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Tellurica gente di Napoli


“Nell’irrequietezza, nei colori senza filtro, nel mare porta aperta sul Mediterraneo, nel Vesuvio imprevedibile forza, si percepisce l’amore confuso di cui siamo capaci… qui si nasce e si cresce aspettandosi poco o niente, a chi ti riconosce una capacità si è riconoscenti in una dipendenza che ne vanifica il valore…..”  così Lucia Mastrodomenico nel suo ultimo lavoro “solo l’amore salva”.

Il sole ti colpisce violento, improvviso all’uscita di un vicolo, alla svolta di una strada. La luce rimanda inesorabili, netti i contorni della città; fulgidi castelli sospesi nel mare e sozzi vicoli oscuri rinviano all’ idea stessa del mito. Il mare diviene lo spunto per indimenticabili melodie e contemporaneamente cupo rimando alla lontananza; il vulcano è lo sfondo di pittoreschi guazzi e nello stesso tempo protagonista di morte.
La scaltrezza come esercizio della mente, l’espediente come risorsa a cui appigliarsi, la fiducia solo nella apparente spavalderia dei gesti e delle parole, sono testimonianza di quella confusione esistenziale che rende noi partenopei capaci di quell’amore di cui parla Lucia Mastrodomenico. Al fondo quella sorta di rassegnazione di abitanti di una città resistente, nel continuo esercizio della pazienza in un’attesa mai avara di speranza, che ci fa poco considerare le nostre possibilità, così da renderci insicuri nelle nostre effettive capacità; quella disillusione che ci lascia sorpresi per un nostro successo come se fossimo sempre giusti giusti nel mondo.
La frenesia convive con il disincanto, perennemente distratti non siamo in grado di dare continuità alle nostre cose; solo la meraviglia ha il potere di purificare l’umana sfiducia. Solo la meraviglia lascia spazio al nuovo possibile, allontanandoci sia pure per qualche momento, dal ristretto cerchio delle nostre sicurezze e dei nostri riferimenti. La nostra connaturata saggia ignoranza ci consente di sapere che la vita è la vita e la morte è la morte, senza infingimenti nè illusioni. Chi ama non è mai pentito. Lo sanno bene le donne napoletane nel loro accudire senza riserve figli, mariti, compagni, amiche, anziani, nella loro pur schizofrenica generosità e nell’imprevisto soccorso, sempre però inconsapevoli del valore politico del loro agire non consentendone così rappresentazione di memoria simbolica.
E poi l’incapacità al distacco da Napoli; è come se, ad ogni generazione si ripresentasse il dilemma tra chi deve restare e di chi deve partire, non immanente alla storia, ma come categoria esistenziale di chi è napoletano, come se la sopravvivenza fosse sempre più forte della possibilità di esistenza.


Maria Vittoria Montemurro