testata registrata presso Tribunale di Napoli n.70 del 05-11-2013 /
direttore resp. Pietro Rinaldi /
direttore edit. Roberto Landolfi
“Questo quarto contributo, insieme ad altri che verranno pubblicati sul sito madrigaleperlucia, è il frutto di un lavoro svolto da alcuni studenti e studentesse che hanno seguito i corsi di Storia delle filosofie europee (triennale) e di Filosofia e storia delle idee (magistrale), presso il Dipartimento di studi umanistici dell'Università degli studi di Napoli "Federico II". Il corso della triennale è stato dedicato al filosofo scozzese David Hume, quello della magistrale ai filosofi spagnoli Ortega y Gasset e Maria Zambrano. Gli elaborati si concentrano su alcuni concetti chiave del loro pensiero e invitano a una riflessione più ampia con il nostro presente. Ho scelto e proposto la pubblicazione di quelli che mi sono sembrati più significativi nella sezione da me curata”. Stefania Tarantino

Spunti di riflessione sull’alterità animale nel pensiero di María Zambrano.

In un racconto de Le mille e una notte si legge che la Terra e gli animali tremarono il giorno in cui Dio creò l’uomo. Questa folgorante visione degna di un poeta, assume al giorno d’oggi pieno significato, dal momento che sappiamo, ancora più del narratore arabo del Medioevo, a qual punto la terra e gli animali avessero ragione di tremare.
Marguerite Yourcenar

L’opera di María Zambrano si presenta particolarmente feconda di spunti e rimandi alla questione dell’alterità, con un’apertura al discorso sull’animale, pur non essendo tale argomento tematizzato esplicitamente e in modo sistematico. A partire dalla riflessione sulla democrazia, la quale è pronta ad affacciarsi sullo scenario della storia umana dopo l’abbandono della storia sacrificale – una storia intesa cioè come tragedia, in quanto legata al meccanismo idolo/vittima –, si delinea una figura affine al rizoma deleuziano, il quale «non comincia e non finisce, è sempre nel mezzo, tra le cose, inter-essere, intermezzo. L’albero è filiazione, ma il rizoma è alleanza, unicamente alleanza. L’albero impone il verbo ‘essere’, ma il rizoma ha per tessuto la congiunzione ‘e… e… e…’. [...] Tra le cose non designa una relazione localizzabile che va da una cosa a un’altra e viceversa, ma una direzione perpendicolare, un movimento trasversale che le trascina, l’una e l’altra, ruscello senza inizio né fine che erode le due rive e prende velocità nel mezzo» (G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia).
In particolare, ciò che qui sembra affine al concetto zambraniano di democrazia è il terzo principio della figura deleuziana, ossia quello di molteplicità, che sottolinea l’apertura del sistema-rizoma, il quale è liberamente e infinitamente percorribile, analogo ad una rete e pertanto soggetto a sempre nuove interpretazioni. Inoltre, volendo completare il parallelismo, si potrebbe accostare la figura arborescente, di cui parla Deleuze, alla nozione zambraniana di dimensione architetturale, che costruisce gerarchie, e, ancora, il rizoma al delinearsi di una dimensione musicale.
È in Note di un metodo che Zambrano parla di una vera e propria classificazione della dimensione vitale che va dall’uomo, posto all’apice della piramide, agli esseri ritenuti meno sviluppati, posti alla base: è una gerarchizzazione che secondo la filosofa è ancora in atto e la cui struttura legittima una gerarchizzazione di qualità delle forme viventi. Per tal motivo, auspica una capacità musicale della società, quindi non più una classificazione verticale, ma una dimensione orizzontale e circolare. Nella musica c’è sempre un’eccedenza, una creatività che non si esaurisce: la musica è legata alla radice primordiale dell’essere umano, alla sfera del sentire. Prima ancora di essere “pensanti”, siamo soggetti che sentono: questa “passione d’essere” è ciò che ci rende primariamente umani. Una pietas dunque che sia forma di comunicazione tra gli esseri viventi – umani e animali – e che ci permetta di comunicare con ciò che è altro da noi: da qui prende avvio la critica alla società che ha prodotto la cultura del simile, alla quale Zambrano opporrà la cultura del differente.
All’uomo che tenta di ergersi ad assoluto, ponendosi al vertice di una struttura piramidale o architetturale – insomma, che procede in forma verticale –, è necessario opporre un pensiero della circolarità, che può essere definito musicale, dal momento che la musica è sostegno e ordine, ma soprattutto ciò che mette armonia nelle differenze.
Per entrare nel merito della questione dell’animale, va premesso e sottolineato che la storia – soprattutto la storia del pensiero – sia stata e sia tuttora percorsa, dominata, dalla violenta dicotomia uomo/animale. Violenta poiché in essa si nasconde la tentazione di una reductio ad unum, dal momento che in tale formulazione si consolida la convinzione di una gerarchia che vede l’uomo signoreggiare sull’animale. Ad eccezione di pochi e isolati casi, dunque, si può ben dire che solo nel Novecento la questione si sia davvero imposta con dignità autonoma e sia stata realmente problematizzata. La prospettiva dalla quale si è analizzata tale questione fino ad allora – pertanto posizione egemone nella storia del pensiero – non è soltanto riflesso dell’antropocentrismo, ma più precisamente, utilizzando un neologismo coniato da Derrida, del carno-fallogocentrismo. Con tale termine, egli vuole intendere e rendere più specifica la figura del logocentrismo (pregiudizio del dominio del significato sul significante, strettamente connesso ai concetti di presenza, senso e λόγος, appunto), associando alla centralità del λόγος la centralità del fallo (il riferimento è polemicamente rivolto alla tradizione della psicanalisi freudiana), eredità di una cultura maschilista in cui il Verbo è dettato dal padre – animale umano adulto di sesso maschile – che sottomette, in quanto cacciatore, l’animale e conseguentemente la donna e i bambini.
Tale convinzione affonda le radici non solo nella tradizione giudaica, ben incarnata dal personaggio di Adamo, ma anche nella mitologia greca: si narra infatti che Prometeo, venuto in possesso del fuoco, a sua volta lo donò agli uomini, affinché potessero soggiogare gli animali – definiti da Platone privi di logos – che erano stati resi fisicamente più forti grazie ai doni di Epimeteo. È in tal modo coniugata l’idea di sottomissione dei non-parlanti a quella della inveterata e fossilizzata preminenza del maschio, anello di congiunzione tra divino e animale, quasi un dio terrestre.
La riflessione di María Zambrano passa attraverso o, meglio, è attraversata dalla difficile definizione di umano, ma potremmo aggiungere, a ragione, anche rispetto agli animali.
Non è quindi necessario affermare un’indistinta uguaglianza tra uomini e animali per poter attribuire una equivalente dignità alle due (non-più-solo-due) parti. Il punto della questione non è tanto perorare la causa di una natura comune all’uomo e all’animale, quanto sottolinearne le differenze al fine di riconoscere le diverse peculiarità all’interno del vivente.
La ricerca di un’etica della storia è quindi la questione che l’opera di María Zambrano insegue ed è ciò di cui la sua riflessione si compone. Non è allora forzato vedere nel rapporto uomo-animale un particolare (per non dire paradigmatico) tipo di convivenza, che vada totalmente ripensato, sulla base di un serio principio di ospitalità, fondato non sulla prossimità ma sull’alterità più radicale, «poiché la legittimità del sogno della libertà risiede in quel movimento dell’offrirsi universalmente e concretamente; in quel trascendere della libertà dal soggetto che la porta con sé, sebbene non l’abbia ottenuta per sé, dal momento che non l’avrà mai finché non l’avrà offerta agli altri. La libertà appartiene al regno di ciò che si possiede per darlo agli altri, e che si possiede veramente soltanto quando lo si è dato, come la parola, come il pensiero stesso» (M. Zambrano, Il sogno creatore).


Valentina Cuomo