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Intervista a Fabrizia Ramondino (II parte)


Lucia : nella letteratura moderna, anche italiana, spesso assistiamo ad una disputa tra approccio formalista da una parte ed approccio contenutistico dall’altra. È possibile, secondo te che il mondo interiore e quello esteriore possano mescolarsi, diventare tutt’uno? La tua narrazione sottolinea questa armonia. È” il mondo intero” veramente il soggetto del racconto?
Fabrizia : la differenza tra approccio formalista e approccio contenutistico, credo che tu ti riferisca soprattutto alla grande polemica del dopo guerra fino agli anni ’60 su letteratura impegnata e quella dell’arte per l’arte, oggi è del tutto sparita. Quello che penso è che ogni essere umano, ogni artista, scrittore, è determinato; per usare un termine della religione “incarnato”: vive in un certo periodo storico, in certe condizioni sociali, in un certo paese, è di un sesso o di un altro, ha fatto delle esperienze specialmente nell’infanzia che non sempre ha deciso egli stesso, è determinato, in parte, anche geneticamente. Tutto questo vuol dire essere incarnati. Per cui la realtà è la sua realtà e non può essere separata da lui. Non credo ad una scissione tra spirito e materia, tra anima e corpo, quindi, quando un’artista si esprime non può che ricreare il mondo ripartendo dalla sua esperienza del mondo (ricrearlo in senso artificioso, nel senso che ogni creazione artistica è un artificio, non è un dato della realtà). L’artista distrugge il mondo, ma non può che distruggere il mondo che conosce e ne crea un altro che è il mondo dell’altro. Questa creazione non nasce dal nulla, non può non riflettere il mondo che lui prima ha distrutto.
Lucia : tu metti al centro del mondo e dell’esperienza il soggetto. Ma esiste anche lo spazio che si crea tra i soggetti ed il relazionarsi tra loro, lo spazio dell’intersoggettività?
Fabrizia : il centro dell’esperienza è da un lato la relazione con sé stessi e dall’altra la relazione con gli altri. Non ho nessuna visione idilliaca della natura, come Leopardi, penso che la natura è maligna. Soltanto da un patto tra uomini (che non è il patto sociale di Rousseau) un patto in cui si riconosce consapevolmente la comune dolorosa condizione umana, può sorgere un patto di solidarietà. Ogni tragedia da quelle private a quelle pubbliche, come possono essere le guerre, derivano dai rapporti umani. Oggi nelle letterature dell’occidente soprattutto, italiane in particolare c’è un grande eclettismo, non ci sono più schieramenti. Noto due cose: da una parte una tendenza dell’arte per l’arte, che esprime il vuoto (c’è una tendenza che si chiama proprio minimalista), dall’altra esiste una fuga dalla realtà che si manifesta in questa proliferazione di romanzi storici. Il discorso sulla posizione degli intellettuali e la politica non era un falso problema, coinvolgeva gli intellettuali come coinvolgeva persone impegnate in altri campi. Un falso problema è invece separare la forma dal contenuto, essi non sono separabili. Possiamo avere dei romanzi che sono esclusivamente formalisti, dove la forma è quella che si chiamava una volta la poesia in prosa (scrittura d’arte in voga nel trenta) che nasconde il vuoto totale, possiamo avere anche pessimi romanzi contenutistici ed ancora ci possono essere ottimi romanzi realisti.
Lucia : agli scrittori spesso si richiede di essere radicali e conservatori. Radicali per cooperare alla correzione di errori ed ingiustizie. Conservatori perché nella realtà attuale molto di ciò che amiamo ed apprezziamo viene distrutto. In che cosa ti senti radicale ed in che cosa conservatrice?
Fabrizia : io mi sento radicale in un doppio senso, da un lato nel senso che lo era il primo Marx quando diceva : la natura dell’uomo è l’uomo. La natura dell’uomo non è la trascendenza, ma è l’uomo e le relazioni umane, compresa la relazione con se stessi, perché anche quella è una fondamentale relazione umana. L’altro senso è la considerazione che le radici di ognuno di noi, in senso antropologico, sociologico, soprattutto storico, affondano in qualcosa di più antico. Ha ragione la Levi Montalcini quando dice  che gli istinti, i sentimenti umani non si sviluppano con la stessa velocità con la quale si è sviluppata l’intelligenza, soprattutto quella tecnologica. Questo vuol dire che l’uomo, più che in altre epoche, fa l’apprendista stregone, non riesce a controllare del tutto le forze che ha scatenato. Anche per questa ragione è importante attenersi alle radici proprie e degli altri. Questo discorso può sembrare apparentemente conservatore, invece è proprio il contrario. Per quanto riguarda il conservare, bisogna conservare tantissime cose, soprattutto l’unicità dell’individuo dinanzi alla massificazione, alla massificazione che vuol dire anche massificazione della morte, della guerra. Leggevo su “Repubblica” che un gruppo di Turchi d’Inghilterra, ritornando dall’ospedale in cui erano stati ricoverati, si sono accorti che gli mancava un rene toltogli durante l’anestesia a loro insaputa. Questo scandalo  tremendo fa capire cosa intendo per unicità preziosa di ogni individuo, non solo nel senso della sua vita, ma anche della sua libertà, della sua dignità. Vedi questa casa, ne ho conservato l’antico arco. Non si capisce per quale ragione (anzi si capisce molto bene) in un paese come questo (Itri) molte case vecchie sono disabitate, mentre a valle del paese ce ne sono tante in cemento, uguali come in tutto il mondo. Questo è un esempio di cosa va salvato.
Lucia : i tuoi romanzi sono autobiografici? Quali sono gli autori che hanno contato maggiormente nella tua formazione letteraria?
Fabrizia : la maggior parte degli scrittori sono autobiografici indipendentemente dall’uso della prima, seconda o terza persona. Prendiamo la ricerca di Proust, non ti sembrerebbe limitativo dire che è un’opera autobiografica, eppure ha questa impronta. Anche in libri molto lontani dalla connotazione autobiografica, come per esempio le ultime opere di Calvino, trovo una componente autobiografica. Ho avuto una formazione molto disordinata, atipica, sono cresciuta fino alla morte di mio padre, avevo 14 anni, in Spagna, in Francia, un po’ in Italia; poi per tre anni ho studiato regolarmente in Italia, in seguito sono andata in Germania. Non ho avuto nessuna guida, tranne quella indiretta di mia madre. La mia formazione letteraria inizia verso i 13 – 14 anni in Francia quando ho scoperto la grande letteratura francese dell’800 e quella Russa dell’800 tradotta in francese. Uno scrittore come Dante l’ho scoperto profondamente solo a 24 anni. Una scrittrice che ho amato molto, ma che mi ha influenzata meno,  è Elsa Morante. Degli italiani ho amato uno scrittore espanista, morto da poco Carmelo Samonà; i suoi unici tre romanzi sono tra i più belli della letteratura italiana. Ho amato soprattutto il primo romanzo di Bufalino e gli ultimi scritti di Sciascia. Ci sono libri che rileggi dopo anni: un esempio è il libro della Ortese “Il treno russo”. Domenico Rea della fine degli anni ’50 è un grandissimo scrittore, ancora oggi escono dei suoi libri o dei suoi brevi testi in raccolta che sono di altissimo valore.  

Lucia Mastrodomenico  (tratto da “Gli anni ‘70 e Napoli” – Magistra  ed. 1993)