Il
4 maggio 2014 è una data che Kamil Glik non scorderà mai. Lo scorso, 4 maggio
2014 è toccato a lui leggere i nomi dei giocatori del grande Torino che persero
la vita nella strage di Superga.
Questo
è l’onore, e se vogliamo anche il dovere, di tutti i capitani in maglia
granata. L’allenatore Giampiero Ventura
non ha avuto bisogno di spiegare nulla ai suoi calciatori. Ha semplicemente
preso la fascia di capitano e l’ha stretta attorno al braccio del difensore
polacco, colui che più di ogni altro incarna lo spirito guerriero della
squadra.
La
fascia di capitano va ben oltre un simbolo, è un riconoscimento che ti segna
per sempre. Entri nel cuore della gente che porta il Toro stampato sul
petto, gente che ama il calcio e il Torino. La storia del capitano granata è molto lunga.
Kamil
Jacek Glik nasce a Jastrzębie-Zdrój, una cittadina dal nome impronunciabile, in
Polonia. Nella Polonia meridionale, per
la precisione, regione in cui, per
ragioni storiche, l’influsso tedesco è
ancora molto presente.
Proprio
per questa ragione Glik possiede anche il passaporto tedesco. Ma è inutile
spiegarvi di che nazionalità si senta il capitano del Torino. Proprio lui, molte volte ha detto che, quella contro la Germania, è forse la partita più sentita. Non facciamo fatica a credergli.
Kamil,
è sin da sempre solidità, abbinata ad agilità, un muro difensivo. Questo ha fatto sì che anche fuori dalla Polonia si
accorgessero di lui. Per Glik il
richiamo della propria terra è sempre stato
molto forte. Nel Plast, società
Polacca, affondano le radici professionali di Glik. “A quella società rimarrò
per sempre legato” ha più volte affermato il difensore. E ho pure la
soddisfazione di essere stato l’unico loro calciatore a indossare la maglia
della Nazionale. Per me e per la società è un motivo d’orgoglio.
Il
7 luglio 2010 viene ingaggiato dal Palermo, allenato da Delio Rossi. Sebbene
quest’ultimo abbia sempre speso buone parole nei confronti del polacco, pochissime
sono le volte in cui lo ha schierato titolare. Nel 2011 passa così al Bari , voluto
a tutti i costi dall’allenatore Ventura
che, in seguito gli affiderà, senza
remore, anche le redini della difesa
torinista. A Bari esordisce in una delle partite più delicate, sicuramente la
più sentita, ovvero il derby contro il Lecce. I Galletti del Bari vincono per 1
a 0 e Glik disputa una buonissima gara e da lì, dal centro della difesa, non si
muoverà più. Se non per incornare la palla nella porta avversaria. Perché Kamil
Glik non sa solo difendere. L’ottimo tempismo che possiede fa sì che Ventura lo
possa utilizzare anche come arma offensiva sui calci piazzati.
Finita
l’avventura con i colori biancorossi Glik si trasferisce al Torino, che ancora
milita nella serie B. Qui il feeling tra il calciatore polacco e la maglia è
diverso rispetto alle precedenti esperienze. E’ subito qualcosa di fortissimo e
Kamil Glik la maglia numero 25 granata la sente realmente come la seconda
pelle.
Lo
stesso vale per i tifosi e tutto il popolo granata, per i quali diventa un eroe
già dopo pochi mesi. Il perché sia entrato prepotentemente nei cuori di tutti
gli appassionati di calcio è facile da intuire. Uno che gioca guidato
dall’istinto, dalle emozioni. Un giocatore tutto sostanza e niente fronzoli.
Tutto questo non può lasciare indifferente nessuno che ami il calcio.
Glik, come tutti i tifosi granata vive in maniera
accesa la rivalità contro i cugini della Juve. “Se dovessi segnare contro la Juve? Mi metterei a correre fino all’esterno dello stadio, in
maglietta e pantaloncini e con le scarpe con i tacchetti ai piedi. Penso che
non mi fermerei più, farei tutta Torino di corsa”.
Purtroppo
Glik non ha mai segnato contro la Juve.
Ha collezionato solo ammonizioni e espulsioni che, in Italia, gli sono valse l’etichetta di assasin-Glik. Se
giocasse in Inghilterra, ai suoi tackle, se ne verrebbe giù lo stadio; il calcio è alle
volte un gioco molto rude. Kamil è un
giocatore solido, ruvido quando serve, ma con un cuore d’oro sotto la tenace
corazza. D’altra parte, per raccogliere
l’eredità di gente come Giorgio Ferrini, Claudio Sala, o dell’indimenticabile
Valentino Mazzola devi avere qualcosa di speciale dentro. Devi essere Kamil
Glik.
Rocco Maria Landolfi