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La fame aguzza l’impegno.


Non ho mai saputo cucinare un granché, ma devo ammettere che la cultura culinaria oggi mi incuriosisce molto, forse anche perché è diventata di gran moda. Dall’attenzione spasmodica alla salubrità dei cibi, alle trasmissioni televisive che hanno per protagonisti chef ed aspiranti tali, l’alimentazione sembra quasi aver perso quel suo originario e semplice rapporto con il nostro sostentamento per assumere funzioni nuove e complesse. Ma quale cucina è descritta nei libri e nelle trasmissioni televisive? Il paradosso è che, nonostante la ricerca di genuinità e di ritorno alle origini, la cucina tramandata nei libri, e più recentemente, nelle trasmissioni televisive, tutto è fuor che popolare e tradizionale. La cucina del popolo minuto, dei poveri insomma, è da sempre tramandata quasi esclusivamente per via orale ed in maniera approssimativa (ovvero con molte significative varianti) ed è questa una delle principali difficoltà del suo recupero.
Tuttavia, durante i primi decenni del ‘900, esattamente negli anni della Prima Guerra Mondiale, in cui si avvertì con forza la necessità di garantire – anche attraverso opportuna informazione – un’alimentazione poco costosa, ma al tempo stesso nutriente, ad un popolo affamato, videro la luce un certo numero di ricettari dai nomi particolarmente significativi: il Manuale di 150 ricette di cucina di guerra (Cremona, 1916), il Ricettario per alimentazione popolare (cucina domestica) (Milano, 1917), la Guida per la disciplina dei costumi alimentari (Bologna, 1917), la Cucina buona in tempi cattivi o L’orto di guerra. Come si coltivano e cucinano gli ortaggi (1917). Proprio attingendo a queste fonti, Andrea Perin ha scritto «La fame aguzza l’ingegno. Cucina buona in tempi difficili» (Elèuthera, Milano 2005), un ricettario dal quale non posso fare a meno di trascrivere la preparazione di una pietanza il cui nome è a metà strada tra lo slogan salutistico ed il programma politico d’avanguardia: la frittata senza uova.
«Lessate alcune patate, pelatele calde e tagliatele a dadini. Mettetele subito in una padella con poco olio fortemente riscaldato.
Schiacciatele colla paletta e aggiungete qualche pezzetto di burro. Quando avranno formato un sol corpo e avranno fatto la crosta, cospargetele di sale, pepe, prezzemolo e rivoltatele.
Lasciate ben colorire da ogni parte e servite.
[Manuale di 150 ricette di «cucina di guerra», Cremona 1916]
 Le versioni «povere» di ricette ricche che camuffano gli ingredienti per farli assomigliare a quelli più prelibati sono abbastanza frequenti nel panorama italiano.
Ma questa ricetta è senza dubbio particolarmente essenziale. La mancanza di un legante rende l’impasto molto friabile e l’operazione di voltare la frittata si rivela decisamente impegnativa e facilmente destinata al fallimento; però la crosticina sulle patate, insieme al sapore del prezzemolo e al piccante del pepe donano a questo piatto inaspettate soddisfazioni.»
Comunque sia, buon appetito.

Ivo Grillo