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Irriducibile Sport


Durante la Final Six di World League 2015 di pallavolo, a Rio de Janeiro, Mauro Berruto, Commissario Tecnico della Nazionale  Italiana espelle dalla squadra quattro dei suoi atleti, compreso il capitano. In una intervista a Repubblica l’ex CT spiega le motivazioni della decisione: “non hanno rispettato le regole, e lo hanno fatto deliberatamente” dichiara, “le regole”, continua, “non sono l’esercizio di una leadership, ma quelle di un gruppo con un obiettivo comune …… rispettare il lavoro di tutti io la chiamo responsabilità”
A fine luglio, Berruto, nella lettera aperta “grazie mi fermo qui” pubblicata sul suo blog, annuncia le sue dimissioni da CT della Nazionale. Alla base della decisione la consapevolezza di non sentire più una completa fiducia nel suo operato, condizione questa ritenuta necessaria per svolgere il complesso compito di coach. La difesa di valori quali il rispetto delle regole e della maglia azzurra è irrinunciabile anche a costo di sacrificare il suo ruolo di CT. Andare in deroga a questi valori per motivazioni diverse li renderebbe merce negoziabile e questa non è la sua visione dello sport.
Qualche giorno fa, al giornalista del GR1 che lo intervistava in merito alla condizione dei terroristi della strage di Parigi, ragazzi poco più che ventenni nati e cresciuti nella civile Europa, figli ai margini di quella stessa Francia,  Berruto riconosceva,  tra le responsabilità del mondo occidentale,  il fallimento delle cosiddette agenzie formative quali la scuola ed in particolare il fallimento dello sport. L’ex CT rimarcava quanto la pratica sportiva fosse un vero e proprio percorso integrale della persona, quanto la condivisione ed il rispetto delle regole fosse importante per stabilire le giuste relazioni con l’altro diverso da se, ponendo le basi di  una pacifica convivenza sociale.
Quando infatti la pratica sportiva diventa incubatrice di valori personali e collettivi, quando di fronte a noi si è educati ad avere un avversario e mai un nemico, accadono piccoli miracoli come a Scampia nella palestra di judo di Gianni Maddaloni, dove la pratica sportiva restituita all’educazione diviene reale occasione di crescita, di convivenza e di riscatto per tanti ragazzi anche loro figli ai margini della civile Europa.


Rocco Maria Landolfi