ricondurle ad un principio unico e inconsueto.
Una volta
chiarito che l’essere umano accoglie il mondo attraverso l’esperienza in modo
morale, Hume deve ora stabilire quali siano i suoi principi fondanti. La
morale, dice, si fonda su un sentimento comune a tutta l’umanità. Questo
sentimento è benevolo e racchiude un determinato sistema di virtù utili a
un’intera comunità. Come scrive Eugenio Lecaldano nell’introduzione all’ultima
edizione della Ricerca sui principi della
morale, la scelta di Hume investe un obiettivo nuovo: ricostruire il ruolo
del principio di simpatia, unico principio esplicativo di tutta la parte affettiva
della natura umana. La simpatia in Hume, continua Lecaldano, non è più un
principio emotivamente o sentimentalmente neutro di trasmissione di qualsiasi
percezione, ma piuttosto un sentimento comune a tutta l’umanità che raccomanda
lo stesso oggetto all’approvazione generale e fa sì che ogni uomo, o la maggior
parte degli uomini, si accordi sulla stessa opinione o decisione intorno ad
esso. Se morale ed etica non si distinguono, è indispensabile distinguere la
sfera universalmente affettiva e rapportuale privatistica della morale, da
quella sociale e pubblica dell’etica, sebbene di incisione primordialmente
morale, si intende. Se prima il principio della simpatia era tale per tutti
indipendentemente dalle incisioni sociali, insomma, ora è la condizione
naturale affinché gli uomini appartenenti ad una stessa comunità approvino o
disapprovino tutti quella cosa suscettibile di giudizio. La simpatia si
confonde armonicamente con altri due principi naturali: la benevolenza e il
senso di umanità. Essi fanno un tutt’uno e costituiscono quel requisito di bene
che ci fa vivere in serena consonanza con gli altri. L’intuizione della
tendenza a simpatizzare con gli altri (nel senso greco del termine, di
συμπάθεια, cioè dello stare, o più propriamente, del patire, del percepire
insieme il mondo), di legarci a loro, va a discapito della teoria sull’egoismo
originario dell’uomo professata con grande fermezza da filosofi come Locke e
Hobbes. Teoria insulsa secondo Hume. Inaccettabile il fatto che evidenti atti
di generosità e di altruismo dell’uomo verso il prossimo, vengano ritenuti
mascheramenti di una natura malvagia. L’uomo non è egoista in natura. Se
l’egoismo è ammesso, ciò avviene solo se teniamo in considerazione che siamo
dotati di una sfera privata. Così l’egoismo o come Hume preferisce chiamare,
l’amore di sé, si connota come un sentimento peculiare e privato. Tutti gli
uomini, comunemente, sono spinti ad instaurare una relazione sim-patica con gli altri; alcuni, però,
presi da circostanze inspiegabili (o spiegabili), si rivelano egoisti. Il
sentimento di umanità è il più generale di tutti; è il motore immobile
aristotelico che sospinge l’universo; un motore umano, morale e mai
trascendente, come potrebbero farci credere la metafisica e la teologia.
Come ci suggerisce una
delle più grandi filosofe del Novecento, Simone Weil, uno solo è il presupposto
giusto e incontrovertibile: c’è un po’ di benevolenza, per quanto poca, infusa
nel nostro cuore, qualche scintilla di amicizia per la specie umana, qualche
particella della colomba impastata nella nostra struttura, insieme con gli elementi
del lupo e del serpente. In ognuno di noi c’è un atomo di bene. La
filosofa riprende in maniera chiara e distinta il concetto di benevolenza
veicolandolo verso uno dei problemi più discussi del Novecento: la libertà. Perché
quest’ultima si realizza pienamente solo quando quel piccolo atomo di bene di
cui siamo dotati lo rivolgiamo alla collettività.
Angelo Nocerino