testata registrata presso Tribunale di Napoli n.70 del 05-11-2013 /
direttore resp. Pietro Rinaldi /
direttore edit. Roberto Landolfi

Oggi le parole più belle che puoi sentirti dire non sono “ti amo, ma “è benigno” (W. Allen)


                                                                           
Solo il celebre e geniale regista newyorkese, poteva ironizzare su un dato che senza paura di esagerare si può definire minaccioso. L’allungamento della vita  ha infatti contribuito all’aumento della incidenza  del  cancro, quindi è proprio vero, la più bella delle notizie, che in questo tempo ci si augura di sentire è: è benigno.
L’incarico di Responsabile dei Programmi di Screening è stata l’opportunità più importante che abbia avuto per misurarmi nella organizzazione di un servizio offerto a tutte le donne di Napoli, quelle  donne, cioè,  che trent’anni fa’ mi hanno, a loro insaputa, riportato a Napoli dopo la parentesi torinese. Lo Screening è un programma di sanità pubblica che riduce le disuguaglianze all’accesso ai servizi e quindi colloca l’equità dell’intervento sanitario al primo posto.
La letteratura scientifica sottolinea che la sopravvivenza per cancro differisce a secondo dello status sociale del soggetto. La sfida era e purtroppo è ancora estremamente difficile perché la realtà campana è problematica e quella napoletana ancora di più, sia per l’estensione del territorio e per la sua complessità, sia perché manca nel mondo dei professionisti della salute, quanto tra le donne, la profonda convinzione della necessità della diagnosi precoce. Credere nella utilità degli interventi di prevenzione è soprattutto un fatto culturale, ed anche fortemente dipendente dal contesto economico. Infatti proprio il contesto socio-economico della nostra regione rende difficile il raggiungimento di uno dei parametri  fondamentali per la efficacia di un intervento di prevenzione,  cioè la partecipazione delle donne. Le  classi meno abbienti, dove alla povertà si associa la esclusione sociale, aderiscono con maggiore difficoltà agli interventi di diagnosi precoce. Problematiche quali la scarsa scolarizzazione, il reddito insufficiente, la precarietà del lavoro, a volte anche la mancanza di una abitazione stabile, rappresentano temi vissuti come più emergenziali se paragonati ad un rischio percepito come lontano e immaginato come improbabile, in quella sorta di invulnerabilità dietro la quale ci nascondiamo, tutti,  per sfuggire alla paura.
“Anche per il tumore della mammella esistono numerose evidenze che la probabilità di sopravvivere per una donna appartenente al gruppo sociale dei soggetti relativamente deprivati è inferiore rispetto a quella di una donna di classe sociale più elevata. Inoltre, il differenziale di sopravvivenza tra soggetti svantaggiati e non svantaggiati, chiamato “ deprivation gap ”, diventa sempre più marcato nel corso del tempo”.
Lo screening, cioè la diagnosi precoce gratuita  del cancro della mammella e del collo dell’utero rappresenta una opportunità straordinaria dunque per ridurre la disuguaglianza.
Le difficoltà incontrate nella organizzazione del Programma sono state molte e molto diverse tra loro. La più complessa da superare è stata quella che il poeta uruguaiano Edoardo Galeano  definisce  la “dittatura del non si può”, che subdolamente conduce alla rinuncia solo perché condizionata dal contesto, subordinata da un colpevole quanto incomprensibile immobilismo ed infine sottomessa ad un improprio uso del tempo. Tutto concorre a rallentare fino a bloccare l’iniziativa, la volontà, l’entusiasmo, fino al punto in cui è chiaro che quello che si riteneva essere il Progetto Comune, comune non è.
Pertanto mentre sul fronte sanitario la difficoltà nell’organizzare il Programma di screening è tutta nell’ immobilismo dei più buoni e  nel disfattismo dei più incoscienti, sul fronte della comunità è invece nell’abbattere quel pregiudizio così diffuso che esclude le strutture pubbliche dalla garanzia del requisito e separa le  gratuità dalla affidabilità. La resistenza è ancora tanta, ma analizzando i dati, constatiamo che le donne che aderiscono, poi restano fidelizzate al programma.
Quindi cosa manca a questa macchina apparentemente accurata che non riesce a partire del tutto?
Manca la giusta informazione alle donne.
Troppe donne campane e napoletane non danno il giusto peso alla prevenzione. Troppe ancora le così dette morti evitabili, cioè quelle morti che colpiscono soggetti per cause che posso appunto essere evitate grazie ad  interventi di prevenzione primaria o secondaria.
E’ necessario che le donne comprendano che siamo in una specie di epidemia ma, fortunatamente in molti casi abbiamo la possibilità di guarire, o quanto meno di limitare i danni ed abbiamo quindi la responsabilità verso noi stesse di fare qualcosa. Infatti la morte per  Cancro del collo dell’utero è una morte evitabile perché colpisce donne in età non avanzata, e può essere prevenuta grazie ad un test non invasivo e non doloroso come il Pap-test.
Per le donne campane bisogna realizzare messaggi chiari, pur senza allarmismi; devono essere messe al corrente che la situazione della incidenza e della mortalità per quei cancri che colpiscono maggiormente il sesso femminile come quello del collo dell’utero e ancor di più della mammella, merita una seria attenzione sì da parte della sanità pubblica, ma soprattutto da parte di loro stesse che rappresentano, per adoperare un termine tecnico, “il principale gruppo d’interesse”.
Grazie alla diagnosi precoce, mediante il pap-test il numero di nuovi casi di cancro del collo dell’utero si è ridotto del 26,5%, purtroppo non è così per il cancro della mammella. Il nostro meridione e quindi la nostra Campania ha beneficiato di alcuni elementi protettivi legati alla alimentazione mediterranea, all’uso di materie prime genuine, alla fecondità anticipata, al numero di figli e all’abitudine di allattare al seno per periodi lunghi. Considerando il rischio relativo (RR) di sviluppare cancro mammario uguale a 1 per le donne con un figlio che non abbiano mai allattato, si osserva una sua riduzione proporzionale al numero di anni della vita della donna trascorsi allattando. La riduzione stimata è 4.3% ogni 12  mesi  di   allattamento. In altre parole più a lungo si allatta meglio è sia per il bambino che per il seno delle donne. E ancora il rischio relativo (RR) di sviluppare cancro mammario si riduce di 3% per ogni anno di riduzione dell'età materna al primo parto. A parità di altri fattori, il RR si riduce ulteriormente di 7% per ogni parto.
Questo  vantaggio è andato via, via scomparendo determinando una sorta di allineamento con le regioni del Nord, dove invece si è sempre registrata una maggiore esposizione della popolazione a fattori cancerogeni. “La relativa protezione delle donne residenti nell’Italia Meridionale nei confronti del tumore della mammella è presumibilmente da attribuirsi a una diversa distribuzione dei fattori di rischio che la differenza, ancora più accentuata nei primi anni Ottanta, ha gradualmente teso a uniformarsi nel corso del tempo, cosi come si sta uniformando l’indice di fecondità: nel 1981 era di 2,04 nel meridione rispetto all’1,28 al Nord e 1,41 al Centro, ma già nel 2005 le differenze si sono notevolmente ridotte (1,32, al Sud, 1,27 al Centro e 1,32 al Nord)
“Il risultato di queste tendenze è che la variabilità geografica che si registrava nel 1970 o nel 1990 si va progressivamente azzerando a svantaggio del Meridione, e i livelli di mortalità nel 2007 risultano molto più omogenei. Se queste tendenze si mantenessero stabili la mortalità per carcinoma mammario nelle aree del Meridione potrebbe superare i livelli del Centro-Nord nei prossimi anni. Dal momento che l’incidenza è ancora inferiore nel Sud Italia rispetto al Nord, il progressivo annullamento delle differenze geografiche nei tassi di mortalità per carcinoma mammario suggerisce una prognosi peggiore per le pazienti residenti nelle regioni meridionali. Questa ipotesi trova conferma nei dati dei Registri Tumori italiani che, pur con limiti di rappresentatività, evidenziano differenze significative nella sopravvivenza a 5 anni a svantaggio delle aree del Sud.”. Le donne devono rivendicare, tra i tanti diritti, quello alla diagnosi precoce e pretendere programmi di screening di qualità.  Facilitare l’accesso ai servizi di quelle donne che sono inserite in contesti a forte esclusione, è compito della organizzazione sanitaria, consentire il pieno utilizzo dell’offerta è fondamentale quanto garantire la qualità della prestazione diagnostica in senso stretto.
dove

Rosetta  Papa