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Un desiderio

Premio Lucia Mastrodomenico 2017 – ecco lo scritto della vincitrice del 2° Premio (NdR)

Il mare lo sentivo dentro ormai. Gorgogliava, borbottava, parlava con me seccandomi la pelle, entrandomi nelle narici, soffocandomi i pensieri. Il mare quando ti parla non lo capisci: ti sembra che ti consoli, che ti dia speranze, ma vedevo i miei compagni morire, uno dopo l'altro e dovemmo lasciarli a lui, avido, ma bellissimo.
Di notte quando il sonno ti è nemico, su quella barca, ti affidi al mare: è il solo a cui va di parlare di notte, parlava con me, col cielo e con le stelle che vedevo limpide tutte intorno che erano in grado di sottrarti le forze e lo sguardo dall’orizzonte che speri di non vedere più piatto ed uniforme di giorno in giorno.
La barca non era forte, scricchiolava, sembrava cedere e quando sentivamo un colpo più forte gli uomini stringevano le loro mogli, i loro bambini. Io ero solo, lasciai la mia casa, i miei genitori e a soli tredici anni partii per trovare speranza in Europa.
Ci vennero a prendere quando eravamo ancora in mezzo ad un mare nervoso: le navi erano alte, bianche, si sentivano delle voci e dei grossi fari ci permettevano di guardarci come quando il sole è più alto.
Salimmo sulle navi della “Frontex” e con il cuore sollevato, riuscii a sognare di nuovo.

È da due anni che mi trovo in questo centro. Mi hanno detto che mi trovo a Bari, siamo tanti qui, tutti in cerca di lavoro, ma ancora non ci fanno uscire e chissà per quanto tempo sarà così. Durante il giorno è rumoroso, come una fattoria di animali irrequieti che vanno avanti e indietro, protestano ai responsabili o chiacchierano con gli altri ospiti; di notte il concerto di respiri e di sbuffi sfida il sonno, che la vince quando non si ha più la forza di pensare.
Ho fatto amicizia, parlo un po' con tutti e ultimamente chiedo loro se sono contenti di essere qui oppure cosa vorrebbero che cambiasse. Molti mi rispondono “Vorrei uscire presto”, altri “sono felice di essere qui, ma non ho capito perché non ci lasciano andare”, o ancora “Vorrei essere a casa, ma laggiù si vive peggio che qui dentro”. Già, a casa il lavoro non c'è perciò siamo costretti ad andarcene, ad affidare noi stessi al mare e poi alla fortuna di trovare qualcosa in Europa.
Spesso mi capita di andare sul tetto del centro, guardo gli aerei che decollano. Non ero mai stato su un aereo e quando ci sono salito per arrivare qui insieme ai miei compagni di viaggio, vedevo un mondo che si era dimenticato di me, del mio essere umano. Ero nessuno, senza un nome o una famiglia da quando i miei genitori mi hanno costretto ad andarmene per sperare di regalarmi una vita migliore.
Il mio desiderio, però, ora che ci penso, era ed è di restare lì, a casa mia, con la mia famiglia; vorrei non dover cambiare nazione per trovare un lavoro, per crescere. Se lì non c'è lavoro, come potremo mai uscire da questa situazione? Ogni giorno migliaia di persone si mettono in mare e scappano dal loro paese povero o in guerra, ma, mi chiedo, se nessuno di noi giovani resta e prova a cambiare le cose, potranno mai questi paesi affrontare e distruggere il problema?
Tutto inizia dal lavoro, questo è certo, altrimenti perché sarei qui? Questa Europa si impegna tanto per me, per noi, offrendoci una casa temporanea e cercandoci un’occupazione, ma il problema ha radici nelle nostre nazioni, nelle nostre case e se non si agisce lì, sempre più giovani partiranno e arriveranno su queste coste. Vorrei ci portassero lavoro, strutture, semplicemente opportunità, cominciando da noi giovani, che desideriamo fare tanto.
È dopo l'ultimo volo prima del tramonto che torno alla realtà, che torno a Bari e chiudo questo mio diario, lasciandoci dentro i miei desideri, i ricordi, i racconti e quell’utopia che spero si possa realizzare. Ritorno nel chiasso del centro, sperando di ritrovare il mio nome e uscire, nel mondo.


Carla Pisani Massamormile